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Il ricovero degli austro-ungarici scongelato parzialmente (Museo della Guerra Bianca in Adamello)

Un pezzo di Prima guerra mondiale rimasto cent’anni nel ghiaccio

Un rifugio militare perfettamente conservato, scoperto in una grotta sullo Stelvio, è stato smontato per essere esposto altrove

di Mario Macchioni

Tra il 6 e l’8 giugno 1915 alcuni reparti dell’esercito austro-ungarico attaccarono il monte Scorluzzo, nei pressi del passo dello Stelvio. L’Italia era entrata solo da pochi giorni nella Prima guerra mondiale, e il grosso dei suoi sforzi militari era concentrato più a est, sull’Isonzo, perciò lo Scorluzzo era presidiato soltanto da un’esigua guarnigione di alpini. Dopo brevi combattimenti gli austro-ungarici conquistarono la vetta, approfittando di un errore di valutazione degli italiani, che si lasciarono sfuggire il punto più alto della zona e il più vantaggioso dal punto di vista strategico.

Dopodiché, un piccolo contingente austro-ungarico venne incaricato di costruire un ricovero scavando nella roccia della montagna. A oltre tremila metri di quota, i soldati allestirono una baracca di legno incastonata in una grotta artificiale. Lì trascorsero tre inverni dormendo sulla paglia, con coperte sottili, a temperature di circa 30 gradi sotto zero, fino a quando non terminò la guerra. A quel punto venne abbandonato e per un secolo, da allora, rimase completamente sommerso dal ghiaccio.

Solamente tra il 2017 e il 2020 un gruppo di volontari del Museo della Guerra Bianca di Temù (Brescia), in collaborazione con il Parco nazionale dello Stelvio, ha recuperato e smantellato il ricovero in ogni sua minima parte, in un’operazione lunga e complessa che è durata quattro estati e che dovrebbe portare alla ricostruzione integrale del ricovero in un’altra sede.

Quando i volontari hanno sciolto il ghiaccio che invadeva la grotta, l’ambiente che si sono trovati di fronte era probabilmente identico a come l’avevano lasciato i soldati. Dopo i tre lunghi inverni che avevano passato lì dentro, i soldati seppero della fine della guerra mentre se ne stava avvicinando un quarto, nel novembre del 1918. Fortunatamente per loro sopravvissero, perché lo Scorluzzo non fu territorio di grandi combattimenti. Gli italiani tentarono di riconquistarlo solo qualche volta, ma senza troppa determinazione.

Durante il loro viaggio di ritorno verso l’Austria, i soldati portarono con sé solo l’essenziale, lasciando molte cose al ricovero. Probabilmente nel giro di poco, con le nevicate invernali, la cima del monte Scorluzzo venne ricoperta di neve, e la stessa cosa accadde alla grotta artificiale. Per i successivi cento anni rimase sigillata dal ghiaccio, anche dopo che i ghiacciai intorno cominciarono a ritirarsi per via del cambiamento climatico. A partire dagli anni Ottanta e Novanta riemersero una gran quantità di reperti della cosiddetta “guerra bianca”, nome con cui ci si riferisce alle battaglie della Prima guerra mondiale combattute in quota lungo il fronte italo-austriaco. Ma il ghiaccio nel ricovero dello Scorluzzo resistette.

Alpini sul ghiacciaio del Mandrone durante la Prima guerra mondiale; sullo sfondo, la Presanella e la cima della Lobbia alta, che fa parte del gruppo dell’Adamello (Museo della Guerra Bianca in Adamello)

Una parte minima cominciò a sciogliersi nei primi anni Duemila. Walter Belotti, presidente dell’associazione del museo di Temù, racconta che già intorno al 2008 aveva individuato la grotta, ipotizzando che dentro potesse esserci un rifugio risalente al periodo bellico. Belotti e la sua associazione da decenni presidiano la zona della Val Camonica e della Valtellina, recuperando i resti della guerra bianca riemersi nel corso degli anni. «All’epoca il ghiaccio si era ritirato di meno di un metro rispetto all’entrata» dice Belotti. «Però l’ho tenuto monitorato in caso fosse uscito qualcosa».

Passò qualche anno prima che qualcuno del museo capitasse di nuovo nei pressi della grotta. Nel 2015, il responsabile scientifico John Ceruti si trovava lì insieme a un video operatore per girare un documentario. Quando notarono che il ghiaccio della grotta si era parzialmente sciolto nella parte alta, lasciando circa mezzo metro di spazio tra il soffitto e il blocco di ghiaccio, decisero di provare a entrare. Strisciando sull’addome arrivarono in fondo alla grotta e su una mensola, in quella che era la parte alta del ricovero, trovarono una cartolina e un paio di guanti.

Lo stato di conservazione quasi perfetto dei due oggetti fecero capire a Ceruti che con ogni probabilità erano rimasti nel ghiaccio fino a poco tempo prima. Sulla cartolina c’era scritto “Non ti scordar di me” in tedesco.

Ceruti e l’operatore furono dunque le prime persone in quasi cento anni a entrare nel ricovero, rimasto per certi versi immune al trascorrere del tempo grazie al ghiaccio, che da una parte aveva conservato gli oggetti al suo interno nell’esatta posizione in cui si trovavano, e dall’altra aveva impedito l’accesso alla grotta preservandola dalle visite di persone curiose e da eventuali atti di vandalismo.

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