Dodici canzoni di Franco Battiato

Quelle che aveva scelto il direttore per il libro “Playlist”, da mettere su oggi e farsi salire un po' di tristezza

(© Alessandro Bosio/Pacific Press via ZUMA/ansa)
(© Alessandro Bosio/Pacific Press via ZUMA/ansa)

È morto a 76 anni Franco Battiato, uno dei più importanti e amati cantautori italiani della seconda metà del Novecento. Queste sono le dodici canzoni di Battiato che Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, aveva scelto nel 2008 per il suo libro Playlist.

Franco Battiato
(1945, Ionia, Catania)
L’unico grande cantautore italiano che se la tiri più di De Gregori, al pari con quest’ultimo ha riempito le nostre vite di canzoni straordinarie, provando più spesso vie nuove e diverse. A un certo punto l’autocompiacimento e il vezzo di cantare stranezze pseudocolte sono divenuti così palesi da diventare una cifra, inimitata.

L’era del cinghiale bianco
(L’era del cinghiale bianco, 1979)
Pieni gli alberghi a Tunisi.


Prospettiva Nevskij
(Patriots, 1980)
Bellissima, fine-del-mondo. Per preparare una giornata diversa dal solito, provate a canticchiare sotto la doccia del mattino: “Un giorno sulla Prospettiva Nevskij per caso vi incontrai Igor Stravinski”, “E gli orinali messi sotto i letti per la notte e un film di Eisenstein sulla rivoluzione” , “Poi guardavamo con le facce assenti la grazia innaturale di Nijinsky”.

(Legenda: la Prospettiva Nevskij è la strada principale di San Pietroburgo, voluta da Pietro il Grande a imitazione degli Champs Elysées; Nijinsky un celebre ballerino; Eisenstein il regista della Corazzata Potëmkin; Stravinski il compositore dell’Uccello di fuoco).


Up patriots to arms
(Patriots, 1980)
Una delle sue prime esibizioni demagogiche di sdegno per il mondo e i tempi corrotti, che poi si ripeteranno a lungo: “la musica contemporanea mi butta giù” è della stessa famiglia di “non sopporto i cori russi, la musica finto rock” eccetera, in “Centro di gravità permanente”. E poi “le barricate in piazza le fai per conto della borghesia, che crea falsi miti di progresso”. E “mandiamoli in pensione, i direttori artistici, gli addetti alla cultura”. “Le pedane piene di scemi che si muovono” saranno invece presto piene di scemi evoluti che si muoveranno anche alle canzoni dello stesso Battiato. L’introduzione è l’ouverture del Tannhäuser di Wagner.


Centro di gravità permanente
(La voce del padrone, 1981)
La voce del padrone fu il primo LP italiano che vendette oltre un milione di copie. I versi di “Centro di gravità permanente” sono più conosciuti di quelli dell’Infinito di Leopardi: “che non mi faccia mai cambiareidèa sulle cose, sulla gente”.


Voglio vederti danzare
(L’arca di Noè, 1982)
La grandezza dei testi di Battiato (presa in giro da Fiorello in una vecchia canzone su cozze bulgare e mitili ungheresi, o qualcosa del genere), sta nel fatto che la loro ingenua pretesa di ricercatezza è irrilevante di fronte a quanto semplicemente suonino bene: “nei-ritmiossessivi-lachiàve-deeeirititribali” è fantastica, come anche “musichebalcanichementre”. Tanto che alcuni versi forse non se li ricorda più nemmeno lui, e li canta a orecchio (“dervisciturné che girano”? “cavigliere del catacali”?). E poi il trucco di cantare “vecchi valzer viennesi” e allora far partire un valzer è facile facile ma funziona. Il miglior ballabile di Battiato.


La stagione dell’amore
(Orizzonti perduti, 1983)
Canzone dell’amore nella terza età – “ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore” – sul non avere rimpianti, guardare avanti e dare per persa ogni lasciata: “ne abbiamo avute di occasioni, perdendole: non rimpiangerle, mai”.


L’animale
(Mondi lontanissimi, 1985)
Una canzone d’amore non lusinghierissima nei confronti della destinataria, il desiderio nei confronti della quale è fatto risalire all’“animale che mi porto dentro”. Riflessione sulla propria schizofrenia, sul far convivere le inclinazioni solitarie con le passioni più bestiali.


No time no space
(Mondi lontanissimi, 1985)
La strofa è sfinente, con il solito apparato di civiltà sepolte, avanguardie di un altro sistema solare, viaggiatori anomali e territori mistici. Ma il ritornello è liberatorio, malgrado – anzi forse grazie a – l’accento inglese un po’ legnoso del professore.


E ti vengo a cercare
(Fisiognomica, 1988)
La canzone d’amore più limpida e semplice che gli sia mai venuta. Certo, non è “ti amo, mi manchi, senza di te non vivo”, naturalmente: ma è la versione Battiato di “ti amo, mi manchi, senza di te non vivo” (“questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine, un rapimento mistico e sensuale m’imprigiona a te”). Ne fecero una bellissima cover i CSI, con la partecipazione dell’autore.


Alexander Platz
(Giubbe rosse, 1989)
La cantò prima Milva, nell’album Milva e dintorni del 1982. “Alexander Platz, auf wiedersehen, c’era la neve” è una citazione di “Auschwitz” di Guccini (“ad Auschwitz c’era la neve”).


Te lo leggo negli occhi
(Fleurs, 1999)
Nel 1999 Battiato fece un inatteso disco di covers pop, attingendo prevalentemente al repertorio italiano degli anni Sessanta. Fu un’operazione geniale e benemerita: alcune delle sue versioni erano un po’ meno belle degli originali, ma gli originali non se li ricordava nessuno, ed erano scelte stupende di De André, Brel, Endrigo (”Aria di neve” e “Te lo leggo negli occhi”).


Insieme a te non ci sto più
(Fleurs 3, 2002)
Era di Caterina Caselli, scritta da Paolo Conte e Vito Pallavicini. Poi Nanni Moretti la usò sia in Bianca che in La stanza del figlio e tornò sulla cresta dell’onda. Battiato la cantò nel secondo volume di cover, intitolato bizzarramente Fleurs 3. “Arrivederci amore ciao…”.