Una canzone di St. Vincent

Il ricordo di qualcuno di cui non ci dimenticheremo mai il giorno del compleanno ogni volta che viene

(Photo by Emma McIntyre/Getty Images for The Recording Academy)
(Photo by Emma McIntyre/Getty Images for The Recording Academy)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Gary Barlow dei Take That sta facendo le dirette domestiche musicali più belle di quest’anno: stavolta aveva ospite Linda Perry e hanno fatto – chevvelodicaffa’ – What’s up delle 4 Non Blondes.
Cinque anni fa oggi morì Keith Emerson, dell’ammirato trio rock Emerson, Lake and Palmer, e di più larga fama italiana negli anni Settanta per la sigla di Odeon.
Ieri invece è morto l’inventore olandese delle cassette: le cassette.

Happy birthday, Johnny
Ci sono due modi di reagire quando Mailchimp ti aveva sloggato e non ha salvato niente della newsletter di stasera che avevi già scritto, pronta e finita. Uno è lasciarsi andare a esclamazioni di disappunto ad alta voce che tua figlia sul divano accanto accoglierà con totale indifferenza senza staccare gli occhi dal suo smartphone e dal suo lavoro ai ferri. L’altro è mettersi pazientemente a riscrivere la newsletter, malgrado siano le dieci di sera, e non senza aver perso altri due minuti nella scrittura di un’inutile premessa volta a soddisfare un’infantile necessità di sfogo e condivisione del proprio rammarico.
In questo caso, verranno messi in pratica entrambi, in rapida successione.

Ci sono tre cose belle in questa canzone: una è la dolcezza complessiva, languida e addolorata. Una seconda è l’andamento filastrocco, che non ha neanche bisogno di un refrain: il refrain è la semplice declamazione di due frasi.

Happy Birthday, Johnny
Wherever you are

La terza è che la canzone è un film: il video della canzone senza avere bisogno di un video. Il ricordo di qualcuno con cui si sono condivise cose, e di cui non ci dimenticheremo mai il giorno del compleanno ogni volta che viene, e ora chissà dove sei. Vorrei sapere qualcosa di più di te, e possibilmente senza cercarlo su Facebook.

Remember one Christmas I gave you Jim Carroll
Intended it as a cautionary tale
You said you saw yourself inside there
Docketed like a two manual
Remember one summer we walked in Times Square
I showed you the zombies with hundred-inch stares
You took a big, set your hotel on fire
We took the blame, took the bags to the train

Le prime volte pensavo che lei quel Natale gli avesse dato Jim Kerr dei Simple Minds. Invece è Jim Carroll, il poeta e fondatore della Jim Carroll band, di cui vedo che è stato tradotto da Tiziana Lo Porto, che proprio oggi è celebrata da una pagina intera su Repubblica Palermo, per le sue eclettiche inclinazioni che arrivano fino ai Peanuts. Non fossero già le dieci e sette minuti ora divagherei a lungo sulla storia dei Peanuts sul Post e sulle loro traduzioni.

St. Vincent è il nome di battaglia di Annie Erin Clark, che ha 38 anni ed è dell’Oklahoma. Ha cantato con i Polyphonic Spree e con Sufjan Stevens, e poi si è messa in proprio e ha fatto sette dischi (quello nuovo esce tra poco, come dicemmo i giorni scorsi): ha curiosità letterarie e raffinate, e misteriosità ed esibizionismi insieme, che l’hanno resa di gran culto e fascino presso molti fan: ha vinto un premio Grammy, fatto un disco con David Byrne, è stata fidanzata con Cara Delevingne. Happy Birthday, Johnny era nel suo disco del 2017, di cui fu fatta anche una versione per solo piano e voce (e questa era Happy Birthday, Johnny). Per soprammercato, c’era anche quest’altra bella canzone in quel disco.

Johnny stava messo molto male, l’ultima volta che l’abbiamo visto, e non ci siamo lasciati bene. Il resto della storia e del testo è qui.

The last time you called it was on New Years’ Eve
You asked me for dough to get somethin’ to eat
Since we last spoke, you live on the street
Yeah, I wouldn’t believe all the shit that you’ve seen


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