La storia di Gibellina

Nel 1968 un paesino della Sicilia fu distrutto completamente da un terremoto e provò a rinascere puntando sull'arte e sulla cultura

di Chiara Rotondi

Gibellina dopo il terremoto del gennaio 1968 (ARCHIVIO / ANSA / PAL)
Gibellina dopo il terremoto del gennaio 1968 (ARCHIVIO / ANSA / PAL)

Nella notte del 15 gennaio 1968, un terremoto di magnitudo 6.4 attraversò l’intera valle del Belice, in Sicilia, e il paese di Gibellina fu l’epicentro: la cittadina, dove vivevano circa 6.500 persone, venne distrutta assieme ad altri tre comuni, mentre  il resto della zona subì danni molto gravi. I morti furono complessivamente 231, 600 persone furono ferite e fu distrutto il 90% delle case.

Lo stato si trovò davanti a una tragedia senza precedenti, la prima grande catastrofe naturale dal secondo dopoguerra, che inoltre colpiva una zona ai più sconosciuta, per nulla toccata dal boom economico e in forte stato di arretratezza: le case erano in tufo, la popolazione era principalmente composta da anziani, le nuove generazioni erano per lo più emigrate per mancanza di opportunità lavorative. All’epoca inoltre non esisteva, come la conosciamo oggi, la Protezione Civile e i soccorsi furono lenti e poco organizzati. Il governo mise a disposizione per ogni sfollato un passaporto d’emergenza e l’acquisto di un biglietto di sola andata: circa 30.000 profughi lasciarono la zona per emigrare nel Nord Italia, in Europa, in America o in Australia. Il Belice rischiava così di svuotarsi definitivamente.

In opposizione a questa iniziativa nacque e si sviluppò l’idea del politico Ludovico Corrao, che volle cogliere l’occasione per pianificare, assieme all’amministrazione e ai gibellinesi, un rilancio della zona del Belice tramite l’arte e la cultura. Il progetto di Corrao era molto ambizioso e ha trasformato Gibellina in una città unica, per la diffusione di opere d’arte e grandi opere architettoniche: inizialmente il progetto di usare la cultura come mezzo per superare un periodo di gravissima crisi era sembrato anche funzionare, ma a distanza di cinquant’anni le cose sono andate a finire diversamente.


Corrao, nato ad Alcamo, era un avvocato e un senatore, legato prima al Partito Comunista Italiano e successivamente alla Democrazia Cristiana. Era colto e di vedute progressiste: aveva difeso Franca Viola nel famoso processo contro il matrimonio riparatore ed era molto vicino agli ambienti intellettuali italiani, specie siciliani, e all’attivismo locale del sociologo e attivista Danilo Dolci. La sua idea dopo il terremoto era quella di ricostruire il paese di Gibellina in un punto meglio collegato con Trapani e Palermo, e renderlo un punto di riferimento culturale: aprendo musei, facendo costruire monumenti da artisti illustri, offrendo residenze per artisti e intellettuali.

«Nel momento in cui il popolo di Gibellina aveva visto la distruzione totale delle proprie cose, delle proprie case, dei propri animali, dei propri affetti, dei ricordi stessi della propria vita, rifletteva anche sul rischio di perdere la memoria di sé stessa, del suo essere. Doveva quindi rispondere a una domanda essenziale […] se valeva la pena ricominciare una nuova vita, rifondare nuovamente una città. […] La risposta ai problemi dell’esistenza, della vita non può che essere data dalle grandi forze dello spirito, e quindi dagli artisti che esprimono tutte le problematiche dell’esistenza. Era solo quindi l’arte, la cultura che poteva dare una risposta ai problemi dell’esistenza, o della sopravvivenza, o del futuro, o del destino di questa gente», raccontò Corrao anni dopo, parlando del suo progetto.

Corrao si candidò a sindaco di Gibellina e fu eletto un anno dopo il terremoto. Nel 1970 venne divulgato un appello di solidarietà della cultura italiana, firmato, tra gli altri, da Leonardo Sciascia, Renato Guttuso, Giovanni Treccani, Sergio Zavoli, Cesare Zavattini, Caruso, Corrado Cagli, Domiani, Corrao e gli altri sindaci della Valle del Belice. Si pensò di porre un argine al progetto di ricostruzione dello stato – percepito come calato dall’alto – invitando i maggiori artisti contemporanei dell’epoca a progettare la chiesa, le piazze, il museo e i monumenti di Gibellina Nuova. All’appello risposero, tra gli altri, Pietro Consagra, Carla Accardi, Francesco Venezia, Laura Thermes, Nanda Vigo, Alberto Burri. Il progetto urbanistico della nuova città, che sarebbe stata costruita a 18 chilometri di distanza da quella distrutta, era stato fatto dagli ingegneri dell’ISES (l’Istituto Superiore per l’Edilizia Sociale), ma Corrao decise di integrarlo con progetti di altri architetti, urbanisti e scultori.

