I vaccini contro la variante delta funzionano?

Sembra piuttosto bene, secondo i primi dati, ma è fondamentale essere vaccinati con due dosi

Nelle ultime settimane la rapida diffusione della variante delta del coronavirus ha spinto diversi governi a rivedere i piani sulla riduzione delle restrizioni. In Australia sono stati decisi nuovi lockdown, mentre nel Regno Unito è stata rinviata la rimozione delle ultime limitazioni ancora in vigore. Le principali autorità sanitarie hanno definito la variante delta di particolare interesse e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha da poco consigliato ai vaccinati di continuare comunque a indossare la mascherina, dove non sia possibile garantire il distanziamento fisico, per ridurre la diffusione del coronavirus.

Stando ai dati finora raccolti in diversi paesi, sembra che la variante delta sia particolarmente contagiosa mentre non è chiaro se causi con maggiore frequenza i sintomi più gravi della COVID-19, specialmente tra gli individui a rischio. Per questo ricercatori e autorità sanitarie vogliono capire se i vaccini finora autorizzati proteggano anche da questa variante e in che misura. I primi risultati, da ricerche di laboratorio, indagini su volontari e analisi delle campagne vaccinali in corso sono piuttosto incoraggianti.

Variante delta
La variante delta è stata identificata in India dove nei mesi scorsi è stata tra le cause di una violenta ondata di contagi nel paese. Si è poi diffusa nel Regno Unito dove più del 90 per cento dei nuovi contagi è dovuta a questa versione del coronavirus. In seguito è stata segnalata in altri stati europei e negli Stati Uniti: secondo i dati più recenti, la variante è presente in almeno 85 paesi.

In Italia la variante delta è passata dal 4,2 per cento nel mese di maggio al 16,8 nel mese di giugno. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha avviato un’indagine rapida, che nei prossimi giorni dovrebbe fornire una rappresentazione più accurata della sua diffusione. Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), la variante delta sarà prevalente in Europa entro la fine di agosto e in mancanza di un’adeguata prevenzione potrebbe causare nuove ondate in diversi paesi europei.

Sintomi
Non è ancora chiaro se la variante delta causi sintomi diversi da quelli già noti dovuti alle altre versioni del coronavirus. La raccolta dei dati è in corso, ma nel Regno Unito è stata comunque evidenziata una prevalenza di mal di testa, mal di gola e naso che cola tra i malati di COVID-19 da variante delta, mentre febbre, tosse e perdita dell’olfatto sembrano essere meno ricorrenti. I dati sono però preliminari e saranno necessarie analisi più approfondite.

La difficoltà riscontrata deriva dal fatto che la COVID-19 causa già un ampio spettro di sintomi, che variano sensibilmente tra i malati. Le differenze dipendono molto dalle condizioni di salute dei singoli, dalla loro età e dal fatto se siano o meno completamente vaccinati.

Vaccini e variante delta
In generale i vaccini finora autorizzati e più impiegati – Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca – forniscono una buona protezione anche contro la variante delta, a patto di avere completato il ciclo vaccinale. Una sola dose del vaccino è infatti meno efficace nel proteggere rispetto alla protezione offerta contro le prime versioni del coronavirus, emerse tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020.

Uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Nature ha rilevato che i vaccinati con due dosi di Pfizer-BioNTech sviluppano anticorpi in grado di neutralizzare la variante delta. I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue da 15 volontari completamente vaccinati, poi li hanno impiegati per studiare in laboratorio la loro capacità di contrastare il coronavirus. Anche se non si sono raggiunti livelli di efficacia paragonabili a quelli ottenuti con il virus degli inizi del 2020, gli anticorpi sviluppati hanno comunque mostrato di offrire una reazione adeguata anche contro la variante. Il risultato è incoraggiante, ma la quantità di campioni utilizzata era piuttosto ridotta.

Un gruppo di ricercatori di Moderna ha effettuato un test simile con campioni di sangue prelevati da 8 persone completamente vaccinate. La ricerca preliminare, quindi in attesa di ulteriori verifiche e approfondimenti, ha confermato la capacità del vaccino di contrastare tutte le principali varianti finora emerse, compresa la variante delta.

In una lettera pubblicata su Lancet, un altro gruppo di ricerca ha scritto di avere analizzato la capacità del vaccino di AstraZeneca nel contrastare la variante. Il loro studio ha interessato 106 vaccinati con una o due dosi del vaccino a seconda dei casi. Anche in questo caso si è confermata una buona protezione al termine del ciclo vaccinale.

A metà giugno Public Health England, un’agenzia del ministero della Salute britannico, ha pubblicato una nuova analisi sull’efficacia dei vaccini di AstraZeneca e Pfizer-BioNTech contro la variante delta. Ha riscontrato che con una singola dose si ha in media un’efficacia del 31 per cento, che diventa dell’80 per cento dopo la somministrazione della seconda dose.

Lo studio ha rilevato che con una dose il vaccino è efficace al 75 per cento nel prevenire ricoveri a causa di sintomi gravi da COVID-19. Per chi ha ricevuto entrambe le dosi si arriva al 94 per cento di efficacia.

Dati di questo tipo sono influenzati dal fatto che ormai la maggior parte degli anziani e dei soggetti a rischio sono completamente vaccinati, quindi molto meno esposti al rischio di sviluppare sintomi gravi. I più giovani hanno in molti casi ricevuto una sola dose del vaccino, perché le vaccinazioni per loro sono iniziate più tardi, e questo spiega perché ci siano più contagi in questa fascia della popolazione in presenza della variante delta, ma con una minore incidenza di sintomi gravi e di ricoveri.

Due dosi
La diffusione della variante delta conferma quanto sia importante non solo vaccinarsi, ma completare il ciclo vaccinale ricevendo entrambe le dosi. Oltre a essere protetta meglio, una popolazione con un alto numero di completamente vaccinati riduce sensibilmente la circolazione del coronavirus e di conseguenza il rischio che emergano nuove varianti, che potrebbero portare il virus a sviluppare una maggiore resistenza nei confronti dei vaccini.

Anche per questo motivo le principali istituzioni sanitarie hanno invitato i governi ad accelerare ulteriormente le campagne vaccinali, riducendo dove possibile l’intervallo tra la somministrazione delle due dosi, esteso nei mesi scorsi per avere più vaccini a disposizione per le prime somministrazioni.