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  • Giovedì 17 febbraio 2022

L’ultima volta che la Russia invase l’Ucraina

Nel 2014 entrò in Crimea nonostante le smentite e le rassicurazioni di Putin: da allora però diverse cose sono cambiate

Truppe russe in Crimea nel marzo del 2014 (ean Gallup/Getty Images)
Truppe russe in Crimea nel marzo del 2014 (ean Gallup/Getty Images)

Nelle ultime settimane, con le crescenti tensioni al confine ucraino e l’ipotesi, ancora piuttosto concreta, di un’invasione della Russia, analisti e osservatori hanno paragonato l’attuale crisi all’ultima volta in cui la Russia invase l’Ucraina: successe nel 2014, e l’invasione si concluse con l’annessione alla Russia della Crimea, la penisola nel sud dell’Ucraina, e con l’inizio di una situazione di instabilità e guerra civile nell’oriente dell’Ucraina che ancora non si è risolta.

Sotto diversi punti di vista il contesto del 2014 era molto diverso da quello di oggi: la situazione interna all’Ucraina era molto più instabile, l’invasione non fu preannunciata in modo particolarmente evidente (come accadrebbe adesso), e sia i governi occidentali che la stessa Ucraina erano di fatto impreparati all’operazione militare russa. Ma ci sono anche molti elementi di contatto tra le due situazioni, e l’invasione della Crimea è oggi vista come una sorta di precedente, anche perché secondo vari analisti l’obiettivo del presidente russo Vladimir Putin in Ucraina è «finire il lavoro» cominciato con l’annessione della Crimea, e controllare una parte più ampia del paese, tramite la forza militare, la coercizione economica o la minaccia.

Gli antefatti
L’invasione del 2014 e l’annessione della Crimea furono il risultato di una contesa tra Russia e Ucraina che andava avanti sin dall’indipendenza della stessa Ucraina, ottenuta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nel 1954 la Crimea – che nel 1783 era entrata a far parte dell’Impero zarista russo – era divenuta territorio ucraino per volere di Nikita Kruscev, allora a capo dell’URSS. Quella decisione fu molto contestata, anche perché circa due terzi della popolazione della penisola aveva origini russe, e per la Russia la Crimea restò sempre una questione irrisolta: nel 1992, l’anno dopo lo scioglimento dell’URSS e due anni dopo l’indipendenza dell’Ucraina, il parlamento russo decretò che la cessione della Crimea del 1954 era stato un atto illegittimo (cosa ribadita anche da Putin qualche mese fa).

Dopo l’indipendenza, l’Ucraina cominciò sempre di più ad avvicinarsi alla sfera d’influenza della NATO e dell’Europa: nel 2004 ci fu la cosiddetta “rivoluzione arancione”, nel corso della quale gli ucraini protestarono in massa in difesa della vittoria elettorale del candidato filo-europeo Viktor Yushenko, mentre nel 2008 la NATO accettò che in futuro – senza specificare ulteriormente – avrebbe accolto le richieste di integrare l’Ucraina nell’alleanza occidentale. Oggi nessun paese NATO intende davvero accogliere l’Ucraina nell’alleanza, ma la promessa del 2008 è usata tuttora dalla Russia come la prova che l’Occidente starebbe espandendo la propria influenza ai suoi danni.

– Leggi anche: La promessa della NATO all’Ucraina che nessuno ha intenzione di mantenere

La rivoluzione di Euromaidan
La causa scatenante dell’invasione fu la rivoluzione che cominciò nel novembre del 2013 con le proteste di Euromaidan, a Kiev: migliaia di persone manifestarono per mesi dapprima contro la decisione del presidente Viktor Yanukovich di rifiutare un importante patto commerciale con l’Unione Europea, e poi più in generale contro il corrotto regime filo-russo del paese.

Dopo mesi di tensioni, nell’inverno del 2014 il regime di Yanukovich decise di rispondere con la violenza, e a Kiev ci furono scontri feroci tra le forze di sicurezza e i manifestanti, che nel frattempo si erano armati e organizzati: il 20 febbraio del 2014, il giorno più sanguinoso, morirono decine di persone in Piazza dell’Indipendenza, a Kiev, e ci furono centinaia di feriti.

La rivoluzione però ottenne il suo obiettivo: il 22 febbraio Yanukovich – che anni dopo sarebbe stato condannato da un tribunale ucraino per alto tradimento – lasciò il paese e scappò in Russia. A capo del governo fu nominato Arseniy Yatsenyuk, filo-europeo.

Putin definì la rivoluzione ucraina «un colpo di stato incostituzionale e una presa del potere militare».

L’invasione
L’operazione militare della Russia in Ucraina fu composta principalmente di tre parti: l’occupazione militare della penisola della Crimea, una manovra di destabilizzazione delle province ucraine del Donbass (che comunque comportò l’invio di truppe e mezzi) e una gigantesca operazione di propaganda e copertura diplomatica, sia per giustificare la guerra sia per confondere e ritardare la reazione della comunità internazionale.

In Crimea, la Russia approfittò della situazione di instabilità e degli scontri che in quei giorni stavano avvenendo tra manifestanti favorevoli e contrari alla rivoluzione per effettuare un’invasione coperta e a sorpresa: spedì in Ucraina centinaia di membri delle forze speciali che non indossavano uniformi o segni di riconoscimento – per questo divennero noti come i “piccoli uomini verdi” – che occuparono progressivamente edifici governativi e aeroporti della penisola, fino a prendere il controllo dell’intera Crimea e a provocare la caduta del governo locale.

