Gli effetti di Instagram sui più giovani

Un’indagine su Meta avviata da diversi stati americani ha riportato l’attenzione su una questione controversa e studiata, ma difficile da inquadrare

Instagram
(Fabian Sommer/dpa)
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Giovedì 18 novembre i procuratori generali di diversi stati americani hanno reso noto di aver avviato un’indagine su Meta, l’azienda precedentemente e ancora oggi nota come Facebook, per accertare eventuali violazioni delle leggi sulla protezione dei consumatori riguardo ai metodi utilizzati  per attirare e trattenere il pubblico più giovane su Instagram, pur essendo a conoscenza dei danni alla salute fisica e mentale associati all’uso della piattaforma per una parte di quel pubblico.

L’indagine sarà condotta da una coalizione di almeno 11 stati, guidati sia da governatori repubblicani che democratici, tra cui California, Florida, Kentucky, Massachusetts, Minnesota, New Jersey, New York e Nebraska, ha scritto il New York Times. Gli stati indagheranno sulle «tecniche utilizzate da Meta per aumentare la frequenza e la durata del coinvolgimento dei giovani e delle giovani utenti, e i danni provocati da un coinvolgimento così prolungato», ha affermato il procuratore generale del Nebraska Doug Peterson.

L’iniziativa congiunta dei procuratori generali ha riportato l’attenzione dei media statunitensi e dell’opinione pubblica su una delle questioni sollevate dalle inchieste più recenti su Facebook e dalle informazioni contenute nei documenti diffusi dalla “whistleblower” Frances Haugen, ex dipendente dell’azienda.

Quei documenti avevano confermato i fallimenti di Facebook nel contrastare la disinformazione e l’incitamento all’odio e alla violenza, aggiungendo però alcuni nuovi elementi riguardo alla presunta inclinazione dell’azienda a privilegiare i profitti a scapito dell’introduzione di possibili misure di contrasto degli effetti negativi delle piattaforme sulla salute mentale delle persone più giovani, e in particolare degli effetti negativi di Instagram sulle giovani adolescenti.

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Approfondimenti e analisi pubblicate dopo i Facebook Papers da vari giornali e siti di informazione hanno, da un lato, sostenuto l’urgenza di studiare con particolare attenzione gli effetti dei social media sulle persone più giovani e, dall’altro, hanno invitato a distinguere i diversi aspetti della questione. In particolare, diversi studiosi e studiose hanno suggerito di considerare con grande cautela qualsiasi associazione tra certi problemi di salute mentale o disagi giovanili e l’utilizzo dei servizi offerti da Meta e da altre aziende di social network.

Un portavoce di Meta sostiene che l’indagine sia basata su un’errata interpretazione di questioni più ampie che riguardano anche altre piattaforme di social media.

Cosa dicono di Instagram i Facebook Files
Gli effetti dei social media e in particolare di Instagram sulla salute mentale delle persone adolescenti erano stati argomento di una discussa inchiesta giornalistica pubblicata dal Wall Street Journal tra settembre e ottobre, sulla base dei documenti interni forniti al giornale da Haugen. Le inchieste erano intitolate “The Facebook Files”.

Secondo uno dei documenti consultati dal WSJ, un gruppo di ricerca specifico di Facebook – che attraverso focus group, sondaggi online e diari quotidiani si occupò per 18 mesi di una serie di questioni relative alle interazioni delle e degli utenti con le piattaforme – aveva concluso e reso noto all’azienda, a partire dal 2019, che per una parte significativa di utenti vulnerabili Instagram può generare «confronti sociali negativi» più di altri social media, quando quelle persone valutano il loro valore in relazione alle attrattive, alla ricchezza e al successo di altre persone. «Le persone utilizzano Instagram perché è una competizione. Questa è la parte divertente», aveva obiettato un dirigente, ora non più in carica, a margine di una presentazione del gruppo, difendendo l’idea del confronto sociale.

Il gruppo aveva aggiunto che su Instagram i filtri e i contenuti presentati attraverso la funzione “Esplora” si concentrano sull’abbellimento del volto, su immagini del corpo e su messaggi riguardanti stili di vita e regimi alimentari più di quanto accada su app di aziende rivali come TikTok o Snapchat. E che Instagram è in grado di aggravare in molte giovani ragazze problemi di conflittualità con l’immagine del proprio corpo, contribuendo a favorire l’insorgenza di disturbi alimentari e di altro tipo, o a provocare atti di autolesionismo. «Per una ragazza adolescente ogni tre, noi peggioriamo i problemi legati all’immagine del corpo», era scritto su una slide di una presentazione tenuta dal gruppo nel 2019.

