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  • Martedì 4 maggio 2021

Che fine farà la fondazione di Bill e Melinda Gates

È la domanda che ci si fa dopo l'annuncio del loro divorzio, che avrà conseguenze sulla filantropia, sulla sanità e sull'istruzione

(Win McNamee/Getty Images)
(Win McNamee/Getty Images)

La notizia del divorzio fra Bill e Melinda Gates, due fra gli imprenditori e filantropi più ricchi al mondo, ha generato dubbi e innescato un dibattito intorno al futuro della fondazione da loro fondata, la Bill e Melinda Gates Foundation, che oggi è considerata la più ricca e influente al mondo tra quelle private. Dopo la notizia del divorzio la fondazione ha diffuso un comunicato spiegando che le dinamiche personali dei Gates non incideranno sul suo lavoro: «entrambi mi hanno assicurato che continueranno a impegnarsi per la fondazione a cui hanno lavorato così tanto, e insieme, per vent’anni», ha detto il presidente Mark Suzman ai propri dipendenti in una mail interna ottenuta dal New York Times.

In realtà circolano dei dubbi sul futuro della fondazione, legati soprattutto al fatto che fin dalla sua creazione Bill e Melinda Gates l’hanno diretta in maniera molto personale, modellando l’impegno dell’istituto sulla base dei propri interessi e inclinazioni: cosa che fra l’altro è la stessa ragione per cui negli anni ha ricevuto estesissime lodi ma anche molte critiche, soprattutto dal mondo accademico e scientifico.

La fondazione nacque nel 2000, sei anni dopo il matrimonio fra Bill e Melinda Gates, dalla fusione di due precedenti fondazioni legate all’ex CEO di Microsoft, che aveva iniziato a devolvere parte del proprio immenso patrimonio all’inizio degli anni Novanta dopo aver ricevuto varie critiche per il suo scarso impegno sociale. La fondazione fece un salto di qualità a partire dal 2008, dopo che Gates decise di lasciare Microsoft per dedicarsi a tempo pieno alla fondazione assieme a sua moglie Melinda.

– Leggi anche: Perché Bill Gates è così ricco?

Ancora nel 2010 il Guardian raccontava quanto fosse anonima la sede della fondazione, a Seattle, e quanto rapidamente stesse cambiando faccia, dopo l’impegno più diretto dei fondatori. «Sembra di stare in un incrocio fra un think tank di stampo progressista, una multinazionale di consulenza, e una start up tecnologica in corso di espansione», scriveva il Guardian.

Da allora la fondazione ha raddoppiato i suoi dipendenti – oggi ne ha circa 1.600 – ma soprattutto ha affinato il metodo e le priorità, che oggi riguardano soprattutto il settore sanitario. Nei primi vent’anni di vita la fondazione ha donato circa 53,8 miliardi di dollari, circa 44,75 miliardi di euro, in migliaia di progetti benefici, per una media di circa 5 miliardi di dollari all’anno. Fra gli obiettivi principali, la fondazione spiega di volere combattere soprattutto la povertà, le disuguaglianze e le malattie più diffuse nella popolazione mondiale.

Vox fa notare che una buona parte del totale, cioè 39,8 miliardi di dollari, è stata spesa per progetti legati allo sviluppo economico e alla sanità. Proprio quest’ultima negli ultimi anni è diventata il principale settore in cui opera la fondazione, che si è occupata massicciamente di sviluppare tecnologie per risolvere il problema della mancanza di fogne e servizi igienici in molti paesi poveri, e di aumentare l’accesso ai vaccini per le malattie curabili attraverso la Global Alliance for Vaccines and Immunization (GAVI), lanciata nel 2000.

La GAVI è un ente a partecipazione sia pubblica che privata che nacque con un primo finanziamento da 750 milioni di dollari dalla Bill e Melinda Gates Foundation. Usò la dotazione iniziale per avviare il progetto e soprattutto per coinvolgere altri paesi e organizzazioni private nel processo di finanziamento: si stima che nei suoi 20 anni di vita abbia ottenuto quasi 21 miliardi di dollari – di cui solo 4 dalla Bill e Melinda Gates Foundation – e soprattutto che abbia vaccinato decine di milioni di persone che in precedenza non avevano accesso ai vaccini per malattie come la poliomielite, il colera, la febbre gialla e la malaria, ancora molto diffuse in certe parti del mondo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che nei primi tredici anni di vita GAVI abbia immunizzato 440 milioni di persone e prevenuto 6 milioni di morti.