Consagra, scultore siciliano che faceva parte del gruppo Forma 1 ed era vicino all’astrattismo, tra le altre cose progettò la Stella d’Ingresso al Belice, le porte del cimitero, il Teatro Frontale e il Meeting, uno spazio polivalente oggi usato anche come stazione degli autobus. Gli architetti Nanda Vigo, Laura Thermes e Franco Purini lavorarono ai progetti per il Sistema delle Piazze, la Casa del Farmacista e Casa Pirrello; Francesco Venezia, architetto, realizzò il palazzo-museo Casa di Lorenzo e il Giardino Segreto. La pittrice siciliana Carla Accardi progettò dei pannelli di ceramica dipinti. Ma moltissimi altri artisti pianificarono, a titolo gratuito, opere per Gibellina, ancora oggi distribuite in tutta la città.

L’opera più famosa legata alla ricostruzione di Gibellina è però il Grande Cretto di Alberto Burri. È un enorme monumento creato compattando le macerie in isole di cemento distribuite in modo da riprodurre, almeno in parte, le strade del paese distrutto, e tra le quali lo spettatore può camminare. Per reperire i fondi statali necessari alla costruzione, Corrao camuffò la costruzione come «opere di sistemazione idrogeologica del vecchio sito urbano», e l’opera – come molte altre progettate per la ricostruzione della città – fu costruita dai gibellinesi.

Il Cretto di Alberto Burri nel 2018 (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)

Nei Maestri di Gibellina, il giornalista e autore Davide Camarrone ha raccolto testimonianze del rapporto molto stretto tra Corrao e i suoi cittadini. Quasi tutti erano braccianti, senza particolari qualifiche, che però vennero incoraggiati a cimentarsi nel mestiere di fabbri, artigiani o muratori per ricostruire la città, realizzando i modelli forniti dagli artisti. «Corrao era un grande trascinatore di folle, creava sogni, e in quel periodo la gente aveva bisogno di sognare. Ecco com’è riuscito a rendere possibile il suo progetto» ha raccontato al Post Nicolò Stabile, originario di Gibellina e che oggi si occupa di progetti per valorizzare la storia della città.

Pippo Ferrara, insegnante di Castelvetrano (vicino Gibellina) ha raccontato a Camarrone che «[Corrao] ci chiamò e disse: dunque, ragazzi, c’è la signora Carla Accardi che sta preparando sei cartoni per dei pannelli in ceramica per la nostra città. Volete lavorarci?». Oggi quei pannelli sono esposti in piazza XV gennaio. Maria Capo, ricamatrice, ha raccontato di aver lavorato ai prisènti (teli da portare in processione) disegnati da Alighiero Boetti, e ai costumi di scena per vari spettacoli delle Orestiadi, il festival annuale fondato da Corrao e che si tiene ancora oggi.

I lavori di ricostruzione della città, iniziati nel 1972, si conclusero intorno ai primi anni Ottanta, ma non tutte le opere progettate come parte del progetto di Corrao erano state completate e alcune non lo sono tutt’ora. Nel 1992 Corrao rese le Orestiadi anche una fondazione, con annessi il Museo e una biblioteca/archivio, ma alle successive elezioni del 1994 non fu confermato sindaco, per circa 18 voti. Da allora l’intero progetto culturale di Gibellina ha subito un grosso rallentamento e la sua eredità è molto difficile da definire.

La gestione e la manutenzione di un numero straordinariamente elevato di opere d’arte in un paese piccolo come Gibellina richiede una grande quantità di energie da parte del comune e un impegno economico non indifferente da parte dello Stato, ma energie e fondi non sempre sono stati disponibili. Il Cretto di Burriad esempio, è stato completato solamente nel 2015, dopo un appello lanciato da Stabile stesso, che ha raccolto le firme, tra gli altri, di Marina Abramovic, Franco Battiato, e dei direttori dei più importanti musei del mondo: ma ancora oggi raggiungere il Cretto è difficile, non ci sono mezzi pubblici e le indicazioni stradali sono poco chiare. Nel 2019 era stato inaugurato il «Museo del Grande Cretto», ma è stato chiuso dopo pochi mesi per mancanza di fondi, e la manutenzione dell’opera stessa è ancora un problema.

