“La ferrovia sotterranea”, prima libro e ora serie tv

Esce oggi su Amazon Prime Video l'adattamento televisivo di un romanzo vincitore del Pulitzer, ambientato negli Stati Uniti schiavisti

(Amazon Prime Video)
(Amazon Prime Video)

Da oggi è disponibile su Amazon Prime Video la serie La ferrovia sotterraneai cui dieci episodi sono tutti diretti da Barry Jenkins (regista di Moonlight, che nel 2017 vinse l’Oscar per il miglior film) e che è tratta da un noto e apprezzato romanzo di Colson Whitehead, che ci vinse il primo dei suoi due premi Pulitzer per la narrativa. Così come il romanzo, anche la serie racconta la storia – inventata – di alcuni schiavi neri che nell’Ottocento costruiscono una vera e propria ferrovia sotterranea, per potersi spostare in un modo impedito agli afroamericani. Più nel dettaglio, parla di una ex schiava della Georgia che, in fuga da un cacciatore di taglie, scopre l’esistenza di quella ferrovia.


A guardare le prime opinioni e recensioni, sembra che la serie stia piacendo molto: «è tentacolare e travolgente» ha scritto Variety; «è televisione fatta in modo straziante, magico e magistrale», ha scritto il Guardian a proposito di questo «straordinario adattamento». Molti già la mettono in relazione a Radici, una miniserie degli anni Settanta che raccontava una storia lunga diverse generazioni e che era a sua volta basata su un popolare romanzo. Per i temi che tratta, La ferrovia sotterranea contiene inevitabilmente anche diverse scene molto crude, che i critici hanno però definito perlopiù toccanti e a loro modo necessarie.

La storia vera
Il romanzo e la serie La ferrovia sotterranea sono delle ucronie, perché si svolgono in un contesto di fantasia nato conseguentemente alla domanda: “cosa sarebbe successo se” negli Stati Uniti, negli anni prima della Guerra civile, ci fosse stata davvero una ferrovia sotterranea usata dagli schiavi in fuga dagli stati sudisti?

Nella serie, infatti, la ferrovia sotterranea ha binari, banchine e capistazione. Nella realtà, ovviamente, non esistette mai nulla di simile, eppure ci fu davvero una sorta di rete di percorsi (non letteralmente sotterranei e di certo non ferroviari), sentieri, case e nascondigli sicuri da cui si cercava di far passare gli schiavi che dopo essere scappati dagli stati schiavisti provavano ad arrivare fino in Canada. E si chiamava davvero Underground Railroad: “Ferrovia Sotterranea”.

Come spiegò Kathryn Schulz sul New Yorker, il termine “Underground Railroad” comparve la prima volta sulle pagine di un giornale abolizionista del 1839. Alcuni anni dopo Frederick Douglass, uno schiavo fuggito grazie alla Ferrovia e divenuto uno dei più importanti sostenitori dell’abolizionismo, utilizzò di nuovo il termine nella sua autobiografia, sottolineando come molti “agenti” della Ferrovia sotterranea abbiano rischiato di portarla “in superficie”, cioè di farla scoprire alle autorità, parlandone troppo apertamente in pubblico.

La Ferrovia ebbe origine negli ultimi decenni del Settecento, quando alcuni stati americani del Nord proibirono la schiavitù e i movimenti abolizionisti iniziarono ad acquistare forza e seguito, soprattutto tra le comunità religiose dei Quaccheri e dei Metodisti. La Ferrovia non fu mai un’organizzazione gerarchica e strutturata, ma piuttosto una rete eterogenea, formata da centinaia di complici e simpatizzanti che offrivano ai fuggitivi un nascondiglio, provviste e le indicazioni necessarie a raggiungere la tappa successiva.

Arrivare al nord, tra l’altro, rappresentava soltanto una salvezza relativa per gli schiavi in fuga: nel 1793, infatti, gli stati del sud avevano fatto approvare al Congresso una legge che imponeva alle autorità del nord di assistere i cacciatori di taglie nel ricatturare gli schiavi fuggiti. Di fatto la schiavitù era illegale al nord, ma il diritto di proprietà sugli schiavi non cessava una volta oltrepassati i confini degli stati schiavisti.

