Come usare, e come no, i test rapidi

Ricorrere ai tamponi antigenici può essere utile a patto di sapere alcune cose sui tempi, sulle modalità e sulla loro affidabilità

(Phil Walter/Getty Images)
(Phil Walter/Getty Images)

Nella settimana prima di Natale in Italia sono stati effettuati più di 5 milioni di tamponi, tra molecolari e antigenici in farmacia, cui si aggiunge un numero difficile da quantificare di centinaia di migliaia di test rapidi fai-da-te per il coronavirus eseguiti in casa e di conseguenza non tracciati nei calcoli ufficiali. Milioni di persone hanno scelto di sottoporsi a un tampone perché avevano sintomi o erano entrate in contatto con individui positivi, mentre molte altre hanno deciso di fare un test per avere qualche sicurezza in più in vista di cenoni, pranzi e incontri con parenti e amici durante le festività natalizie.

La richiesta in questo ultimo caso è stata particolarmente alta e dovuta in parte alla variante omicron, che si sta rivelando molto più contagiosa rispetto alle precedenti. Si sono formate lunghissime code fuori dalle farmacie per i test antigenici e fuori dai centri medici per quelli molecolari, e sono diventati difficili da reperire anche i test fai-da-te.

C’è stata insomma una certa frenesia da tamponi che ha portato tra le altre cose a qualche incomprensione su utilità, affidabilità, modalità e tempi di utilizzo degli antigenici, più economici e rapidi da effettuare rispetto a quelli molecolari. Visto che c’è un po’ di confusione, che rischia di essere dannosa e compromettere il contenimento dei contagi, abbiamo provato a mettere insieme l’essenziale da sapere.

Versione breve
Poche ore prima di incontrare parenti e amici può essere utile effettuare un test antigenico per avere qualche sicurezza in più sul non essere contagiosi, a patto di ricordare che nessun test dà la certezza assoluta di essere positivi o meno. Un esito negativo non significa inoltre che non si abbia il coronavirus: si potrebbe essere nella fase iniziale dell’infezione e quindi non avere ancora una carica virale tale da risultare positivi al test.

Se si hanno sintomi, ma non si ha la certezza di essere entrati in contatto in precedenza con un positivo, può essere utile effettuare un test rapido il giorno in cui questi sono comparsi. Se negativo, il test va ripetuto dopo 2-3 giorni e se ancora negativo conviene effettuarlo nuovamente il quinto giorno, sempre dall’insorgenza dei sintomi. Nel caso in cui si disponga di un solo test fai-da-te, è consigliabile attendere il secondo o terzo giorno dopo l’inizio dei sintomi.

Nel caso in cui non si abbiano sintomi, ma ci sia il sospetto di essere entrati in contatto con un positivo, si può valutare di fare un test rapido dopo un paio di giorni dall’eventuale esposizione e un altro dopo 3-5 giorni.

Se si ha la certezza di essere stati in contatto stretto con un positivo valgono invece le indicazioni del ministero della Salute: isolamento per 7 giorni se vaccinati e per 10 se non vaccinati, al termine dei quali è necessario un test negativo.

Antigenici
I test impiegati in farmacia e disponibili nelle versioni fa-da-te non cercano il materiale genetico del coronavirus (come avviene con i test molecolari, PCR) o gli anticorpi (test sierologici), ma rilevano la presenza di particolari proteine tipiche del virus. Si chiama così perché mettono in evidenza l’eventuale presenza degli antigeni, le sostanze estranee presenti nel nostro corpo che provocano una reazione, che porta poi a una risposta del sistema immunitario.

Mentre i test molecolari sono affidabili, perché attraverso il processo di analisi del campione prelevato con il tampone riescono a rilevare anche porzioni molto ridotte del materiale genetico del coronavirus, i test antigenici sono meno sensibili e faticano a rilevare l’infezione se la carica virale non è particolarmente alta (semplificando, la carica virale è la concentrazione di particelle virali nel nostro organismo, più è alta più significa che l’infezione è nella sua fase di picco).

