Perché si dice “franchi tiratori”

Breve storia di come una locuzione nata in Francia nel contesto bellico è arrivata alla politica italiana

(Wikimedia)
(Wikimedia)

“Franchi tiratori” è una locuzione che ormai da decenni è usata perlopiù in politica in riferimento a chi, grazie al voto segreto, vota in modo diverso dal proprio gruppo, schieramento o partito. Ma che è vecchia di almeno un paio di secoli e che ha a che fare con il contesto bellico. La locuzione arriva dalla Francia (loro dicono franc-tireurs) ma in questo caso “franco” significa “libero”.

Sembra che la prima volta che si parlò di franchi tiratori fosse alla fine del Settecento, negli anni della Rivoluzione francese, in riferimento a singole persone o piccoli gruppi di fanteria leggera che combattevano una sorta di guerriglia autonoma e non dipendente dagli ordini o dai piani a cui doveva invece sottostare l’esercito regolare.

L’espressione franc-tireurs ha varie occorrenze nei decenni successivi, in particolare in occasione della guerra franco-prussiana combattuta tra il 1870 e il 1871. In quel periodo si definivano franchi tiratori i singoli combattenti (o i combattenti in piccoli gruppi) che, spesso nascosti in centri abitati, sparavano con i loro fucili contro soldati nemici. In questo caso “franco” vuole dire “libero da ordini”; non “francese”. È una locuzione che ha qualche affinità con il concetto di corpo franco, cioè un gruppo, spesso paramilitare, i cui membri sono volontari che agiscono in supporto alle truppe regolari.

Dalla Francia, la parola si diffuse poi anche in Italia: secondo Treccani, infatti «“franco tiratore” è attestato nell’italiano scritto dal 1870, all’interno di cronache giornalistiche sulla guerra franco-prussiana».

Sempre Treccani spiega che fu negli anni Cinquanta del Novecento che la locuzione si spostò dal contesto bellico (in riferimento al quale era stata usata anche durante le due guerre mondiali) verso il «linguaggio politico e giornalistico italiano» dove prese a essere usata in senso figurato per indicare «il rappresentante di un partito o di uno schieramento che, in votazioni segrete di organi collegiali, vota in modo diverso da quello concordato o ufficialmente deciso dal proprio partito o schieramento».

Così come nel contesto bellico, anche in politica i franchi tiratori agiscono senza che li si possa riconoscere. In contesto bellico, però, i franchi tiratori agiscono liberamente ma pur sempre a supporto della loro fazione. In politica, invece, i franchi tiratori usano spesso il segreto per agire contro la loro parte politica. Nei due contesti le locuzioni descrivono insomma atteggiamenti in parte diversi. Inoltre, come scritto negli anni Settanta su un Dizionario politico e parlamentare, «nel franco tiratore parlamentare c’è, riflessa, l’immagine del “cecchino”: che, nascosto, tira all’improvviso».

In politica italiana le più note e seguite votazioni segrete sono spesso quelle per eleggere il presidente della Repubblica, e infatti è in queste occasioni che diventa molto in voga l’espressione, sulle pagine dei quotidiani. Molti ricorderanno probabilmente dei “101” che nel 2013 impedirono a Romano Prodi di diventare presidente della Repubblica, sabotando il voto del centrosinistra dall’interno. Per andare ancora più indietro, a chi si occupa di politica sono forse noti i tre “mezzi tecnici” che il politico democristiano Carlo Donat-Cattin propose come gli unici davvero efficaci per non far eleggere un candidato sicuro. Quei tre “mezzi tecnici” erano «veleno, pugnale o franchi tiratori».

Di franchi tiratori – che secondo Giuliano Ferrara sono «il sale della democrazia parlamentare» – si parla anche in voti a scrutinio segreto diversi da quelli per eleggere un presidente della Repubblica, per esempio quelli che riguardano «le deliberazioni che incidono sui rapporti civili ed etico-sociali».