GAVI è un po’ il progetto simbolo della Fondazione; sia per l’ambito e lo scopo, sia per il metodo, che cerca di coinvolgere nel mondo della beneficenza governi e multinazionali che altrimenti spenderebbero i soldi altrove. «Non possiamo raggiungere i nostri obiettivi da soli. Lavoriamo con aziende, governi ed enti non profit, e ciascuno gioca un ruolo specifico per accelerare il progresso», si legge sul sito della Fondazione.

L’altra faccia della medaglia è che diversi accademici ed esperti di sanità esprimono da tempo dei timori sul fatto che una fondazione privata disponga di una quota così grande di potere e influenza. Fra il 2008 e il 2009 sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet furono pubblicati due studi che esplicitarono per la prima volta queste preoccupazioni. Nel primo, condotto da due ricercatori dell’università di Oxford, la fondazione veniva accusata di «finanziare la sanità in modo sbagliato», cioè decidendo in maniera arbitraria su quali malattie indirizzare i propri fondi, senza spiegare come fosse stata presa una certa decisione e su quali basi scientifiche. I ricercatori si chiedevano per esempio per quale motivo la fondazione avesse deciso di concentrarsi sull’HIV e la malaria piuttosto che sul diabete, il cancro o l’obesità, per citarne solo alcune.

Nel 2015 simili accuse sono state riprese dalla giornalista scientifica Julia Belluz, che in un lungo e dettagliato articolo per Vox spiegava che di fatto non esistono contrappesi democratici per una fondazione privata così potente. Belluz citava il lavoro di Linsey McGoey, una sociologa dell’università di Essex che ha studiato a lungo il lavoro della fondazione, secondo cui diversi paesi «sono stati obbligati a indirizzare le proprie attenzioni su malattie come la poliomielite» nonostante problemi più urgenti ma meno conosciuti e temuti in Occidente, come per esempio le epidemie di diarrea in India.

Negli ultimi anni Bill e Melinda Gates hanno ricevuto critiche a più riprese per diversi altri aspetti dell’operato della fondazione: per esempio il fatto che una buona parte dei propri fondi esista grazie al monopolio esercitato da Microsoft in vari settori tecnologici, e sia di fatto alimentato dal regime fiscale ultrafavorevole di cui godono nel mondo le multinazionali della tecnologia (anche se da anni Bill Gates chiede tasse più alte per i miliardari, soprattutto negli Stati Uniti).

Secondo alcuni, inoltre, la promozione di un modello come quello della Bill e Melinda Gates Foundation – comunque assai raro, per dimensioni, nel mondo della filantropia – indebolisce il principio che la sanità sia un settore di interesse prevalentemente pubblico, più che privato. E il tema è particolarmente rilevante durante una pandemia come quella in corso, dato che Bill Gates ha opinioni molto nette su argomenti delicatissimi come la proprietà intellettuale dei vaccini.

La determinazione di Gates nel difendere la necessità di preservare i brevetti dei vaccini anche durante la pandemia da coronavirus ha provocato accese polemiche, e secondo i critici ha finito con il rallentare l’accesso ai vaccini dei paesi più poveri. Secondo un lungo articolo del giornalista Alexander Zaitchik uscito su New Republic, l’influenza di Gates in questo senso «è stata una delle cause più importanti e sottostimate che hanno contribuito al fallimento della risposta globale alla pandemia».

Al momento non sappiamo se il divorzio possa cambiare la direzione presa dalla Fondazione negli ultimi anni. Mentre Bill Gates sembra ormai da tempo concentrare i suoi interessi sul settore sanitario, Melinda Gates viene descritta come più schierata politicamente a sinistra, e il New York Times cita esplicitamente la possibilità che con la separazione dei beni dopo il divorzio possa creare una nuova fondazione. In passato, con una sua associazione aveva già finanziato cause più connotate politicamente come una maggiore presenza delle donne nel mondo dell’imprenditoria. «È plausibile pensare che Melinda Gates possa spostarsi più a sinistra nella beneficenza, se sarà da sola», ha detto al New York Times David Callahan, esperto di filantropia e fondatore del sito Inside Philanthropy.

«Il divorzio dei Gates farà molto più che sconvolgere una famiglia» ha spiegato a Reuters Anand Giridharadas, autore di Winners Take All, un apprezzato saggio sui rapporti fra imprenditoria e politica: «avrà ramificazioni in mondi molto diversi come l’economia, l’istruzione, la sanità, la beneficenza e molto altro ancora», dato che nelle società occidentali di oggi esistono «privati cittadini che grazie alla loro ricchezza sono in grado di prendere decisioni il cui peso sfiora quelle dei governi».