Il ministero della Salute raccomanda l’impiego di test rapidi che abbiano più dell’80 per cento di sensibilità e oltre il 97 per cento di specificità. Più è alta la sensibilità, minore è il rischio di falsi negativi (persone positive non rilevate); più è alta la specificità, minore è il rischio di falsi positivi (persone non contagiate segnalate come positive). I produttori dei test devono indicare sulle confezioni i valori percentuali della sensibilità e della specificità, sia nel caso dei test fai-da-te, sia nel caso di quelli in farmacia (di solito la persona addetta ai test in farmacia consegna un foglio con tutti i dettagli).

Risultati
In linea di massima un antigenico ha maggiori probabilità di dare come risultato un falso negativo rispetto a un molecolare. Negli ultimi giorni molte persone hanno attribuito a questa circostanza il fatto di essere risultate positive solo dopo un molecolare, anche se all’antigenico erano risultate negative, ma in vari casi è probabile che la causa non fosse di per sé il test rapido, ma il momento in cui era stato eseguito.

Tempi
Dopo essere stati esposti al coronavirus, avendo per esempio trascorso del tempo al chiuso con una persona contagiosa, passa qualche giorno prima che si sviluppi un’eventuale infezione da coronavirus vera e propria. Se questa si verifica, occorre attendere che la carica virale sia sopra una certa soglia per essere identificata dai test.

La soglia è in genere più bassa per i test molecolari, che possono quindi rilevare la presenza del coronavirus dopo 2-3 giorni, mentre per un test antigenico occorre attendere che la carica virale aumenti nei giorni successivi (e non è sempre detto che ciò avvenga, specialmente se si è vaccinati).

Qui è bene ricordare che nel caso di contatto certo e stretto con un caso positivo ci sono le regole fornite dal ministero della Salute, che al momento – il 28 dicembre – prevedono una quarantena di 7 giorni per i vaccinati e di 10 per i non vaccinati, la cui fine viene poi confermata dopo essere risultati negativi a un test molecolare o antigenico in farmacia. È tuttavia in corso un dibattito nel governo sull’opportunità di accorciare i tempi della quarantena, specialmente per i vaccinati.

I contatti dovrebbero essere notificati e tracciati, cosa che però sta avvenendo sempre meno anche a causa dell’alto numero di nuovi contagi a causa della variante omicron. Parte del tracciamento si è inoltre perso per strada a causa del ricorso ai tamponi fai-da-te, con i quali chi apprende di essere positivo non sempre effettua – come invece sarebbe importante facesse – ulteriori test in farmacia o in laboratorio, che finiscono nei conteggi ufficiali.

L’attesa minima di sette giorni dal contatto è utile per raggiungere il momento in cui, se si è stati contagiati, si ha una carica virale tale da essere rilevata con maggiori probabilità, sia da un test molecolare sia da un test antigenico. Fino a quel momento si potrebbe essere comunque contagiosi ed è per questo che viene data l’indicazione di rimanere in quarantena nei giorni precedenti. In Italia, come in altri paesi, si sta valutando se questo isolamento possa essere evitato o ridotto per i vaccinati, che tendono a essere contagiosi per meno tempo e spesso in modo più blando.

Vaccini
La vaccinazione ha infatti cambiato un poco le cose: oltre a ridurre enormemente il rischio di sviluppare forme gravi della COVID-19, in alcuni casi non impedisce che si sviluppino sintomi lievi piuttosto in fretta dopo l’infezione, segno della rapida risposta del sistema immunitario che ha imparato a contrastare il coronavirus proprio grazie al vaccino.

Può quindi accadere che alcune persone abbiano sintomi blandi (come tosse, naso che cola e febbre lieve) anche nella fase in cui la carica virale è ancora bassa. In questo caso, se si sottopongono a un test antigenico è probabile che ottengano un esito negativo, perché la concentrazione di antigeni non è a livelli tali da essere rilevata soprattutto nelle cellule delle mucose nasali. Questa condizione può prolungarsi per giorni, in cui si è poco o per nulla contagiosi, con una buona probabilità di continuare a risultare negativi ai test antigenici. La causa non è tanto la specificità e la sensibilità dei test rapidi, ma l’efficacia dei vaccini.

