• Mondo
  • Martedì 17 agosto 2021

La conferenza stampa dei talebani, spiegata

È stata la prima dalla conquista di Kabul: si è parlato di governo inclusivo, di diritti delle donne e di terrorismo, ma molte promesse vanno prese con scetticismo

di Elena Zacchetti

Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid (al centro), durante una conferenza stampa a Kabul (AP Photo/Rahmat Gul)
Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid (al centro), durante una conferenza stampa a Kabul (AP Photo/Rahmat Gul)

Martedì i talebani hanno tenuto la loro prima conferenza stampa dalla conquista di Kabul. Era assai attesa ed è stata molto seguita, perché molti governi stranieri, soprattutto occidentali, si stanno chiedendo se i talebani governeranno l’Afghanistan nella stessa maniera autoritaria e repressiva di vent’anni fa, oppure se, come suggerisce qualcuno, si mostreranno più moderati e “presentabili”, in modo da avere più legittimità a livello internazionale.

A parlare è stato Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, che ha fatto un breve discorso e poi ha risposto alle domande dei giornalisti presenti con l’evidente obiettivo di perseguire la seconda strada, cioè quella di mostrarsi con una faccia “presentabile” alla comunità internazionale. Mujahid ha affrontato diversi temi, tra cui i diritti delle donne e il rapporto con il gruppo terroristico di al Qaida.

Anzitutto ha detto che i talebani vogliono assicurarsi che «l’Afghanistan non sia più terreno di battaglia e di conflitto»: «Abbiamo perdonato tutti quelli che hanno combattuto contro di noi. […] Non vogliamo più nemici interni o esterni».

Queste rassicurazioni sono arrivate insieme a un’altra significativa promessa, che comunque potrebbe anche non essere mantenuta, come tutte le altre fatte durante la conferenza stampa: cioè che gli afghani che negli ultimi anni avevano collaborato con gli americani e gli altri governi stranieri non subiranno ritorsioni.

Da domenica molti di loro, soprattutto interpreti, stanno provando a imbarcarsi su un volo in partenza dall’aeroporto di Kabul per cercare di lasciare il paese, per lo più senza successo. La maggior parte dei governi occidentali impegnati nelle missioni militari in Afghanistan è stata accusata di avere abbandonato il personale locale, indispensabile per tutto il lavoro fatto negli ultimi anni. Riferendosi a loro, e rispondendo a una domanda di un giornalista, Mujahid ha detto: «Non vogliamo che i giovani che sono cresciuti qui se ne vadano. Sono una risorsa. […] Nessuno sarà interrogato o perseguito».

La bandiera dei talebani sistemata prima della conferenza stampa a Kabul (AP Photo/Rahmat Gul)

Sempre rispetto a un tanto annunciato processo di riconciliazione nazionale, a cui non è al momento facile credere, Mujahid ha detto: «Abbiamo perdonato tutti per il bene della stabilità o della pace in Afghanistan (…). Ci assicureremo di includere tutte le parti e tutte le fazioni» nella nuova struttura di potere.

Un altro passaggio molto ripreso è stato quello sui diritti delle donne. Mujahid ha specificato che i talebani agiranno in accordo ai loro princìpi religiosi – «gli afghani hanno diritto di avere le proprie regole» – ma ha anche detto: «Abbiamo l’intenzione di rispettare i diritti delle donne sotto il sistema della sharia [la legge islamica]. [Le donne] lavoreranno spalla a spalla con noi. Vogliamo rassicurare la comunità internazionale che non ci saranno discriminazioni». In un secondo momento, rispondendo a una domanda, ha aggiunto: «Permetteremo alle donne di lavorare e studiare all’interno del nostro sistema».

Al momento sembra difficile credere alle rassicurazioni dei talebani, soprattutto nella parte in cui si dice che non ci saranno discriminazioni, oltre che per alcune formulazioni assai vaghe che lasciano ampio spazio alle interpretazioni.

Nei cinque anni in cui governarono il paese, tra il 1996 e il 2001, le donne erano costrette a indossare il burqa, non potevano guidare bici, moto e auto, utilizzare cosmetici e gioielli ed entrare in contatto con qualsiasi uomo che non fosse il marito o un parente. Erano per lo più escluse dall’istruzione e da qualsiasi ruolo di potere. Negli ultimi due giorni i talebani a Kabul sono sembrati leggermente più permissivi, per esempio permettendo ad alcune giornaliste locali e straniere di andare in giro per la città a realizzare servizi (tra cui Clarissa Ward di CNN e le giornaliste dell’emittente locale TOLO News). Per paura, però, moltissime donne non sono uscite di casa e secondo Ward le vendite di burqa sono cresciute tantissimo.

Durante la conferenza stampa, Mujahid ha ribadito che sopra di tutto ci sarà il rispetto della legge islamica, che per i talebani significa il rispetto dell’interpretazione più rigida e conservatrice della sharia (diversi paesi a maggioranza musulmana hanno integrate nei loro ordinamenti delle norme islamiche, ma praticamente nessuno con la forma radicale adottata dai talebani).

Mujahid ha detto per esempio che «niente dovrà essere contro i valori islamici quando si parla di attività dei media», e che «i media non dovrebbero lavorare contro di noi. Dovrebbero lavorare per l’unità del paese». Ha aggiunto che i media privati potranno continuare a lavorare sotto il regime dei talebani.

Ha inoltre promesso l’eliminazione della coltivazione del papavero da oppio, di cui l’Afghanistan è molto ricco, perché contrario alla legge islamica. Mujahid ha detto che l’obiettivo sarà raggiunto come era stato fatto anche nel 2001. Le cose in realtà andarono in maniera diversa, lontana dalla versione raccontata da Mujahid: allora il divieto rimase solo sulla carta e la produzione di oppio continuò in maniera illegale, seppur in numeri assai ridotti, anche grazie al tacito assenso dei talebani che grazie alle estorsioni imposte ai coltivatori si arricchirono notevolmente.

Un ultimo passaggio piuttosto rilevante è stato quello relativo al rapporto che manterranno i talebani con il gruppo terroristico di al Qaida, a cui il regime talebano aveva offerto protezione e contro cui era stato diretto l’attacco militare americano nel 2001 in risposta agli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington, organizzati dall’Afghanistan e compiuti proprio da al Qaida. Mujahid ha detto che «il territorio dell’Afghanistan non sarà usato contro nessuno. Possiamo assicurare la comunità internazionale di questo».

Diversi analisti stanno comunque mettendo in dubbio la reale volontà dei talebani di rompere i rapporti con al Qaida, gruppo che peraltro non ha mai lasciato del tutto l’Afghanistan. I legami sono forti e non si sono mai spezzati, e i combattenti di al Qaida potrebbero tornare in breve tempo a organizzarsi grazie alla protezione offerta loro dal nuovo regime talebano.

Come anticipato, non è detto che le promesse dei talebani vengano mantenute: e non solo perché banalmente  i talebani potrebbero avere mentito con l’obiettivo di acquisire legittimità internazionale, o perché le condizioni di governo potrebbero cambiare nel corso del tempo; ma anche perché dentro al gruppo continua a esserci una distanza considerevole tra i leader che parlano coi giornalisti e con i governi stranieri e i combattenti e funzionari locali, quelli che poi si trovano a governare effettivamente in diverse parti del paese.

Le promesse dei talebani vanno quindi prese con le molle, e molto scetticismo: potrebbero dire di più sull’immagine che il gruppo vuole dare di sé all’esterno, piuttosto che sul reale “programma di governo” del nuovo regime.