Come riapriranno le scuole

Qualcosa è già stato deciso, come l'obbligo di indossare mascherine FFP2 per gli operatori, ma ci sono diverse proposte ancora in discussione, tra cui le regole che attivano la DAD

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Le regioni hanno proposto al governo di cambiare le regole che attivano la didattica a distanza (DAD) nelle classi, con l’obiettivo di evitarla il più possibile. La proposta riguarda gli studenti a partire dalle scuole elementari: nel caso di due studenti risultati positivi, le regioni hanno proposto di attivare un’autosorveglianza di 5 giorni per gli studenti vaccinati e la quarantena di 10 giorni con la DAD per i non vaccinati, con un test obbligatorio al termine del periodo (l’autosorveglianza sostituisce la quarantena: significa controllare che nei giorni seguenti al contatto non si sviluppino sintomi).

Al momento le regole sono più restrittive: per gli alunni tra 6 e 12 anni la DAD inizia per tutta la classe con due casi positivi e per gli studenti con più di 12 anni quando vengono trovati almeno tre positivi. In realtà la distinzione tra vaccinati e non vaccinati era già presente nelle linee guida operative dall’8 novembre, che prevedevano un tampone subito e uno dopo cinque giorni e che sono rimaste sostanzialmente inapplicate a causa delle difficoltà delle aziende sanitarie di eseguire i tamponi.

Nelle scuole dell’infanzia e negli asili nido non cambierebbe invece nulla: continuerà a scattare la DAD e quarantena solo nel caso sia riscontrato un alunno positivo in classe.

Le regioni avevano presentato la loro proposta al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi la scorsa settimana. Secondo Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e della conferenza delle regioni, le nuove regole garantirebbero «l’attività scolastica in presenza il più possibile» e potrebbero «velocizzare ed incentivare la vaccinazione della popolazione pediatrica». La questione sarà probabilmente discussa questa settimana nel Consiglio dei ministri in vista della ripresa della scuola, che è fissata tra il 7 e il 10 gennaio a seconda delle regioni.

Molti politici e sindacalisti si sono detti contrari alla proposta dalle regioni, che è stata definita «discriminatoria» perché prevede una distinzione tra studenti vaccinati e non vaccinati. Al momento il 9,2 per cento dei bambini tra 5 e 11 anni ha ricevuto almeno una dose del vaccino, mentre tra 12 e 19 anni è stato vaccinato l’80 per cento.

Tra i contrari ci sono anche i due sottosegretari all’Istruzione. Il leghista Rossano Sasso ha detto che con l’aumento dei contagi tra i bambini e con la scarsa copertura vaccinale si manderebbero tre milioni di bambini in DAD per decreto. Secondo la sottosegretaria Barbara Floridia, esponente del Movimento 5 Stelle, non si può pensare di discriminare i bambini tra vaccinati e non vaccinati. «Si continui ad investire risorse per la sicurezza, anzi si aumentino le risorse per la scuola, e si migliori il protocollo affinché sia più efficace. Ma le scuole devono restare aperte», ha detto.

Secondo Maddalena Gissi, segretaria generale della CISL scuola, ci sarebbero problemi di privacy e didattici perché chi è in classe ha bisogno di tutta l’attenzione dell’insegnante, chi invece segue dal pc ha tempi e necessità diversi rispetto agli altri studenti. «Le mezze misure sulla scuola non tengono, lo abbiamo già visto», ha detto Gissi.

Negli ultimi mesi le regioni avevano avuto risposta a molte delle richieste presentate al governo, come per esempio la cancellazione della quarantena per i contatti stretti vaccinati con richiamo. L’ultima proposta è solo una delle novità che riguardano la scuola e che, a differenza delle nuove regole per la DAD, sono già state confermate.

Il decreto legge approvato dal governo prima di Natale ha introdotto l’obbligo delle mascherine FFP2 per gli operatori della scuola a contatto con alunni che non indossano la mascherina perché esentati per motivi di salute. Nei giorni scorsi il ministero ha iniziato la ricognizione per capire quante ne dovranno essere distribuite dalla struttura commissariale.

Inoltre a partire da gennaio saranno operative squadre di medici e infermieri dell’esercito per aiutare le regioni e le aziende sanitarie a gestire i tamponi a scuola.

Nelle ultime settimane, a causa dell’aumento dei contagi, in molte regioni la gestione dei tamponi è stata lunga e caotica, con lunghe code di persone in attesa fuori dai punti tampone. Nelle regioni che ne faranno richiesta, l’esercito si prenderà carico di parte della somministrazione dei tamponi nelle scuole, dell’analisi e della refertazione attraverso i laboratori militari. Il governo ha previsto una spesa di 9 milioni di euro.