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  • Lunedì 29 marzo 2021

Un giorno potenzialmente storico per i dipendenti americani di Amazon

Un piccolo stabilimento in Alabama potrebbe votare a favore della creazione di un sindacato, e sarebbe la prima volta negli Stati Uniti

(AP Photo/Jay Reeves, File)
(AP Photo/Jay Reeves, File)

Entro lunedì 29 marzo si concluderanno le operazioni di voto fra i dipendenti dello stabilimento di Amazon a Bessemer, in Alabama (Stati Uniti), per decidere se istituire o meno un sindacato interno. Se la maggioranza dei votanti – sui circa 6.000 dipendenti – voterà a favore, quello di Bessemer sarà il primo stabilimento di Amazon negli Stati Uniti ad avere un sindacato che difenda i dipendenti. Negli ultimi giorni diversi giornali statunitensi e internazionali si stanno occupando del voto di Bessemer, anche perché è stato definito «il tentativo più solido» di creare un sindacato dentro Amazon negli Stati Uniti, rispetto a quelli avvenuti negli scorsi anni.

Si è interessato alla vicenda anche il presidente Joe Biden, che ha dato ufficialmente il suo sostegno all’iniziativa facendole guadagnare molta forza, mentre nei giorni finali della campagna elettorale ha tenuto un comizio in città anche Bernie Sanders, uno dei leader dell’ala sinistra del Partito Democratico. «A prescindere da quello che sarà il risultato», scrive il Wall Street Journal, «la multinazionale dell’ecommerce riceverà pressioni dai suoi dipendenti in giro per il mondo per cambiare le condizioni sul posto di lavoro».

Lo stabilimento di Amazon a Bessemer (Elijah Nouvelage/Getty Images)

Amazon e i sindacati
Al momento nessun dipendente di Amazon negli Stati Uniti è iscritto a un sindacato. Fin dalla sua nascita Amazon ha attivamente scoraggiato i suoi lavoratori a creare un meccanismo di intermediazione fra lavoratori e dirigenti. La posizione dell’azienda è che i sindacati danneggino il dinamismo e il clima interno dell’azienda, oltre a rovinare il rapporto diretto e individuale dei lavoratori con la dirigenza. Ma Amazon non si limita a dare il suo parere: da anni diverse inchieste giornalistiche hanno scoperto che l’azienda ostacola sistematicamente ogni tentativo dei dipendenti di coinvolgere dei sindacati nelle trattative sulle proprie condizioni di lavoro, spesso con tattiche intimidatorie che sfociano in penalizzazioni e licenziamenti.

Tre anni fa da un corso di formazione aziendale trapelò un video in cui ai dirigenti venivano dati consigli su come individuare e segnalare al dipartimento delle risorse umane i primi segnali di attività sindacali, come il ritrovamento di volantini nel parcheggio dello stabilimento o cambiamenti di umore fra i dipendenti.


Mentre in Europa alcuni sindacati sono riusciti a penetrare negli stabilimenti di Amazon, negli Stati Uniti – dove il ruolo dei sindacati è storicamente minore – i tentativi sono sempre stati vani, nonostante vadano avanti da una ventina d’anni. La filosofia di Amazon inoltre si sposa meglio con l’importanza che in alcune parti degli Stati Uniti viene data all’autonomia e indipendenza della singola persona anche nel contrattare le proprie condizioni lavorative, ancora oggi molto sentita.

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Da qualche tempo però le cose stanno cambiando, grazie a una maggiore presa di coscienza dei problemi socio-economici, come le crescenti diseguaglianze e una maggiore sensibilità nei confronti dei diritti delle minoranze etniche. Dall’inizio della pandemia, inoltre, i dipendenti di Amazon sanno che l’azienda ha aumentato moltissimo le sue entrate grazie alle chiusure di molti negozi fisici e alla necessità di fare acquisti uscendo di casa il meno possibile. Il New York Times stima che soltanto dalle vendite Amazon abbia ottenuto nel 2020 circa 327 miliardi di euro, una cifra paragonabile al PIL della Danimarca.

Perché proprio a Bessemer
In passato i sindacati avevano tentato di entrare in diversi stabilimenti di Amazon: un paio di anni fa ci andarono vicino con una campagna piuttosto aggressiva in uno stabilimento di Staten Island, nello stato di New York, che però andò a vuoto. L’ultima volta che si arrivò a un voto risale al 2014.

Lo stabilimento di Bessemer, Alabama, è probabilmente più ricettivo di altri alle istanze dei sindacati. Ha aperto infatti in una zona abitata soprattutto da afroamericani e caratterizzata da una forte presenza dell’industria del pollame, da anni molto sindacalizzata. Lo stabilimento di Amazon ha aperto circa un anno fa, nel marzo del 2020, applicando metodi e approcci di lavoro che l’azienda impiega da anni, ma che durante il periodo del primo lockdown erano diventati ancora più pressanti del solito per i propri dipendenti. Qualche giorno fa il primo di loro che ha contattato un sindacato, Darryl Richardson, ha scritto un articolo sul New York Magazine in cui descrive la sua giornata-tipo.

