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  • Domenica 14 febbraio 2021

L’obesità continua a diffondersi in Africa

E con la pandemia è ancora più un problema: nel continente una morte su 5 per Covid-19 è legata al diabete

Una donna mangia nei tavoli all'esterno di un fast food a Johannesburg, in Sudafrica, a giugno del 2020, dopo la riapertura dei ristoranti del paese, che erano stati chiusi per 100 giorni a causa del coronavirus (AP Photo/Denis Farrell, LaPresse)
Una donna mangia nei tavoli all'esterno di un fast food a Johannesburg, in Sudafrica, a giugno del 2020, dopo la riapertura dei ristoranti del paese, che erano stati chiusi per 100 giorni a causa del coronavirus (AP Photo/Denis Farrell, LaPresse)

Da tempo si parla dell’obesità in Africa, un argomento controintuitivo rispetto all’immaginario comune, che la considera una malattia dei paesi più ricchi e industrializzati piuttosto che di quelli in via di sviluppo. Invece negli ultimi decenni nei paesi in via di sviluppo il numero di persone clinicamente obese (cioè con un indice di massa corporea superiore a 30) o in sovrappeso è più che quadruplicato, e i motivi sono legati al cambiamento di alcune condizioni economiche e ad altri aspetti storici e culturali.

In un recente articolo, l’Economist ha scritto che prima della pandemia da coronavirus in Africa gli stipendi erano mediamente aumentati, portando molte persone a trasferirsi nelle città e a cambiare il proprio stile di vita. Si tratta di persone che avevano migliorato la propria condizione, ma che erano comunque in difficoltà, e spesso svolgevano lavori per i quali dovevano allontanarsi da casa e mangiare fuori tutti i giorni, come farebbe una persona benestante.

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La maggior parte di loro quindi era costretta a cercare cibi a basso costo, quasi sempre molto lavorati industrialmente e già pronti, come patatine, dolci e altre cose confezionate. In generale, nelle città si è cominciato a conoscere il cibo spazzatura e ad abusarne. Al di là dell’obesità, in un continente come l’Africa questo costituisce già un grosso problema di per sé: problemi di salute che in Europa potrebbero sembrare comunque gestibili e trattabili, come diabete, ipertensione e disturbi cardiovascolari, sono poco conosciuti, hanno delle cure molto costose per i sistemi sanitari africani e negli ultimi anni sono stati la diretta causa di milioni di morti.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2014 il 7 per cento della popolazione in Africa aveva il diabete, più del doppio rispetto al 1980. La forma più diffusa (oltre il 90 per cento dei casi nell’Africa subsahariana) è il diabete di tipo 2, cioè quello causato dall’eccesso di peso e dall’inattività fisica. Il coronavirus, particolarmente pericoloso per le persone obese, ha reso questo problema ancora più urgente: a novembre l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha scoperto che quasi una morte su 5 per Covid-19 in Africa era legata alla presenza del diabete. Il problema fondamentale è più che altro la scarsa conoscenza e terapia del diabete, che non viene diagnosticato in 6 persone su 10.

In generale i fattori alla base dell’obesità in Africa sono molti e spesso compresenti. Ovviamente tra i principali c’è la scarsissima educazione alimentare, ma in molte città c’è anche la mancanza di marciapiedi, che costringe le persone a spostarsi con gli autobus per andare nei luoghi di lavoro – dove poi mangiano male – e a non fare attività fisica.

C’è poi un fondamentale problema culturale, per il quale in paesi che hanno convissuto a lungo con la povertà e con la fame essere sovrappeso è un sintomo di benessere: per gli uomini è sintomo di successo, per le donne di bellezza. Spesso le madri danno ai bambini piccoli bevande gassate e succhi zuccherati insieme al latte materno, o biscotti, patatine e cibi convenienti. Nell’Africa subsahariana, una buona nutrizione con frutta, latte e carne costa il 70 per cento dei guadagni medi di una persona.

Questo è stato particolarmente evidente in un paese a reddito medio come il Sudafrica, dove a differenza dei paesi più ricchi l’obesità riguarda più le donne (il 40 per cento) che gli uomini (il 15 per cento). Esclusi alcuni paesi ancora poverissimi, altri stanno andando nella stessa direzione del Sudafrica, per esempio lo Zambia. L’Economist ha raccontato che nei villaggi di Monze, in Zambia, gli agricoltori sono abituati a vendere i legumi e le verdure che coltivano e poi a comprare a prezzi più convenienti cibo spazzatura. Per questo il World Food Programme delle Nazioni Unite sta organizzando in quella zona degli incontri in cui viene spiegato alle donne locali come cucinare quello che hanno, senza doversi procurare cibi già trasformati nei negozi.

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La crescita dell’obesità degli ultimi decenni non deve far pensare che la denutrizione e la fame siano finite: spesso negli stessi villaggi, o addirittura nelle stesse famiglie, convivono bambini con problemi opposti di denutrizione e obesità. Tra i giovani africani tra i 5 e i 19 anni molti sono sottopeso, tra i maschi quasi uno su tre e una su cinque tra le femmine.