«Il 32 per cento delle ragazze adolescenti hanno detto che quando si sentivano male in relazione ai loro corpi, Instagram le faceva sentire peggio», annotò il gruppo di ricerca sulla bacheca interna di Facebook a marzo 2020. Un’altra presentazione del gruppo indicava che, tra giovani adolescenti che avevano riferito pensieri di suicidio, il 13 per cento dell’utenza britannica e il 6 per cento di quella americana trovava in Instagram l’origine del desiderio di uccidersi. Come altre precedenti e successive inchieste su Facebook, anche quella del WSJ sugli effetti dannosi di Instagram sulle utenti più giovani concluse comunque che uno sforzo da parte dell’azienda per affrontare i problemi e tentare di contenerli c’era stato, seppur minimo.

Dalle informazioni fornite dal gruppo di ricerca, tra le altre cose, era emersa anche la sostanziale inutilità della scelta sperimentale di Facebook di nascondere il conteggio dei like dei post di Instagram per tentare di ridurre le sensazioni di ansia e i sentimenti negativi tra le persone adolescenti più vulnerabili. Ciononostante, la modifica fu implementata in via definitiva dopo che, secondo i documenti, alcuni alti dirigenti suggerirono a Zuckerberg che quella scelta avrebbe migliorato comunque la reputazione della società dando l’idea che si stesse occupando del problema.

Facebook non ha reso pubblici i risultati delle ricerche interne, né disponibili per studiosi e legislatori che ne hanno fatto richiesta nei mesi scorsi, e da tempo cerca perlopiù di minimizzare gli effetti negativi delle sue app sulle persone adolescenti. «Le ricerche che abbiamo mostrano che utilizzare app social per connettersi con altre persone può avere effetti benefici per la salute mentale», dichiarò il CEO di Meta Mark Zuckerberg durante un’interrogazione al Congresso a marzo 2021.

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In occasione della pubblicazione dell’inchiesta, il capo di Instagram Adam Mosseri non ha contestato i risultati delle ricerche interne né negato che alcune funzionalità di Instagram possano essere dannose per la salute mentale di una minoranza di giovani utenti. Ha tuttavia ridimensionato l’effettiva incidenza del fenomeno accusando il WSJ di aver decontestualizzato la ricerca del gruppo interno e trascurato altri aspetti che descrivevano invece Instagram come uno strumento di aiuto per molte ragazze adolescenti con problemi. «È semplicemente inesatto sostenere che questa ricerca dimostri che Instagram sia “tossico” per le ragazze adolescenti», ha scritto a settembre sul blog dell’azienda il vicepresidente e capo della ricerca di Meta Pratiti Raychoudhury.

Mosseri ha aggiunto che i social media rappresentano un aspetto della vita moderna in grado di produrre benefici di gran lunga superiori ai danni, e che sono in fase di studio strumenti e funzionalità in grado di individuare le persone in difficoltà su Instagram e indirizzarle verso contenuti positivi. «Ma dobbiamo essere onesti e accettare che ci siano dei compromessi. Non è semplice come spegnere qualcosa e pensare che migliorerà, perché spesso puoi anche peggiorare le cose, involontariamente», ha aggiunto.

Intanto, alla fine di settembre, Instagram ha annunciato di aver sospeso i piani di introduzione di una versione della app per i bambini, a seguito delle preoccupazioni emerse dopo la pubblicazione dei primi Facebook Files. Come per altri social media, le persone con meno di 13 anni non possono avere un account e utilizzare Instagram, sebbene Meta abbia affermato di sapere che questo divieto sia poi nei fatti diffusamente trasgredito.

Cosa ne pensano fuori da Facebook
Alcune analisi critiche del contenuto dei Facebook Papers, in parte già noto da precedenti inchieste degli ultimi anni, hanno offerto letture più ampie a proposito delle interazioni problematiche delle giovani adolescenti su Instagram. In un articolo sull’Atlantic il giornalista Derek Thompson ha posto prima di tutto l’attenzione sul fatto che secondo i documenti interni consultati dal Wall Street Journal la maggior parte delle adolescenti ha comunque affermato di ritenere Instagram un mezzo utile e divertente, pur avendo consapevolezza degli aspetti compulsivi e deprimenti.

Thompson ha quindi proposto un parallelismo tra i social media e un altro «prodotto divertente che a quanto pare milioni di persone amano; che è nocivo in grandi dosi; che fa sentire una minoranza considerevole più ansiosa, più depressa e peggio riguardo al proprio corpo; e che molte persone faticano a usare con moderazione»: l’alcol. Come l’alcol, prosegue Thompson, i social media offrono un insieme di euforia a breve termine e rimpianti a lungo termine, e possono portare a comportamenti dolorosi e anche dipendenze per una minoranza di persone.

