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  • Sabato 20 novembre 2021

L’assoluzione di Kyle Rittenhouse

Al 18enne americano che uccise due uomini durante una protesta di Black Lives Matter è stato riconosciuto il diritto all'autodifesa

(Sean Krajacic-Pool/Getty Images)
(Sean Krajacic-Pool/Getty Images)

Kyle Rittenhouse, il 18enne americano che nell’agosto del 2020 uccise due uomini e ne ferì un altro sparando con un fucile semiautomatico a Kenosha, Wisconsin, mentre agiva come vigilante autoproclamato durante una protesta di Black Lives Matter, è stato assolto da tutti i capi di imputazione nel processo che si è concluso venerdì.

Non è una sentenza sorprendente per chi aveva seguito il caso e per come si era svolto il processo, che si era concentrato sul diritto dell’imputato di difendersi in una situazione in cui, ha stabilito la giuria, si sentiva legittimamente in pericolo di vita. Il fatto che avesse scelto consciamente di pattugliare con un’arma semiautomatica una situazione affollata, caotica e imprevedibile non è stato giudicato influente. La sentenza è stata criticata duramente negli Stati Uniti, e anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha detto di essere arrabbiato come molti altri americani, aggiungendo però: «Sto dalla parte di ciò che ha concluso la giuria. Il sistema funziona, e bisogna adeguarsi».

Attorno alla figura di Rittenhouse si era sviluppata negli ultimi mesi la retorica della destra americana, che aveva costruito una narrazione eroica intorno alla sua scelta di armarsi e di mantenere l’ordine da solo nel contesto caotico delle proteste antirazziste dell’estate dell’anno scorso, che a Kenosha – come in molte altre città – erano diventate in parte violente e avevano incluso roghi e vandalismi. Per moltissime altre persone, invece, Rittenhouse era diventato un simbolo del razzismo violento statunitense, per la sua scelta di fare il vigilante alle proteste di Black Lives Matter, anche se le due persone uccise erano dei manifestanti bianchi.

Pochi giorni prima dei fatti, a Kenosha, il 29enne afroamericano Jacob Blake era rimasto paralizzato dalla vita in giù dopo essere stato ferito con sette colpi di pistola dalla polizia durante un tentativo di arresto. Seguirono cortei, manifestazioni e anche saccheggi e atti di vandalismo. Gruppi di vigilanti armati bianchi pattugliarono le strade, nonostante l’opposizione del sindaco e dello sceriffo locali. Rittenhouse non era nemmeno di Kenosha, ma viveva a una trentina di chilometri di distanza. Con un amico si posizionò nei pressi di una concessionaria di automobili con l’intenzione di difenderla dai vandali.

A un certo punto dovette allontanarsi, e poco prima della mezzanotte uccise il primo manifestante. La difesa, al processo, ha convinto la giuria che Rittenhouse agì per legittima difesa: nella sua testimonianza, l’imputato ha sostenuto che Joseph Rosenbaum, 36enne bianco che stava partecipando alle manifestazioni, lo aveva minacciato, inseguito e gli aveva tirato una borsa. Secondo Rittenhouse, se gli avesse permesso di prendergli il fucile, «l’avrebbe usato per uccidermi e per uccidere altre persone».

Sempre secondo la versione della difesa, ritenuta credibile dalla giuria, una folla aggressiva aveva inseguito Rittenhouse dopo l’uccisione di Rosenbaum, e Anthony Huber, 26enne anche lui bianco, lo aveva colpito con uno skateboard, afferrandogli il fucile. Rittenhouse quindi gli aveva sparato al petto, uccidendolo, per poi colpire anche un terzo uomo – il 27enne bianco Gaige Grosskreutz – che gli aveva puntato contro una pistola.

Rittenhouse aveva reso la sua testimonianza piangendo e agitandosi in aula, e anche durante la lettura della sentenza di assoluzione ha avuto un momento di grande commozione ed emozione. Per giorni, fuori dal tribunale in cui si è celebrato il processo, si erano radunati manifestanti del movimento Black Lives Matter e gruppi di suoi sostenitori, perlopiù gruppi di bianchi di destra che consideravano il processo importante per sostenere il diritto di autodifesa negli Stati Uniti.

È per questo principio che la giuria ha deciso l’assoluzione. La questione, hanno commentato vari analisti, è che essenzialmente le leggi statunitensi garantiscono il diritto di autodifesa alle persone che, armate, si mettono deliberatamente in situazioni di grande pericolo. Per le leggi del Wisconsin, non era Rittenhouse a dover provare di essere stato in pericolo di vita, ma era l’accusa a dover provare che non lo era: non ci è riuscita, perlomeno secondo i 12 giurati. Secondo diversi esperti di giustizia, poi, l’accusa ha anche fatto degli errori, principalmente provando a presentare Rittenhouse come uno sparatore che la folla stava cercando di fermare, una tesi che la difesa è riuscita a smontare convincendo la giuria.