La riapertura del Museo di Arte Contemporanea, intitolato postumo a Ludovico Corrao, avverrà nella sua sede originale, un edificio scolastico, che però era stata concepita dall’ex sindaco come sede provvisoria: la sede definitiva, il Teatro di Consagra – che avrebbe dovuto accogliere attività museali, teatrali e biblioteca – non è ancora stato completato. Il Palazzo di Lorenzo, pensato per essere un museo, è al momento chiuso al pubblico e in stato di abbandono. Tuttora all’interno, ma non visitabile, è installata un’opera d’arte permanente, Andata e Ritorno di Moira Ricci, ispirata agli abitanti di Gibellina Vecchia, creata in occasione del Festival Gibellina Images.

Secondo Stabile e Filippo Pirrello, autore teatrale, anche lui cresciuto nel vivace ambiente di Corrao e ora nell’associazione On Image che organizza il festival Gibellina Images, i problemi a Gibellina sono soprattutto relativi a una certa inerzia nel rilanciare in grande il paese come emblema dell’arte contemporanea. Secondo Stabile, dal 1994 in poi c’è stata una vera e propria «Restaurazione» che ha ridimensionato, quando non combattuto, le premesse su cui Gibellina Nuova si basava. Ad esempio, dice, alcuni anni fa è stata costruita una nuova chiesa nel punto in cui l’architetto Ungers (uno degli artisti che hanno donato progetti a Gibellina) aveva programmato un monumento, mai costruito. «Siamo pandemizzati dalle origini della nostra storia» dice Pirrello. «Dal 1994 le perdite sono costanti» e l’impegno non è sufficiente; «la massima intelligenza, caparbietà ed eleganza di Corrao e i suoi sforzi sono risultati vani all’indomani della sua dipartita politica. Per mancanza di sintonia, di lavoro in collettività».

Il sistema delle piazze di Gibellina (Wikimedia/Licenza CreativeCommons)

L’arrivo del coronavirus ha complicato ancora di più le attività culturali a Gibellina, dove comunque i contagi sono sempre stati relativamente bassi. La Fondazione Orestiadi è insieme al Museo Civico di Gibellina l’unico organo istituzionale che continua tenere viva la memoria del Belice e del progetto di Corrao, proponendo anche attività culturali multidisciplinari, come mostre, e visite guidate. Il turismo scolastico, ha detto Elena Andolfi (referente della biblioteca della Fondazione e dei servizi educativi)  si è dovuto fermare per tutto il 2020, ma le Orestiadi ci sono state comunque, anche se con una programmazione ridotta e con il 35% in meno di spettatori. Si è poi riusciti a svolgere attività educative all’aperto mantenendo il distanziamento. Tutte le mostre previste sono state rimandate a data da destinarsi e il museo ha avuto una riduzione dei visitatori, e quindi degli incassi, del 50%. In compenso, dice Andolfi, in estate è stato registrato un incremento dei visitatori provenienti dalle zone limitrofi.

Per il centenario della nascita di Pietro Consagra l’unico tributo è stato un video prodotto dalla Fondazione Orestiadi. «Il progetto più grande in cantiere è il nuovo allestimento del museo Ludovico Corrao, chiuso da sei anni per ristrutturazione. Potrà ospitare fino a 450 opere, dalle 200-240 precedenti, e l’allestimento è pronto» ha spiegato l’assessore alla Cultura Tanino Bonifacio, ma l’inaugurazione è stata rimandata al prossimo anno.

Intanto, Gibellina ha continua a svuotarsi: «Nel 2020 sono andate via molte persone, chiamate a lavorare a scuola o in altri posti, principalmente nel Nord Italia» racconta Nino, titolare del Moma Cafè, di Gibellina, una delle poche attività della città. L’ultimo dato Istat, del 2019, registra meno di 4000 abitanti, in continua diminuzione negli ultimi vent’anni.

Fare previsioni su cosa sarà di Gibellina in futuro è molto difficile. Nel breve termine dipenderà probabilmente dal contenimento della pandemia nel resto d’Italia e in Europa. A portare avanti il progetto originario di Ludovico Corrao sono le associazioni culturali, ma Gibellina tende a svuotarsi sempre di più, incapace di offrire ai giovani occasioni per restare. Ogni tanto qualcuno ritorna, per provare a recuperare il progetto di Corrao e sfruttare le sue molte potenzialità, quasi tutte inespresse: facendo da guida quando in città, nei mesi più caldi, arrivano i turisti, spesso disorientati da una città così silenziosa e straniante.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus e il mondo della cultura sono un progetto del corso di giornalismo 2020/2021 del Post alla scuola Belleville, pensato e completato dagli studenti del corso.