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L’esperimento centrale di una ricerca pubblicata a giugno scorso e finanziata dal National Bureau of Economic Research (NBER), organizzazione privata statunitense che si occupa di studi economici, ha mostrato che l’uso di incentivi per ridurre l’utilizzo dei social media ha effetti duraturi, suggerendo che i social media siano effettivamente in grado di creare assuefazione. E ha mostrato che permettere alle persone di impostare limiti di tempo trascorso davanti ai dispositivi riduce sostanzialmente l’utilizzo dei social, suggerendo l’esistenza di problemi di autocontrollo alla base degli abusi.

I ricercatori Hunt Allcott e Matthew Gentzkow e la ricercatrice Lena Song, autori e autrice della pubblicazione del NBER, conclusero che sulla base del modello economico da loro utilizzato i problemi di autocontrollo, amplificati dalla formazione di abitudini, sarebbero responsabili del 31 per cento dell’utilizzo dei social media. Che è come dire, scrive Thompson commentando la ricerca, che circa un minuto su tre trascorso sui social media è tempo che né contavamo di trascorrere sui social né ci procura sensazioni di piacere quando ci pensiamo retrospettivamente.

Secondo Thompson il paragone tra alcol e social media è utile a comprendere il genere di infrastruttura sociale storicamente costruita intorno all’alcol e al momento ancora assente per i social media. La necessità di limitare il consumo di alcol è un elemento fortemente presente e radicato nelle nostre culture, dagli avvisi sul bere in modo responsabile alle organizzazioni che si dedicano al contrasto degli abusi e delle dipendenze da alcol. Inoltre, mentre abbiamo consumato alcol per migliaia di anni arrivando a studiarne gli effetti biochimici sul corpo umano, i social media esistono da meno di due decenni e stiamo ancora cercando di capire quali effetti abbiano sia sugli individui che sulle collettività.

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Gli effetti dannosi di Instagram e dei social sulle persone adolescenti potrebbero inoltre avere a che fare tanto con i meccanismi delle app quanto con le particolari condizioni psicologiche di una parte di quel pubblico, ha detto Rachel Rodgers, docente di psicologia applicata alla Northeastern University a Boston e studiosa delle influenze socioculturali sulla rappresentazione del corpo e sulle preoccupazioni alimentari. La natura prevalentemente visiva delle piattaforme di social media preferite dalle persone più giovani tende a conferire un «premio sociale» all’aspetto, e questo può essere un problema per le persone adolescenti, che stanno ancora sviluppando il loro senso di identità.

«Non c’è dubbio che ci siano ricerche sostanziose che dimostrano che queste piattaforme possano avere un effetto negativo sulle persone giovani», ha chiarito Rodgers. Secondo lei il principale aspetto delle app più utilizzate da questo tipo di pubblico, oltre alla componente visiva dominante, è l’interattività: «uno degli obiettivi della pubblicazione è ottenere un feedback», e «in una concettualizzazione in cui vali soltanto per ciò che è la tua immagine, quell’immagine diventa un riflesso diretto del tuo valore come persona».

Secondo Rodgers, una parte dei problemi delle ragazze adolescenti con Instagram non è qualcosa di risolvibile attraverso interventi esterni sulle piattaforme. E, in generale, le responsabilità delle aziende proprietarie di quelle app non dovrebbero essere diverse da quelle collettive né sollevare altre persone e organizzazioni dalla responsabilità di rendere il mondo un posto sicuro, equo e prosociale. «Vale per le aziende di abbigliamento e di bellezza, tutte aziende che traggono profitto dal far sentire alle persone che il loro aspetto è inadeguato. E penso valga anche per noi e per gli altri e le altre utenti dei social, è una responsabilità sociale».

Del concetto di responsabilità sociale ha scritto anche Cal Newport, collaboratore del New Yorker e docente di informatica alla Georgetown University, a Washington, D.C. Secondo Newport molti dei commenti alle inchieste del Wall Street Journal si sono concentrati sulla richiesta di regole e restrizioni per le piattaforme di Meta, e mostravano una certa frustrazione per il fatto che provvedimenti da tempo richiesti non fossero ancora stati attuati.

Ma a quelle riflessioni mancava una considerazione che secondo Newport dovrebbe invece essere una risposta piuttosto naturale al problema dei danni di Instagram sulle persone più giovani: chiedersi se non sia il caso di vietarne l’uso ai ragazzini e alle ragazzine. Secondo Newport, una grande parte dell’opinione pubblica e della politica che commenta le inchieste giornalistiche su Facebook, fin dai tempi del caso Cambridge Analytica, accetta implicitamente che la presenza di questi strumenti non possa essere messa in discussione e che tutto ciò che resti da discutere sia come funzionano.

«Non sono del tutto sicuro che dovremmo così sbrigativamente rinunciare a interrogarci sulla necessità di queste tecnologie nelle nostre vite, specialmente quando hanno un impatto sul benessere dei nostri figli e delle nostre figlie», ha scritto Newport.