L’unico modo per sfuggire alla cattura era raggiungere il Canada, dove la schiavitù era stata abolita nel 1793. La Ferrovia operava quindi soprattutto negli stati americani del nord, come collegamento verso il Canada, ed era utilizzata da coloro che, contando quasi esclusivamente sulle loro forze, riuscivano a raggiungere gli stati abolizionisti. Negli stati di confine tra nord e sud c’erano pochissimi “agenti” della Ferrovia e non ce n’era nessuno nel “Deep South”, la parte più meridionale del paese.

– Leggi anche: La storia della Ferrovia Sotterranea

Il libro e la serie
Pubblicato nel 2016 e arrivato in Italia nel 2017, La ferrovia sotterranea è il sesto romanzo di Whitehead, dopo La nobile arte del bluff e prima di I ragazzi della Nickel (anche questo vincitore del Pulitzer). Consigliato tra gli altri anche da Barack Obama,  il libro uscì ad agosto e già nel settembre di quell’anno fu annunciato che Barry Jenkins – che già aveva diretto Moonlight, ma non aveva ancora vinto l’Oscar – si sarebbe occupato di un suo adattamento seriale. Fu una notizia a suo modo sorprendente, perché per la sua creativa unione di storia e fantasia La ferrovia sotterranea non era di certo un libro facile da trasformare in una serie, e senza dubbio sarebbe stato un progetto ben più grande rispetto a Moonlight, girato in poco più di tre settimane e costato poco più di un milione di dollari.

Come ha raccontato il New York Times, poco dopo aver accettato di lavorare al progetto Jenkins arrivò vicino a rinunciarci, per via di certe critiche di chi non voleva un’altra serie sulla schiavitù, che mostrasse – a suo modo, secondo un certo punto di vista, trasformandole in “intrattenimento” – scene di violenza e schiavitù.

A questo proposito, Jenkins e Amazon – che nel frattempo si era aggiunta al progetto – organizzarono ad Atlanta una sorta di “focus group” con persone che avevano letto il romanzo, per chiedere loro cosa ne pensassero di quel possibile adattamento seriale. Jenkins chiese che tutti i partecipanti al focus group fossero neri. I risultati, ha detto Jenkins al New York Times, mostrarono che – con sua «grande sorpresa» – solo il 10 per cento delle persone era contrario, e quindi anche lui si convinse di essere nel giusto.

A fine 2019, a più di tre anni dall’acquisizione dei diritti, partirono le riprese che – dopo essere state sospese per via della pandemia – furono completate circa un anno dopo. Non ci sono dati ufficiali, ma citando una persona interna alla produzione il New York Times ha scritto che a quanto pare «in più di un’occasione i costi di un solo giorno di produzione sono stati superiori all’intero budget di Moonlight». I giorni di ripresa – spalmati su un oltre un anno di set – furono in tutto 116, con oltre tremila costumi usati e con la costruzione, tra le altre cose, di 15 diverse strutture di una piantagione, un tunnel e un treno. In tutto, «oltre 300 persone lavorarono per oltre 16mila ore per costruire le strutture necessarie». È quel che si può fare, ha detto Jenkins, quando «il finanziatore è l’uomo più ricco al mondo» (cioè Jeff Bezos, fondatore di Amazon).

(Amazon Prime Video)

In una sua recensione della serie, James Poniewozik del New York Times ha scritto: «se sceglierete di guardare la serie, vedrete atti atroci. Ma anche umanità, resistenza e amore. Vedrete una serie emozionante, toccante, tecnicamente, artisticamente e moralmente potente, un tour de force visivo degno dell’immaginazione di Whitehead». Tornando su quei paragoni con Radici, Poniewozik ha scritto: «saranno inevitabili, ma mentre quella miniserie esplorava il dramma della schiavitù attraverso varie generazioni, La ferrovia sotterranea si focalizza e va nel profondo di come il trauma di più generazioni si concentri in una sola mente e in un solo corpo».