La Lombardia è stata una settimana in più in zona gialla

E la causa è la stessa di sempre: la scarsa qualità dei dati inviati dal governo regionale all’Istituto superiore di sanità

Controlli e ingressi contingentati su Navigli e Darsena per controllare l’afflusso di persone (Claudio Furlan/LaPresse)
Controlli e ingressi contingentati su Navigli e Darsena per controllare l’afflusso di persone (Claudio Furlan/LaPresse)

La scorsa settimana la Lombardia è stata in zona gialla e invece avrebbe dovuto essere in zona arancione. Mentre cresceva il numero dei nuovi positivi e gli ospedali tornavano ad accogliere molti pazienti nelle terapie intensive, in tutta la regione bar e ristoranti hanno aperto fino a pranzo e non ci sono state limitazioni agli spostamenti tra province. Nel weekend migliaia di persone hanno approfittato delle ultime ore di zona gialla per concedersi una gita fuori porta o una passeggiata in città (da lunedì la Lombardia è in zona arancione).

Tutto questo è stato possibile grazie ai dati che mostravano una situazione epidemiologica piuttosto stabile, non oltre la soglia di allerta. In realtà i dati utilizzati per determinare il colore delle zone, e quindi le misure restrittive, erano inesatti, e avevano molti problemi.

A gennaio gli stessi problemi avevano determinato per la Lombardia una settimana in più di zona rossa, a cui erano seguite polemiche e proteste. Al centro della vicenda ci sono sempre dati piuttosto complessi che servono per calcolare l’indice Rt, uno degli indicatori più importanti per capire a che punto è l’epidemia. Rispetto a gennaio, quando era stato molto difficile ricostruire con precisione cosa era successo, ora i dati sono pubblici, perché la Regione ogni mercoledì pubblica il materiale inviato all’Istituto superiore di sanità per il calcolo dell’indice Rt. Grazie a questa pubblicazione, si può capire cosa è andato storto e confermare che alcune importanti decisioni sono state prese su dati non consolidati, inesatti.

Non è facile capire come mai la Lombardia continui ad avere questi problemi di accuratezza dei dati rispetto a tutte le altre regioni. Uno dei motivi è la mancata comunicazione dello stato clinico dei pazienti e la data di inizio dei sintomi, due dei parametri più importanti per calcolare in modo preciso l’indice Rt. Secondo l’ultimo bollettino settimanale dell’ISS, la Lombardia comunica questi dati solo per il 71,3 per cento di tutti i positivi. Tutte le altre regioni invece sono molto vicine al 100 per cento, quindi nel resto d’Italia l’indice Rt è molto più affidabile.

– Leggi anche: Com’è andata la complicata vicenda dei dati sbagliati della Lombardia

Per il calcolo dell’indice Rt, l’Istituto superiore di sanità utilizza gli aggiornamenti inviati dalle regioni e relativi alle due settimane precedenti, per avere dati più affidabili ed evitare errori. Nel monitoraggio settimanale pubblicato il 18 febbraio, con le stime relative al 3 febbraio, l’indice Rt lombardo era 0.95. Il valore 1 è una delle principali soglie di allerta fissate dall’ISS. Sotto il valore 1 e con una certificazione di rischio moderato, la Lombardia era stata inserita in area gialla. Lo è stato per un mese, da lunedì 1 a domenica 28 febbraio.

Grazie ai dati pubblicati dalla stessa Regione, però, si può verificare che l’indice Rt relativo al 3 febbraio era già sopra la soglia di allerta.

In questo grafico realizzato da Vittorio Nicoletta, dottorando di sistemi decisionali dell’Université Laval di Quebec City, in Canada, si può vedere la notevole discrepanza tra i dati utilizzati per determinare il colore delle zone (linea rossa) e quelli reali (linea azzurra), calcolati sulla base della pubblicazione aggiornata della Regione. Con un valore superiore a 1, la Lombardia avrebbe dovuto essere in zona arancione già da lunedì 22 febbraio.

Il divario tra ufficiale e reale è ancora più evidente nell’ultimo aggiornamento settimanale pubblicato venerdì scorso: secondo i calcoli, l’indice Rt relativo al 10 febbraio era 0.82, in realtà i dati dicono che avrebbe dovuto essere a 1.09.