Un’altra canzone degli U2

Però questa è quella speciale, indimenticabile

(Takashi Aoyama/Getty Images)
(Takashi Aoyama/Getty Images)

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Leggendo cose sulla canzone di Bruno Mars e Anderson .Paak che avevo citato pochi giorni fa, ho scoperto che esiste per un genere musicale (cose di black music leggera del secolo scorso) la definizione di “Quiet storm“, dal nome di una canzone di Smokey Robinson, con tutto un valore culturale e sociale.
La storia non ha condiviso molto con me il giudizio che segue, ma ho sempre pensato che Wouldn’t it be good fosse uno dei pezzi migliori tra quelli che affollarono le classifiche pop degli anni Ottanta dominati dalla musica britannica degli anni Ottanta. Anni molto ripresi, riscoperti, conservati, ma trascurando di celebrare Wouldn’t it be good quanto meritava, mi pare. Per riprovare a convincervi, e segnalarvi anche l’assolo che non era niente male, approfitto di avere trovato un video di lui invecchiato che la rifaceva con un’orchestra nel 2019 a Leeds.

The unforgettable fire
U2

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Ci sono le moltissime canzoni moltissimo belle degli U2, band che ha avuto un tale successo da attenuare la necessità di ricordare appunto che repertorio pazzesco di bei dischi e canzoni abbia consegnato al mondo.
E poi, però, c’è la canzone speciale degli U2.

È speciale perché la sua bellezza non si deve a invenzioni melodiche da competizione come in molti altri loro pezzi, ma è tutta fatta di virtuosismi dei musicisti della band e di trovate compositive. Tant’è vero che provatevi a cantarla, a canticchiarla, come se niente fosse: è un casino, cambia tono e passo continuamente, non ha una vera strofa né un vero ritornello, ma una serie di passaggi, che culminano nella meraviglia di “and if the mountains should crumble” (che forse è l’unica eccezione canticchiabile per noi passanti del canticchio).

(La canzone degli U2 della volta scorsa, che non era proprio degli U2).

The unforgettable fire ha una storia collaborativa che spiega anche la sua originalità: nacque da un’idea del chitarrista The Edge che l’aveva immaginata come la base di una colonna sonora senza che gli venisse in mente una melodia o una parte vocale: la mostrò a Bono e ci lavorarono insieme, con molti esperimenti, fino a renderla incasinatissima di invenzioni: allora iniziarono a togliere e pulire, e gli altri due ci aggiunsero le loro parti. Gli archi ce li mise il direttore d’orchestra irlandese Noel Kelehan, che lavorò a tutto il disco. Ovvero il disco del 1984 prodotto da Daniel Lanois e Brian Eno che prese il nome della canzone – a sua volta ispirato da una mostra sulla bomba di Hiroshima -, quello dove era Pride, con cui colonizzarono il mondo.

And if the mountains should crumble
Or they disappear into the sea
Not a tear, no not I


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