Tutta l’operazione fu negata per mesi da Putin, che sostenne (contro ogni evidenza) che quei “piccoli uomini verdi” non fossero soldati russi ma membri di gruppi di autodifesa autoctona, che stavano combattendo per difendere la loro terra dal colpo di stato di Kiev e contro le violenze commesse nei confronti della popolazione russa in Crimea. L’invasione fu così rapida e la campagna di propaganda che seguì così efficace che l’Occidente non ebbe né il tempo né l’unità per reagire con decisione: gli “uomini verdi” entrarono in Crimea attorno al 20 febbraio del 2014 e a inizio marzo la Russia si era già assicurata il controllo dell’intera penisola.

Il 16 marzo fu organizzato un referendum, molto contestato, che rese definitiva l’annessione della Crimea alla Russia, anche se ancora non è riconosciuta dalla comunità internazionale. Il referendum fu considerato illegittimo, tra gli altri, anche dalle Nazioni Unite, dato che si era svolto con modalità interamente gestite dalla Russia e in circostanze tali da non permettere il libero esercizio del voto.

Putin ammise che gli “uomini verdi” erano soldati russi soltanto nell’aprile del 2014, quando la Crimea era ormai russa da tempo.

– Leggi anche: Quant’è difficile essere Volodymyr Zelensky

Contestualmente, la Russia sobillò, armò e finanziò gruppi militari filo-russi nelle province di Donetsk e Luhansk, nell’est dell’Ucraina. Grazie alle armi russe e con l’aiuto di militari russi, i ribelli presero il controllo delle province, dichiararono l’indipendenza dal governo ucraino e cercarono di annettersi alla Russia. Cominciò così una durissima guerra civile, che ha provocato migliaia di morti.

All’inizio del 2015 gli accordi di Minsk stabilirono la fine dei combattimenti e il ritorno all’Ucraina delle regioni ribelli di Donetsk e Luhansk, in cambio di più autonomia. Ma benché fossero stati firmati sia dal governo ucraino sia da quello russo, gli accordi non furono mai davvero rispettati: a oggi, la guerra civile nell’est dell’Ucraina è ancora in corso.

Anche nel caso delle operazioni nell’oriente ucraino, Putin negò a lungo ogni coinvolgimento della Russia.

Le differenze con oggi
L’attuale crisi in Ucraina è ovviamente una conseguenza diretta della guerra e dell’invasione del 2014: l’Ucraina non ha rinunciato alla sovranità sulla Crimea e continua a condannare la Russia per il sostegno fornito ai separatisti nell’est del paese. D’altra parte Putin ha un’ossessione per l’Ucraina, come hanno notato molti analisti, che fa pensare che in nessun caso rinuncerà a esercitare la sua influenza sul paese.

Ma tra il 2014 e oggi moltissime cose sono cambiate.

La prima riguarda la condizione interna dell’Ucraina: nel 2014 il paese si trovava in una grave crisi politica e in una situazione di grande instabilità, con grosse proteste antigovernative represse con la violenza, la fuga del presidente filo-russo in carica e la sua repentina sostituzione con un presidente filo-europeo. Oggi non sembra esserci la possibilità di uno scenario simile, e di fatto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sta agendo per mantenere il più possibile una situazione di calma e stabilità, benché non sia chiaro quanto la sua strategia possa funzionare.

Diversi analisti dicono anche che l’Ucraina di oggi è molto più attrezzata per un conflitto, rispetto a quanto lo fosse nel 2014. Anche se l’esercito russo è comunque molto più forte e avanzato di quello ucraino, ha scritto il sito The Interpreter, quello ucraino si è nel frattempo rafforzato molto, ed è anche aumentata, dopo otto anni di conflitto, l’ostilità nei confronti della Russia (anche all’interno dello stesso esercito). «Dopo essere quasi scomparsa dalla sera alla mattina durante la Rivoluzione della Dignità [altro nome per le proteste antigovernative del 2014] all’inizio del 2014, è emersa una nazione ucraina più forte», ha scritto il centro studi Carnegie Endowment for International Peace.

Una seconda, la principale, riguarda le modalità delle operazioni militari: nel 2014 l’invasione della Crimea fu rapida e a sorpresa. Al contrario, in questa crisi la Russia va avanti da mesi ad accumulare truppe e mezzi al confine ucraino, senza preoccuparsi troppo di nascondere i suoi movimenti – cosa che fa ovviamente pensare che Putin voglia usare le truppe più come strumento negoziale che per un’invasione.

C’è, infine, un’altra ragione per cui le cose oggi sono molto diverse rispetto al 2014, e riguarda il grado di attività diplomatica messa in atto per risolvere la crisi e prevenire un’azione militare. Anche nel 2014, ovviamente, si svolsero negoziati diplomatici, ma vari osservatori hanno notato come oggi gli Stati Uniti stiano agendo molto più concretamente per prevenire un’invasione. Joe Biden, ha scritto Jonathan Guyer su Vox, era vicepresidente degli Stati Uniti quando la Crimea fu invasa: ha avuto modo di capire come agisce Putin e di prendere molto più sul serio la minaccia di un’invasione.

Gli Stati Uniti hanno chiesto alla NATO di allertare la NATO Response Force (NRF), forza multinazionale formata da 40mila soldati e incaricata di rispondere rapidamente alle emergenze, mostrando di non voler agire unilateralmente, ma di voler rispondere insieme agli alleati. Nel 2014 non lo fecero: da parte della NATO fu una «non azione», ha scritto l’Atlantic Council facendo un confronto tra l’invasione della Crimea nel 2014 e la crisi attuale. Gli Stati Uniti hanno anche minacciato sanzioni contro la Russia più prontamente di quanto avessero fatto allora, e hanno fatto un ampio uso dei media per prevenire ogni possibile mossa di Putin, rispondendo prontamente alla campagna propagandistica del presidente russo.

«Tutto quello che non abbiamo fatto nel 2014 siamo pronti a farlo adesso», ha detto al New York Times Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

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