Bisognerebbe fare educazione sessuale a scuola

Anche per evitare gravidanze precoci, ma in Italia non è prevista: c'entrano forti resistenze politiche, ideologiche e religiose

di Elisa Nessi

Da una scena della serie tv "Sex Education"
Da una scena della serie tv "Sex Education"

Lo scorso febbraio la preside di un liceo classico di Roma vietò lo svolgimento di due corsi formativi sull’aborto e sull’identità di genere in programma nella scuola. A suo dire, il primo corso avrebbe potuto «istigare le persone ad abortire», mentre il secondo avrebbe diffuso informazioni false perché «l’identità di genere non esiste». Gli studenti del liceo, il Giulio Cesare, iniziarono a protestare su Instagram, denunciando i pregiudizi della preside e rivendicando il ruolo della scuola come luogo di confronto e informazione.

La vicenda, molto raccontata dai giornali, ha riacceso il dibattito sull’educazione sessuale nelle scuole in Italia; o meglio, sull’assenza dell’educazione sessuale nelle scuole in Italia.

L’Italia è tra i pochi paesi dell’Unione Europea a non prevedere l’insegnamento dell’educazione sessuale come materia obbligatoria: gli altri sono la Bulgaria, Cipro, la Lituania, la Polonia e la Romania. In assenza di un programma ministeriale da seguire, ogni istituto scolastico può decidere se e come affrontare la questione: alcuni coinvolgono qualche insegnante volenteroso, altri aderiscono a iniziative regionali, altri ancora si affidano ad associazioni esterne di varia natura. L’incontro sull’aborto che si sarebbe dovuto tenere al liceo Giulio Cesare di Roma, ad esempio, era stato organizzato in collaborazione con la Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori per l’Applicazione della 194 (LAIGA).

Un’autogestione di questo tipo è però incompatibile con un percorso formativo graduale e completo e genera grosse disparità geografiche: in alcune zone d’Italia, per esempio, ci sono studenti che completano le scuole superiori senza mai partecipare a una singola lezione di educazione sessuale.

Secondo l’UNESCO, il sistema scolastico ricopre un ruolo chiave nell’insegnamento dell’educazione sessuale. Nel 2018 l’agenzia delle Nazioni Unite pubblicò una versione aggiornata dell’International technical guidance on sexuality education, un documento rivolto alle autorità scolastiche e sanitarie dei paesi membri incaricate di elaborare i programmi di educazione sessuale. La guida sottolineava l’importanza di un approccio olistico e positivo, cioè che tenesse conto degli aspetti cognitivi, emotivi, sociali, relazionali e fisici della sessualità, e che non si concentrasse solo sui rischi potenziali come le gravidanze indesiderate o le malattie sessualmente trasmissibili.

Così intesa, l’educazione affettiva e sessuale fornisce ai bambini e ai ragazzi gli strumenti per compiere scelte informate e consapevoli che consentano loro di vivere la sessualità e le relazioni in modo appagante e rispettoso.

Ci sono anche effetti positivi più facilmente misurabili, su cui si soffermava l’Organizzazione Mondiale della Sanità in un rapporto del 2016 che condensava i risultati di alcuni studi condotti in diversi paesi europei. Dall’analisi emergeva chiaramente l’efficacia dell’educazione sessuale nel ridurre l’incidenza di gravidanze precoci, aborti e infezioni sessualmente trasmissibili, nonché di episodi di abusi e di discriminazioni legate all’orientamento sessuale.

Non è difficile immaginare le ragioni di questa correlazione. Chi riceve un’educazione sessuale adeguata dispone di informazioni scientificamente valide sulla contraccezione e sull’uso corretto del preservativo, è in grado di esercitare la propria assertività se il partner si rifiuta di usarlo, e sa a chi rivolgersi in caso di difficoltà. L’OMS cita l’esempio della Germania, dove nel 2010 il 92 per cento degli adolescenti dichiarava di aver utilizzato un metodo contraccettivo durante il primo rapporto sessuale, contro l’80 per cento delle ragazze e il 71 per cento dei ragazzi nel 1980. Percentuali simili sono state rilevate nei Paesi Bassi.

Dal 1998 in poi, in Estonia si registrò un calo drastico delle infezioni sessualmente trasmesse come sifilide, gonorrea e HIV nei giovani tra i 15 e i 24 anni. Due anni prima, l’insegnamento dell’educazione sessuale era stato reso obbligatorio nelle scuole. È emblematico anche il caso della Finlandia, dove le gravidanze e gli aborti adolescenziali aumentarono notevolmente tra il 1994 e il 2006, periodo in cui l’educazione sessuale era stata declassata a materia facoltativa per mancanza di fondi.

In Italia l’educazione alla sessualità è da sempre tema di scontro politico, religioso e ideologico.

