L’importanza dei bar

Dopo l'anno più sfortunato della loro storia, Davide Coppo racconta su Rivista Studio come abbiano contribuito a costruire la politica e la cultura del Novecento

Hanni Weisse, Maly Delschaft e Brunn Kashmar sul set del film tedesco del 1925 “'Die Drei Portiermadels”. (Hulton Archive/Getty Images)
Hanni Weisse, Maly Delschaft e Brunn Kashmar sul set del film tedesco del 1925 “'Die Drei Portiermadels”. (Hulton Archive/Getty Images)

Il giornalista Davide Coppo ha raccontato su Rivista Studio i diversi motivi per cui i bar sono stati importanti nella costruzione della cultura e della politica europea del Novecento, raccogliendo storie, aneddoti di personaggi illustri e alcuni saggi sull’argomento, e riflettendo – al di là dei noti e raccontati aspetti economici – su cosa ci stiamo perdendo da un anno a questa parte, da quando cioè riunirsi a discutere attorno a un tavolo è diventato difficile, sgradevole oppure proprio vietato per via della pandemia da coronavirus.

Sono le cinque del mattino al bar Maxim’s, uno dei club più in voga di Bucarest. Davanti a una schiera di bottiglie di champagne, il trentenne Georges Simenon inizia a parlare con un uomo seduto vicino a lui. Non scorre, a quell’ora, soltanto vino francese, ma whisky e altri superalcolici, eppure l’atmosfera non è quella che ci si potrebbe immaginare dopo una notte di eccessi: anzi, si respira «un clima piacevolmente rilassato», in cui Simenon individua artisti, un magistrato ed esperto di diritto internazionale, un dotto rumeno, un ex ministro.

È una scena descritta con più dettagli in Europa 33, una raccolta di reportage di viaggio scritti da Simenon dal Belgio a Istanbul in un anno cruciale per il mondo, in cui lo scrittore misura il polso al continente in equilibrio precario tra le due guerre. Non è un episodio fondamentale, ma apre una finestra su un mondo – quello dei caffè, dei bar, dei ristoranti e dei club – che per oltre un secolo è stato il laboratorio in cui si progettavano le innovazioni politiche, culturali, economiche e sociali dell’Europa.

Si potrebbe arrivare a dire che l’Occidente stesso, per come lo conosciamo, è nato nei bar, intorno a tavolini con sopra un bicchiere di vino, oppure di whisky, o una tazza o tazzina di tè e di caffè, negli orari più diurni. In un certo senso è quello che fa il saggio A Rich Brew: How Cafés Created Modern Jewish Culture di Shachar Pinsker, un professore ed esperto di cultura ebraica della University of Michigan, un testo del 2018 molto ben recensito e vincitore di diversi premi. Pinsker riconduce ai bar non soltanto la “moderna cultura ebraica” del titolo, ma la nascita delle democrazie europee. «La democrazia non fu costruita nelle strade», ha scritto Adam Gopnik commentando il libro sul New Yorker, «bensì tra i piattini».

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