Perché si parla di imposta di successione

Il segretario del PD Enrico Letta ha proposto di aumentare le aliquote per l'1 per cento più ricco della popolazione e usare i proventi per i 18enni

Enrico Letta (Roberto Monaldo / LaPresse)
Enrico Letta (Roberto Monaldo / LaPresse)
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Da qualche giorno sui giornali e nel dibattito politico italiano si parla nuovamente di imposta di successione, dopo che il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, ha proposto di aumentarne sensibilmente le aliquote per l’1 per cento più ricco della popolazione, e di usare i proventi per introdurre misure di sostegno economico per i più giovani, in particolare i 18enni.

La proposta di Letta, annunciata inizialmente sulla rivista 7 del Corriere della Sera, è stata accolta con una certa freddezza dal presidente del Consiglio Mario Draghi – «in generale non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli», ha detto ai giornalisti – e ha trovato l’opposizione molto decisa delle forze di centrodestra, in particolare della Lega. L’annuncio di Letta ha anche provocato un notevole dibattito all’interno del PD, perché secondo una parte del partito un’imposta di successione potrebbe risultare impopolare tra gli elettori.

La proposta, a cui hanno lavorato alcuni membri del PD tra cui il responsabile economico del partito Antonio Misiani e la responsabile giovani Chiara Gribaudo, prevede di creare una “dote” (termine usato da Letta) di 10 mila euro da consegnare alla metà meno abbiente dei 18enni italiani, tutti gli anni. La scelta dei 18enni avverrebbe sulla base dell’ISEE e la “dote” dovrebbe essere usata per spese legate alla formazione e all’istruzione, per la casa e l’affitto oppure per avviare una nuova impresa.

Per finanziare questa “dote”, il PD vorrebbe portare al 20 per cento l’aliquota dell’imposta di successione per le eredità da genitori a figli superiori ai 5 milioni di euro.

Attualmente, l’imposta di successione per i figli e per i parenti in linea retta è del 4 per cento, ma con una franchigia di un milione di euro: significa che deve pagare l’imposta soltanto chi riceve in eredità un patrimonio di oltre un milione (e soltanto sulla parte eccedente il milione), mentre gli altri non hanno nessun obbligo. Con la proposta del PD si manterrebbe la franchigia da un milione (e dunque chi eredita meno di quella cifra continuerà a non pagare nulla), chi eredita tra uno e 5 milioni continuerà a pagare il 4 per cento, mentre chi eredita più di 5 milioni dovrà pagare un’imposta del 20 per cento (sempre sulla parte eccedente).

Secondo il PD questo aumento delle aliquote interesserebbe esclusivamente l’1 per cento più ricco della popolazione italiana, e il gettito annuale sarebbe sufficiente per finanziare i 2,8 miliardi necessari a dare una “dote” da 10mila euro a 280mila diciottenni, la metà delle circa 560mila persone che tutti gli anni in Italia compiono 18 anni.

– Leggi anche: Com’è iniziata la segreteria di Enrico Letta

La proposta del PD è dunque di tipo redistributivo, perché tassa le famiglie più ricche per trasferire i proventi alle fasce meno abbienti (oltre che più giovani) della popolazione. Si inserisce inoltre in un ampio dibattito in corso da tempo in Italia e in gran parte dei paesi più ricchi sull’opportunità e sulla funzione delle imposte di successione. Secondo alcune teorie economiche piuttosto consolidate, infatti, le imposte di successione, se ben applicate, favorirebbero la mobilità sociale ed eviterebbero il consolidamento eccessivo dei patrimoni all’interno delle stesse famiglie.

Per questo motivo, anche paesi in cui la pressione fiscale è generalmente bassa e in cui la classe politica ha una nota avversione nei confronti delle imposte e dell’intervento dello stato le imposte di successione sono piuttosto alte: negli Stati Uniti, per esempio, l’aliquota massima è del 40 per cento e la tassazione media dei patrimoni ereditati è del 17 per cento circa.

Anche nella maggior parte dei paesi europei l’imposta di successione è relativamente alta: in Francia la franchigia è di solo 100mila euro (contro il milione di euro dell’Italia) e l’aliquota varia dal 5 al 60 per cento, con un valore medio del 45 per cento. In Germania l’aliquota massima è del 30 per cento, nel Regno Unito del 40 per cento. In generale, l’aliquota media dell’imposta di successione dei paesi OCSE (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che riunisce i principali paesi sviluppati del mondo) è del 15 per cento.

In Italia, a confronto, l’imposta di successione è bassissima. Come già detto, i figli (e i coniugi e i parenti in linea retta) pagano un’imposta soltanto se ereditano più di un milione di euro, e anche in questo caso l’imposta è di appena il 4 per cento, che si alza un po’ se il parente beneficiario dell’eredità è un fratello o una sorella (6 per cento, con franchigia di 100mila euro) o un altro soggetto (8 per cento, senza franchigia).

Come scrive Avvenire, oggi in Italia il gettito dell’imposta di successione è di appena 800 milioni di euro all’anno, contro i 6 miliardi del Regno Unito, i 7 miliardi della Germania e i 14 miliardi della Francia.

L’argomento più usato da chi è contrario alla tassazione dell’eredità è che anche se le imposte di successione sono decisamente più basse della media dei paesi ricchi, praticamente tutte le altre imposte sono invece più alte. Secondo i dati Eurostat del 2019 l’Italia era sesta in Europa per pressione fiscale. Alzare l’imposta di successione potrebbe essere quindi una misura giusta e progressiva sulla carta, ma secondo i critici la pressione fiscale in Italia è già così alta che prima di aggiungere altre tasse, anche se soltanto ai più ricchi, è meglio rivedere l’intero impianto della fiscalità.

Sarebbe questa la posizione adottata anche da Mario Draghi, che secondo i giornali italiani avrebbe detto a Letta che prima di proporre singoli aumenti delle imposte sarebbe meglio pensare a una riforma complessiva del fisco italiano. In ogni caso, l’anomalia italiana sull’imposta di successione è ben nota, e per questo le proposte di aumentare le aliquote o di modificarle sono presentate e discusse periodicamente. Anche il Fondo monetario internazionale propone da tempo di modificare le imposte di successione e di donazione italiane.

La proposta di Letta di usare i proventi dell’imposta di successione per i diciottenni non è inedita e prende spunto dalle teorie di noti economisti: l’idea di dotare ciascun cittadino di un capitale iniziale circola da anni ed è stata sostenuta da numerosi studiosi, tra cui economisti celebri come Anthony Atkinson e Julian Le Grand, alcuni dei quali hanno proposto di finanziare questa dotazione proprio tramite le imposte di successione. Come ricorda un articolo del 2019 di Lavoce.info, sono stati fatti progetti in questa direzione sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito, e nel 2018 un gruppo di parlamentari del PD aveva proposto di aumentare l’aliquota sulle imposte di successione per istituire un “credito giovani” non molto diverso dalla “dote” proposta in questi giorni da Letta.