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Secondo Jonathan Haidt, docente di psicologia sociale alla New York University e studioso molto citato a proposito delle questioni relative ai social media e alla salute mentale nell’adolescenza, gli effetti negativi dei social sono molto concentrati tra le persone giovani e le ragazze adolescenti in particolare, i cui tassi di depressione, ansia e autolesionismo negli Stati Uniti sono aumentati costantemente dai primi anni Dieci del Duemila. «Molto più che per i ragazzi, l’adolescenza in genere accresce l’autocoscienza delle ragazze riguardo al proprio corpo che cambia e amplifica le insicurezze riguardo al posto in cui si collocano all’interno della loro rete sociale», ha scritto Haidt sull’Atlantic.

Haidt sostiene che i social media, e Instagram in particolare, sostituiscano altre forme di interazione tra adolescenti, mettendo in mostra le dimensioni del loro gruppo di amici, e sottoponendo il loro aspetto fisico alle metriche dei “Mi piace” e del conteggio dei commenti: «Prende il peggio delle scuole medie e delle riviste patinate, e lo intensifica». Haidt cita quindi uno studio pubblicato nel 2018 su EClinicalMedicine, una rivista ad accesso gratuito pubblicata dalla rivista scientifica Lancet, secondo cui le ragazze che utilizzano molto i social media hanno circa due o tre volte più probabilità di dire di sentirsi depresse rispetto alle ragazze che li usano poco o per niente.

Allo stesso tempo, Haidt chiarisce i limiti delle ricerche che tentano di collegare l’aumento dei problemi di salute mentale e l’utilizzo dei social, quando afferma che «la correlazione non prova il nesso di causalità». Si chiede tuttavia se i dati prodotti dalle già numerose ricerche degli ultimi anni siano comunque sufficienti a considerare con urgenza la questione: «Se gli americani non faranno niente fino a quando i ricercatori non potranno dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che Instagram e la sua azienda proprietaria Facebook (ora Meta) stanno facendo del male alle ragazze adolescenti, queste piattaforme potrebbero non essere mai ritenute responsabili e il danno potrebbe continuare indefinitamente».

Secondo Haidt, le piattaforme di social media non sono state inizialmente progettate per adolescenti, ma quel pubblico è comunque diventato «oggetto di un gigantesco esperimento nazionale che ha verificato gli effetti di tali piattaforme. Senza un adeguato gruppo di controllo, non possiamo essere certi che l’esperimento sia stato un fallimento catastrofico, ma probabilmente lo è stato».

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In un articolo pubblicato dal New York Times qualche settimana dopo l’inchiesta del Wall Street Journal, Laurence Steinberg, docente di psicologia della Temple University a Philadelphia e studioso di problemi dell’adolescenza, ha espresso alcune perplessità e suggerito molta cautela nell’analisi delle correlazioni tra i social media e i problemi di salute mentale nelle persone giovani. La ricerca che collega quei problemi all’utilizzo di servizi come Instagram è ancora poco sviluppata, ha scritto Steinberg, e dovremmo essere attenti a non fare troppo affidamento sulle intuizioni.

In merito alle ricerche del gruppo interno di Facebook, ricerche prive di gruppi di controllo e i cui metodi includevano essenzialmente interviste e focus group con utenti di Instagram, Steinberg ha scritto che «la ricerca psicologica ha più volte dimostrato che spesso non capiamo noi stessi bene come pensiamo», e ha aggiunto che «gli studi scientifici sul comportamento umano cercano di andare oltre i resoconti degli individui sul perché sentono ciò che sentono o perché si comportano come fanno».

Gli psicologi concordano sul fatto che negli ultimi anni ci sia stato un aumento della depressione e dei relativi problemi di salute mentale tra le persone giovani, afferma Steinberg, e che questa tendenza meriti urgente attenzione. «Ma districare causa ed effetto nella ricerca delle correlazioni che collegano le esperienze e la salute mentale è una sfida enorme», ha aggiunto.

Sebbene esista una crescente letteratura scientifica sui legami tra social media e salute mentale tra le persone adolescenti, scrive Steinberg, non è ancora possibile trarre conclusioni certe perché pochissimi studi presentano caratteristiche abbastanza diverse da quelle delle carenti ricerche interne di Facebook. E gli studi più accreditati e scientificamente solidi hanno sì trovato una correlazione negativa tra l’uso dei social media e la salute mentale nelle persone adolescenti, ma la maggior parte ha riscontrato effetti molto ridotti, ancora più ridotti se confrontati con altri fattori che possono incidere sull’insorgenza dei problemi di salute mentale.

«Dare la colpa a Facebook per il malessere di una persona adolescente può diventare un modo conveniente per evitare altre spiegazioni, più scomode ma ugualmente plausibili, come disfunzioni familiari, abuso di sostanze e stress legato alla scuola», conclude Steinberg.

Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.