Nelle scuole si sono accumulati milioni di mascherine inutilizzate

Sono quelle distribuite ogni giorno dalla struttura commissariale, che però la maggior parte degli studenti considera scomode

(AP Photo/Domenico Stinellis)
(AP Photo/Domenico Stinellis)

Nel magazzino dell’istituto superiore Gaetano Curcio di Ispica, in provincia di Ragusa, sono stati impilati diversi scatoloni pieni di mascherine chirurgiche. Sono nuove, ancora imbustate, e probabilmente lo rimarranno a lungo. «In totale sono diecimila mascherine» dice al Post il dirigente scolastico Maurizio Franzò. «Lo scorso anno arrivammo a diciassettemila». Sono state consegnate dalla struttura commissariale e sono a disposizione degli studenti, che però non le utilizzano perché considerate scomode e di scarsa qualità.

Per questo quasi tutte le persone che frequentano la scuola, compresi gli insegnanti e gli operatori scolastici, preferiscono comprarsele da soli e portarle da casa: nel frattempo i corrieri continuano a consegnare gli scatoloni, che vengono portati direttamente in magazzino, dove si accumulano. Ma non è solo un problema dell’istituto Curcio: in tutta Italia moltissime scuole stanno conservando presumibilmente milioni di mascherine che nessuno vuole usare.

La distribuzione delle mascherine nelle scuole iniziò a settembre dello scorso anno, con il ritorno in classe dopo i primi mesi dell’emergenza sanitaria, il lockdown e le vacanze estive. L’allora ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina annunciò che sarebbero stati distribuiti 11 milioni di mascherine ogni giorno per garantire la sicurezza all’interno delle classi.

Già nei primi giorni di scuola, però, in tutta Italia studenti, genitori e professori iniziarono a lamentarsi per via della tipologia di mascherine scelte: la struttura commissariale, all’epoca guidata da Domenico Arcuri, aveva ordinato milioni di dispositivi di protezione diversi rispetto alle classiche mascherine in commercio. Erano state definite mascherine «a mutanda» a causa della forma, una fascia senza elastici piuttosto scomoda, spesso troppo grande o troppo piccola, perché prodotta in due sole misure.

Dalle elementari alle superiori a usarle era una parte minoritaria degli studenti, e nei contratti non era stata prevista la sospensione della distribuzione durante la didattica a distanza. Così ogni scuola iniziò ad accumulare migliaia di mascherine mentre gli studenti erano a casa.

Da settembre 2020 la struttura commissariale iniziò a pubblicare tutti i dati che mostravano quante mascherine erano state distribuite e in quali scuole. Secondo l’ultimo aggiornamento, al primo ottobre ne sono state distribuite quasi 1,8 miliardi. Nel momento in cui passano in gestione alle scuole, il tracciamento comprensibilmente finisce: non si sa quante ne vengano effettivamente distribuite e quante rimangano nei magazzini. È quindi difficile stimare quante ne siano state davvero utilizzate e quante se ne stiano accumulando. Visto che in Italia ci sono oltre 40mila sedi scolastiche, è presumibile che quelle inutilizzate nei magazzini siano milioni.

Con l’inizio del nuovo anno scolastico non ci sono state novità rilevanti sulla distribuzione, sulla gestione e sui problemi legati alle eccedenze: secondo molte segnalazioni e secondo le testimonianze di diversi dirigenti scolastici contattati dal Post, le ragazze e i ragazzi continuano perlopiù a non usare le mascherine messe a disposizione dalla struttura commissariale.

«Sull’efficacia non mi posso esprimere perché non sono un tecnico», dice Rossella Landi, dirigente dell’istituto scolastico Majorana di Moncalieri e presidente regionale dell’ANP, l’associazione nazionale presidi. «In merito al modello, invece, posso dire che sono abbastanza scomode: non sono sorrette dai lacci dietro alle orecchie, come la maggior parte delle tipologie in commercio, ma hanno due bande elastiche che costringono a infilare la mascherina dalla testa e a lasciarla penzolare al collo quando si vuole abbassare. La mia scuola ha 1.700 studenti e al massimo ne distribuiremo trenta al giorno. Il resto si accumula in magazzino».

Recentemente è emerso anche un problema di conformità in due lotti da migliaia di pezzi. Il 6 settembre il ministero della Salute ha pubblicato una nota per comunicare alle scuole la sostituzione delle mascherine di due lotti – il numero 00914086180 e il 00914086190 – prodotti da FCA (Fiat Chrysler Automobiles) nello stabilimento di Mirafiori, a Torino, dal 24 agosto al 17 dicembre 2020 e distribuite alle scuole nelle settimane successive. La segnalazione era stata inviata dalla stessa azienda produttrice: il ministero ha dovuto avvertire tutte le scuole perché nel frattempo non era stata tenuta traccia di tutte le destinazioni dei due lotti. «Si prega di assicurare la massima divulgazione a tutti gli istituti scolastici interessati, affinché gli stessi provvedano a individuare, non utilizzare e quarantenare le eventuali giacenze delle suddette mascherine facciali», si legge nella nota.

A maggio il Fatto Quotidiano aveva spiegato che non sarebbe stato possibile interrompere la produzione almeno fino a settembre perché i contratti stipulati da Arcuri prevedevano il comodato d’uso di alcuni macchinari negli stabilimenti di FCA: fermare tutto sarebbe costato più di un milione di euro. «Figliuolo è salito su un treno in corsa e non poteva fare molto», dissero fonti della struttura commissariale al Fatto. La produzione è continuata e la consegna è ripresa con l’inizio del nuovo anno scolastico.

Negli ultimi mesi i dirigenti non hanno ricevuto nessuna indicazione su come gestire l’eccedenza di tutti questi dispositivi di protezione che potrebbero essere donati o essere utilizzati in altri settori della pubblica amministrazione. All’inizio dell’anno Ugo Carnevali, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo di San Giovanni Ilarione, in provincia di Verona, scrisse all’allora commissario Domenico Arcuri per chiedere alla sua struttura di non inviare più mascherine perché i suoi studenti non le utilizzavano. «Non mi ha risposto nessuno», dice. «E non è cambiato nulla, anzi anche nelle ultime settimane i pacchi hanno continuato ad accumularsi in un’aula: c’è una parete piena di scatoloni che vengono consegnati con frequenza settimanale».

Alcuni comuni hanno iniziato a raccogliere le mascherine non utilizzate nelle scuole per donarle a chi fa volontariato sul territorio, alle persone in difficoltà economiche o senza fissa dimora. Ma sono iniziative piuttosto limitate, perché al momento i dirigenti scolastici non sanno come fare: essendo un bene comprato dalla pubblica amministrazione, non è chiaro se e come possa essere donato. Molti dirigenti hanno cercato di capire come gestire le eventuali donazioni, senza avere risposte certe dal ministero dell’Istruzione.

– Leggi anche: La scuola non sa bene come fare con i test e le quarantene