La prima proposta di legge in materia, Iniziative per l’informazione sui problemi della sessualità nella scuola pubblica, risale al 1975 e fu promossa dal Partito Comunista. Da allora se ne sono succedute decine, presentate da parlamentari di diversi orientamenti politici: tutte sfociate in un nulla di fatto. Le resistenze maggiori sono riconducibili sia alla convinzione che il primato educativo sugli argomenti più delicati spetti alla famiglia, sia al timore che discutere di sessualità induca gli studenti a praticarla precocemente. In realtà, uno studio delle Nazioni Unite mostra che i programmi di educazione sessuale ritardano l’età del primo rapporto. Per quanto riguarda il ruolo della famiglia, da un’indagine del ministero della Salute emerge che è un contesto in cui difficilmente si affrontano temi come la sessualità, le infezioni sessualmente trasmissibili o la contraccezione.

Pur non parlando esplicitamente di educazione sessuale, il testo della legge 107 del 2015 voluta dal governo Renzi, la cosiddetta “Buona Scuola”, promuove «l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni». Tuttavia, le linee guida per l’attuazione di questi principi possono essere recepite o meno dai singoli istituti, le cui decisioni dipendono da un lato dalla loro disponibilità economica, e dall’altro dall’orientamento ideologico dei consigli di istituto.

Coinvolgendo figure professionali come psicologi e medici specializzati, i programmi dei servizi socio-sanitari sono generalmente a pagamento. Numerosi movimenti antiabortisti, spesso di stampo religioso, propongono invece lezioni di educazione sessuale gratuite, di fatto imponendosi come la scelta più facile per molte scuole cronicamente a corto di risorse.

Non è altrettanto semplice, invece, come denunciano i movimenti femministi, che tali attività extracurricolari vengano affidate, sempre a titolo gratuito, ad associazioni laiche o che si occupano di salute riproduttiva da un punto di vista femminista, che avrebbero forse sul tema maggiori competenze.

Invitate a tenere corsi nelle scuole, le associazioni cattoliche diffondono informazioni parziali e politicamente posizionate.

In un liceo di Monopoli, ad esempio, è capitato che durante l’ora di educazione sessuale – affidata al Movimento per la vita – venisse proiettato un video antiabortista. Più recentemente, il progetto “Ivg, ho abortito e sto benissimo” ha denunciato il caso di un testo distribuito agli studenti di una scuola media, in cui si faceva riferimento all’aborto come a un “omicidio” e un “peccato mortale gravissimo” secondo la Chiesa cattolica. Nel documento veniva inoltre indicato, erroneamente, che negli Stati Uniti l’aborto è illegale. L’ingerenza della Chiesa è stata evidenziata anche dal rapporto Sexuality Education in Europe dell’International Planned Parenthood Federation (IPPF), la principale ong internazionale nel campo della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi.

In un contesto in cui l’educazione sessuale è assente, frammentaria, approssimativa e geograficamente disomogenea, la stragrande maggioranza degli adolescenti italiani si informa su internet. Lo dicono i risultati dell’ultima indagine nazionale sulla salute sessuale e riproduttiva degli adolescenti del ministero della Salute, pubblicata nel 2019. Meno della metà si rivolge agli amici, e solo uno su quattro ai familiari. Quasi tutti, però, ritengono che la scuola dovrebbe garantire il diritto all’informazione sulla salute sessuale e riproduttiva: a partire dalle elementari (11 per cento), dalle medie (50 per cento), o dalle superiori (32 per cento).

Spesso, internet e coetanei contribuiscono ad alimentare la confusione e i falsi miti sulla sessualità. Il 19 per cento degli adolescenti, ad esempio, crede che la donna non possa rimanere incinta durante il primo rapporto sessuale, e solo il 54 per cento sa che le probabilità di una gravidanza aumentano se la donna fa sesso nei giorni a metà tra una mestruazione e l’altra.

Tramite internet, poi, i ragazzi entrano in contatto con la pornografia, senza aver ricevuto dal sistema educativo gli strumenti per capire che si tratta di finzione cinematografica. Marco Rossi, psichiatra e presidente della Società Italiana di Sessuologia ed Educazione Sessuale, spiega che in questi casi il rischio di emulazione è altissimo: «È quella che io chiamo “sindrome di Spider-Man”: a nessuno, uscendo dal cinema dopo aver visto un film di Spider-Man, verrebbe in mente di mettersi a saltare da un palazzo all’altro, perché conosciamo la realtà e riconosciamo l’uso degli effetti speciali. Gli adolescenti, invece, tendono a imitare le pratiche sessuali viste nei porno, con tutti i problemi che ciò comporta dal punto di vista della violenza di genere, degli stereotipi, dell’ansia da prestazione».

Il governo neozelandese ha lanciato la campagna “Keep It Real Online” per promuovere un uso critico, responsabile e sicuro di internet da parte delle nuove generazioni. Nel video della serie dedicato alla pornografia, che ha avuto una larga diffusione sui social network, due pornostar si presentano nude a casa di un ragazzino che è solito guardare le loro performance online, attirando l’attenzione della madre sul fatto che nei film in cui recitano non si parla mai di consenso e si va dritti al sodo. «Non mi comporterei mai così nella vita reale», spiega l’attore, «ma tuo figlio è solo un ragazzino: potrebbe non sapere come funzionano davvero le relazioni», aggiunge l’attrice.


Questo e gli altri articoli della sezione L’aborto in Italia sono un progetto del corso di giornalismo 2021 del Post alla scuola Belleville, pensato e completato dagli studenti del corso.