Il prezzo dell’elettricità sta aumentando

Sia in Italia che in Europa: il governo ha introdotto delle misure per contenere i rialzi nelle bollette, ma non sono sufficienti

di Leonardo Siligato

(Scott Barbour/Getty Images)
(Scott Barbour/Getty Images)

Nell’ultimo anno, il prezzo dell’elettricità in Italia e in Europa è aumentato in maniera considerevole. Questo è dovuto sia all’aumento dei prezzi di materie prime come gas e combustibili derivanti dal petrolio, da cui si genera in totale più della metà dell’elettricità prodotta in Italia, sia all’aumento dei costi per le aziende che producono energia.

In un paese come l’Italia, in cui la povertà energetica – cioè l’impossibilità di accedere ai servizi energetici di base o di avere un sistema di riscaldamento e raffrescamento soddisfacente per il proprio benessere – interessa oltre 2,3 milioni di famiglie, questo è un problema serio, che il governo ha tentato di arginare riducendo alcuni oneri che aumentano il costo delle bollette. Ma l’effetto ha ridotto l’aumento del costo finale per i consumatori solo in misura parziale, e i prezzi sembrano destinati a salire ancora.

Dal secondo trimestre del 2020 a oggi, il prezzo dell’energia elettrica per i consumatori italiani che usufruiscono del servizio “in maggior tutela” è salito da 16,08 a 22,89 centesimi di euro per kilowattora: un aumento di oltre il 42 per cento.

Il servizio in maggior tutela è un tipo di contratto previsto da quando in Italia è stato liberalizzato il mercato delle forniture di elettricità e gas, e garantisce ai consumatori  la possibilità di ottenere l’erogazione di energia elettrica e gas alle condizioni economiche stabilite dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA). I prezzi sul mercato libero variano invece da operatore a operatore e sono diversi da quelli stabiliti dall’ARERA, ma di solito non se ne discostano troppo. Questo servizio interessa circa il 42,7 per cento dei clienti domestici italiani.

La crescita del prezzo dell’energia elettrica ha interessato tutta Europa: in Germania, scrive Bloomberg, il suo prezzo all’ingrosso è salito del 60 per cento da inizio anno, mentre in Spagna, dove i prezzi sono raddoppiati negli ultimi due anni, il governo (che aveva promesso di tagliare questi costi) ha dovuto tagliare le tasse sull’energia. In Regno Unito invece, venerdì le autorità hanno aumentato il tetto ai prezzi che i fornitori di luce e gas possono praticare.

L’aumento dei prezzi dell’energia osservato nell’ultimo anno è dovuto principalmente a due fattori. Il primo è l’aumento dei prezzi delle materie prime con cui si produce l’energia elettrica. Da aprile 2020, il prezzo del petrolio – con cui si genera più di un quarto dell’energia consumata in Europa – è aumentato del 200 per cento. In altre parole, costa ora 3 volte quello che costava un anno e mezzo fa: il prezzo del Brent, il greggio estratto dal Mare del Nord, è passato nello stesso lasso di tempo da 24 a 73 dollari al barile.

Un aumento simile si è riscontrato nel prezzo del gas naturale, seconda fonte di energia a livello europeo e prima in Italia, dove si usa per generare circa il 40 per cento dell’energia elettrica. Solo nel secondo trimestre 2021, il suo prezzo è salito del 30 per cento rispetto al trimestre precedente, anche a causa di una diminuzione dei flussi importati dalla Russia.

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Il secondo fattore è l’aumento dei prezzi dei permessi per emettere anidride carbonica (CO2) scambiati sull’Emission trading system (ETS) europeo: un mercato simile a una borsa, su cui aziende inquinanti si scambiano i permessi di inquinare. I permessi sono emessi dalle autorità europee in un numero limitato, perciò chi vuole inquinare più di quanto gli consenta la propria quota deve comprare ulteriori permessi sul mercato. Questo sistema è stato introdotto nel 2005 per limitare l’emissione di gas serra da parte delle imprese europee, e fa in modo che coloro che inquinano di più trasferiscano denaro a coloro che inquinano di meno, incentivando la transizione verso fonti rinnovabili.

Da inizio anno, il prezzo del permesso di emettere una tonnellata di CO2 sull’ETS è passato da 33,7 a 56 euro, facendo aumentare i costi delle società che producono energia, le quali li hanno scaricati sui consumatori. E siccome il numero di permessi viene ridotto ogni anno, questo prezzo tenderà a crescere in futuro: si stima che possa arrivare a 85 euro entro il 2030.

In un paese come l’Italia, in cui già oggi quasi il 9 per cento delle famiglie (2,3 milioni) non può permettersi un servizio di riscaldamento soddisfacente e le retribuzioni crescono a una velocità molto inferiore rispetto ai prezzi (a fine giugno, la retribuzione oraria media era salita dello 0,6 per cento rispetto a un anno prima, mentre i prezzi sono saliti dell’1,3 per cento nello stesso periodo), l’aumento del prezzo dell’energia rappresenta un problema serio, che rischia di far entrare ancora più persone in condizioni di povertà energetica.

Per il trimestre iniziato a luglio, l’ARERA ha aumentato il prezzo dell’elettricità del 9,9 per cento e quello del gas del 15,3 per cento rispetto al trimestre precedente per le forniture “in maggior tutela”. Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, sentito dal Corriere della Sera, questo rincaro potrebbe tradursi in un aumento di spesa per la famiglia media di circa 56 euro annui per la luce e 158 per il gas nel mercato tutelato.

Questo incremento è però minore di quello che si sarebbe avuto se il governo non avesse preso provvedimenti. Come detto dalla stessa ARERA infatti, l’aumento dei costi delle materie prime avrebbe portato il prezzo dell’elettricità a salire del 20 per cento rispetto al trimestre precedente. Per contenere questo effetto, a fine giugno il Consiglio dei ministri aveva destinato 1,2 miliardi di euro alla riduzione degli “oneri generali di sistema” (una componente importante del prezzo finale in bolletta) per il trimestre in corso col decreto “Lavoro e imprese”.

La misura però è temporanea, mentre diversi indizi lasciano presumere che il prezzo dell’energia potrebbe continuare a salire. Le misure europee per raggiungere gli obiettivi di transizione verso fonti rinnovabili tendono infatti a far pagare il prezzo di questa transizione alle aziende più inquinanti, che però lo scaricano a loro volta sui consumatori. Per ridurre questa distorsione, l’Unione Europea ha annunciato l’introduzione di un “Fondo sociale per il clima” (Social Climate Fund), ma non è ancora chiaro come questo fondo verrà usato in pratica.

Inoltre, a fine 2022 dovrebbe essere eliminato il servizio “in maggior tutela”, il che potrebbe tradursi in un ulteriore aumento dei prezzi medi. Stando infatti all’ultimo rapporto dell’ARERA, solo il 4,7 per cento delle offerte luce e il 9,8 di quelle gas presenti sul libero mercato offrono prezzi inferiori a questo tipo di contratto in Italia.

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