Con sintomi
Come abbiamo visto per le persone che hanno avuto certamente contatti stretti con una persona poi risultata positiva ci sono le indicazioni del ministero della Salute. Ci sono però molti altri casi in cui non si sa di essere stati a contatto con una persona contagiosa, eppure si hanno sintomi che potrebbero far sospettare un’infezione da coronavirus.

Se si dispone di un numero sufficiente di test fai-da-te, può essere utile effettuarne uno il giorno in cui sono comparsi i sintomi e, se negativo, ripeterlo dopo 2-3 giorni e se ancora negativo effettuarlo nuovamente il quinto giorno, sempre dall’insorgenza dei sintomi. Nel caso in cui si disponga di un solo test fai-da-te, è consigliabile attendere il secondo o terzo giorno dopo l’inizio dei sintomi.

Nel caso di un esito positivo è opportuno effettuare un test molecolare per confermare il risultato e per essere compresi nel tracciamento. Finché si è positivi è inoltre importante rimanere in isolamento.

Senza sintomi
Molte persone in questi giorni di festa stanno utilizzando i tamponi antigenici (fai-da-te o da eseguire in farmacia) per verificare un’eventuale positività al coronavirus e nel caso evitare di partecipare a pranzi, cenoni e incontri con amici e parenti. Lo fanno quindi senza avere avuto sintomi o notizia di essere entrate in contatto con individui che avevano poi scoperto di essere positivi al coronavirus.

Il ricorso al test fai-da-te può dare qualche sicurezza in più (seppure non assoluta) sul fatto di non essere contagiosi nel momento in cui viene eseguito e nelle ore immediatamente successive. Vari esperti consigliano quindi di fare un antigenico rapido (che sia fai-da-te o in farmacia) nell’imminenza dell’incontro cui si vorrà partecipare.

Se si sceglie di ricorrere a questo sistema occorre ricordare che, per i motivi che abbiamo visto prima, il risultato negativo non dà garanzie assolute e non esclude che un’eventuale infezione sia in corso, ma al punto da non essere ancora identificabile dal test. In previsione di diversi incontri, alcuni consigliano di effettuare un test ogni 3-4 giorni, in modo da aumentare le probabilità di rilevare un’eventuale positività al coronavirus.

Sospetto contatto
Nel caso in cui ci sia il forte sospetto di essere entrati in stretto contatto con una persona positiva, il test rapido dovrebbe essere effettuato dopo un paio di giorni dalla sospetta esposizione e ripetuto giornalmente per una settimana. Se non si dispone di test a sufficienza, può essere utile effettuarne almeno uno tra il terzo e il quinto giorno dopo il sospetto contatto.

In conclusione
I test rapidi, specialmente se fai-da-te, possono essere impiegati per avere qualche elemento in più con cui decidere se incontrare o meno altre persone, soprattutto al chiuso e per diverse ore come può avvenire durante un pasto. Devono essere utilizzati seguendo le istruzioni e con cura, altrimenti non funzionano.

L’impiego dei test rapidi non implica comunque che si possano tralasciare le altre buone pratiche come l’impiego delle mascherine, il distanziamento fisico e garantire un buon ricambio d’aria negli ambienti al chiuso. Occorre poi ricordare che i test non sono infallibili e che fotografano comunque l’istante in cui vengono effettuati, e che un risultato negativo non implica che poco tempo dopo si possa risultare positivi a un altro test (magari più sensibile come quello molecolare).

Senza farsi prendere da ansie e frenesie, i test rapidi se usati quando necessario possono essere un complemento alla protezione offerta dai vaccini. Chi è vaccinato, specie se con dose di richiamo, corre molti meno rischi di ammalarsi e di sviluppare sintomi gravi ed è meno contagioso e per meno tempo rispetto a una persona non vaccinata. Sono il sistema più importante che abbiamo per proteggere noi stessi e gli altri.