Aspetto che un robot con un portaoggetti arrivi da me, scarico gli oggetti e li ripongo in un cestone. Lo faccio per 11 o 10 ore al giorno, con due pause in mezzo. È molto stressante e faticoso. Fa male ai polsi, alle gambe, fa venire i crampi: è un lavoro duro, devastante. Non esistono momenti morti, ci si muove con i tempi del robot. Ogni minuto che non passo a mettere oggetti nel cestone conta come “tempo non impiegato”. Se lascio la mia postazione per andare in bagno, scatta il cronometro. Se totalizzo due ore di “tempo non impiegato” vengo licenziato. Non è giusto licenziare i dipendenti perché devono andare in bagno.

Com’è successo dopo
Richardson racconta di avere condiviso alcune di queste preoccupazioni con un sindacalista della Retail, Wholesale and Department Store Union (RWDSU), un sindacato attivo in zona, e poi con alcuni colleghi. Insieme a loro ha raccolto le firme necessarie per tenere un voto e le ha presentate all’agenzia federale che si occupa di far rispettare le leggi che regolano il rapporto fra aziende e lavoratori, il National Labor Relations Board, che ha accolto la richiesta. Amazon si è opposta sia al voto sia alla possibilità di tenerlo per posta, richiesta che avevano avanzato i dipendenti dello stabilimento di Bessemer per evitare assembramenti: entrambe le richieste di Amazon sono state respinte. Le schede elettorali sono state spedite a tutti i 6.000 lavoratori nei primi giorni di febbraio.

Amazon non l’ha presa bene. Ha assunto una società di consulenza nota per ostacolare i tentativi di sindacalizzare le aziende, ha tappezzato i bagni e le aree comuni dei dipendenti con manifesti che contenevano informazioni fuorvianti, per esempio sulla quota che i lavoratori avrebbero dovuto versare ai sindacati, e ha tenuto diverse riunioni obbligatorie per convincere i dipendenti a votare contro la nascita del sindacato (un portavoce di Amazon le ha descritte a The Verge come «sessioni informative»). Racconta ancora Richardson:

C’erano volantini dentro e fuori dai bagni, dentro e fuori dallo stabilimento, dicevano “vota presto, vota no”. Nelle stanze comuni, sui tavoli, “dieci motivi per cui non vogliamo un sindacato”. C’erano dirigenti di altri stabilimenti che spiegavano ai dipendenti perché non c’era bisogno di un sindacato. Lo facevano per spaventarci. Con me però non parlano. Quando faccio una pausa devo uscire dallo stabilimento: sto dentro per così tanto tempo, lavorando così duramente, che devo uscire fuori. Vado sempre nel mio furgone.

Fra le tattiche usate da Amazon c’è stata anche la promozione di apposite pubblicità trasmesse sulla piattaforma Twitch, e rivolte ai dipendenti più giovani degli stabilimenti. I portavoce di Amazon contattati dai quotidiani statunitensi hanno sottolineato che i dipendenti dello stabilimento di Bessemer guadagnano molto bene per gli standard locali – più del doppio del salario minimo federale, che è di 7,25 dollari all’ora – e che, a differenza di quello che succede in altre aziende, possono beneficiare fin dal primo giorno di benefit come la copertura sanitaria. Sono argomenti molto solidi: specialmente a Bessemer, una delle città più povere dell’Alabama, dove quasi un residente su tre vive sotto la soglia della povertà.

Gli attivisti della RWDSU insistono invece sui benefici che una contrattazione collettiva potrebbe avere sulle condizioni dei lavoro dei dipendenti dello stabilimento: orari e mansioni meno faticose, maggiore rispetto delle misure di sicurezza, e più in generale qualcuno a cui rivolgersi in caso di problemi. Vox racconta anche che alcuni sindacalisti stanno facendo leva sulla fede religiosa dei dipendenti – gli abitanti di Bessemer sono generalmente molto credenti: in città ci sono decine di chiese e soli 27mila residenti – e inquadrando il voto come «una lotta fra il bene e il male, che riguarda ciò che è moralmente giusto ed equo».

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Come andrà a finire?
Lo spoglio dei voti inizierà martedì 30 marzo, ma a meno di una vittoria netta ci vorranno probabilmente diversi giorni o addirittura settimane per arrivare a un verdetto definitivo, a causa dei ricorsi che entrambe le parti potrebbero presentare ai tribunali locali. Se anche vincesse l’opzione per istituire un sindacato, poi, la vicenda non sarebbe finita: in passato negli Stati Uniti è già successo che un’organizzazione sindacale venisse sciolta senza essere riuscita a negoziare un contratto collettivo con l’azienda. E Amazon, verosimilmente, farebbe di tutto per ostacolare le trattative.

In un senso o nell’altro, le conseguenze del voto saranno soprattutto simboliche. Se prevalesse il No, il voto potrebbe indebolire i tentativi dei dipendenti di Amazon di aprire sindacati in altri stabilimenti. Se invece vincesse il Sì, alcuni esperti del settore hanno già ipotizzato un effetto domino. «Un principio chiave di come funzionano i sindacati è che ogni vittoria porta ad altre vittorie, e che la creazione di nuovi sindacati avviene durante circoli virtuosi di vittorie», ha spiegato a The Verge Benjamin Sachs, che insegna diritto del lavoro ad Harvard. In ogni caso, da quando la storia di Bessemer è stata raccontata dai giornali, l’RWDSU ha detto a Bloomberg di essere stata contattata da più di un migliaio di dipendenti di Amazon interessati a creare un sindacato nel proprio stabilimento.