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  • Venerdì 21 maggio 2021

L’uccisione di Rajiv Gandhi, 30 anni fa

Il 21 maggio del 1991 l'ex primo ministro indiano e figlio di Indira Gandhi morì in un attentato organizzato delle Tigri Tamil, durante un evento elettorale nel sud dell'India

Rajiv Gandhi, nel 1985 (AP Photo/Suresh Karadia)
Rajiv Gandhi, nel 1985 (AP Photo/Suresh Karadia)

Il 21 maggio del 1991, 30 anni fa, venne ucciso in un attentato Rajiv Gandhi, ex primo ministro dell’India ed allora uno dei politici più noti e importanti del paese. Rajiv Gandhi morì in seguito a un attentato suicida mentre si trovava nella città di Sriperumbudur, nello stato meridionale del Tamil Nadu, dove stava facendo campagna elettorale per le imminenti elezioni generali. L’attentato fu organizzato dalle Tigri Tamil, un gruppo terroristico dello Sri Lanka.

Rajiv Gandhi aveva 46 anni ed era stato primo ministro indiano dal 1984 al 1989, eletto con il Partito del Congresso (l’Indian National Congress, INC), il principale partito riformista del paese. Era figlio di Indira Gandhi, una delle più importanti politiche nella storia dell’India, e del giornalista Feroze Gandhi. Indira Gandhi era a sua volta figlia di Jawaharlal Nehru, primo primo ministro dell’India, e nipote di Motilal, uno dei primi indipendentisti indiani. Non era in nessun modo imparentata col Mahatma Gandhi, che era però un grande amico del padre, e prese il cognome dal marito (il quale in realtà si chiamava Feroze Jehangir Ghandy, ma che cambiò la grafia del cognome proprio in onore del Mahatma Gandhi).

Indira Gandhi fu prima ministra, fatta eccezione per tre anni, dal 1966 fino al giorno della sua morte, il 31 ottobre 1984: venne uccisa da due sue guardie del corpo sikh, che volevano vendicare il modo in cui aveva represso i movimenti indipendentisti dello stato del Punjab indiano. Quello stesso giorno suo figlio Rajiv Gandhi venne nominato capo del governo al suo posto.

Indira Gandhi, al centro, con i figli Rajiv, alla sua sinistra, e Sanjay, alla sua destra (Terry Fincher/Getty Images)

Rajiv Gandhi era il figlio maggiore di Indira Gandhi, ma per molto tempo non si era interessato alla politica. Fu convinto a entrare in politica da sua madre solo nel 1980, in seguito alla morte in un incidente aereo di suo fratello minore Sanjay Gandhi, che era destinato a prendere il posto della madre come leader del Partito del Congresso. Prima di allora, Rajiv Gandhi aveva studiato ingegneria all’Università di Cambridge, nel Regno Unito, dove si era laureato nel 1965. Durante la permanenza nel paese aveva conosciuto l’italiana Sonia Maino, che successivamente avrebbe sposato e che oggi è presidente del Partito del Congresso.

Dopo essere diventato primo ministro in seguito alla morte della madre, Rajiv Gandhi chiese al presidente indiano Zail Singh di sciogliere il Parlamento e di indire nuove elezioni. Gandhi si candidò come leader del Partito del Congresso e ottenne una netta vittoria che permise al suo partito di avere il controllo della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. Nei suoi anni di governo, Gandhi cercò di staccarsi dal modello socialista portato avanti dalla madre e di liberalizzare l’economia del paese attraverso una serie di interventi volti a incoraggiare la produzione industriale.

Fu successivamente coinvolto in un grosso scandalo, in cui erano implicati alcuni suoi collaboratori, accusati di avere preso tangenti per l’assegnazione all’azienda svedese Bofors di una fornitura di nuovi cannoni all’esercito indiano. Alcune inchieste giornalistiche rivelarono che la Bofors aveva pagato tangenti per vendere i propri cannoni, e che nella compravendita era coinvolto l’intermediario italiano Ottavio Quattrocchi, vicino alla famiglia Gandhi e amico personale di Rajiv.

Rajiv Gandhi e sua moglie Sonia nel 1968 (Keystone/Getty Images)

Lo scandalo costò a Rajiv le elezioni del 1989, che vennero vinte dal suo ex ministro delle Finanze, Vishwanath Pratap Singh, che nel frattempo era stato cacciato dal governo ed espulso dal partito, secondo alcuni proprio perché aveva cominciato ad indagare sugli appalti per la Difesa, tra cui quello per i cannoni Bofors. Le elezioni del 1989 furono una delle peggiori sconfitte nella storia del Partito del Congresso.

Nel 1991 si tennero nuove elezioni, dopo la caduta dei governi di Singh e di Chandra Shekhar e il 21 maggio Rajiv Gandhi andò nello stato del Tamil Nadu per fare campagna elettorale. Verso sera arrivò a Sriperumbudur, e si avviò a piedi verso il palco dove avrebbe dovuto tenere un comizio. Lungo la strada venne fermato da diversi sostenitori del Partito del Congresso tra cui una donna che, simulando un gesto di rispetto, si inchinò ai suoi piedi. In quel momento, però, la donna fece detonare una cintura esplosiva che nascondeva sotto il vestito. Nell’esplosione Gandhi, la sua attentatrice e altre 14 persone furono uccise, e decine di altre furono ferite. L’assassina venne identificata in Thenmozhi Rajaratnam, una ragazza di 17 anni dello Sri Lanka.

Indagini successive stabilirono che l’omicidio era stato ordinato dalle Tigri Tamil, un gruppo separatista di ispirazione comunista che lottava per la creazione di uno stato indipendente nelle regioni del nord e dell’est dell’isola dello Sri Lanka, dove si concentrava la maggior parte della popolazione di etnia Tamil, una minoranza etnica prevalentemente di religione induista (il gruppo etnico più grande in Sri Lanka sono i singalesi, in larga parte buddisti).

Il corteo funebre per Rajiv Gandhi a New Delhi (AP Photo/Pavel Rahman)

La Corte Suprema indiana dichiarò che l’omicidio fu ordinato dal capo delle Tigri Tamil, Velupillai Prabhakaran, in seguito a un’intervista di Gandhi dell’agosto del 1990. Nell’intervista Gandhi aveva detto che se fosse stato rieletto avrebbe inviato in Sri Lanka l’Indian Peace Keeping Force, un corpo militare che l’India aveva mandato già nel 1987 in seguito a un accordo firmato proprio da Gandhi e il governo singalese per contrastare le Tigri Tamil e porre fine alla guerra civile in corso nel paese. Il corpo era stato poi ritirato nel 1989 su ordine del nuovo primo ministro Singh.

Nei processi che seguirono, in tutto ventisei persone furono accusate di aver partecipato all’organizzazione dell’attentato. Di queste, quattro vennero condannate a morte e tutte le altre furono incarcerate. Per Nalini Sriharan, una dei condannati a morte, che aveva avuto una figlia in carcere, nel 2020 la vedova di Rajiv Gandhi, Sonia, chiese e ottenne la conversione della pena nell’ergastolo. Per gli altri tre la pena di morte fu convertita definitivamente nell’ergastolo solo nel 2014.