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  • Giovedì 11 febbraio 2021

Sui vaccini i Balcani occidentali stanno guardando più a est che a ovest

Cioè verso Russia e Cina, per le difficoltà di ottenere rapidamente dosi di vaccino dall'Unione Europea

Uno degli operatori sanitari che somministrano i vaccini in Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic, LaPresse)
Uno degli operatori sanitari che somministrano i vaccini in Serbia (AP Photo/Darko Vojinovic, LaPresse)

Mentre in molti paesi del mondo ogni giorno decine di migliaia di persone vengono vaccinate contro il coronavirus, quattro dei sei paesi dei Balcani occidentali non hanno ancora vaccinato nemmeno una persona. La regione dei Balcani occidentali, riconosciuta come tale anche nei documenti ufficiali dell’Unione Europea, è formata da Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia e Albania. Questi ultimi due paesi, a differenza degli altri, hanno già iniziato le vaccinazioni, seppur con modalità tra loro diverse.

I paesi dei Balcani occidentali non fanno parte dell’Unione Europea, ma stanno provando a entrarci da tempo: Serbia e Montenegro hanno già avviato i negoziati da diversi anni, Albania e Macedonia sono entrate da poco tra i candidati ufficiali.

L’Unione Europea aveva promesso loro che li avrebbe aiutati e che avrebbe mandato delle dosi di vaccino che però non sono mai arrivate, e le scadenze sono poco chiare. La questione dei vaccini è molto dibattuta anche perché si parla di paesi che durante la pandemia hanno avuto alcuni tra i tassi di mortalità per Covid-19 più alti in assoluto. Non volendo dipendere solo dalle promesse europee, alcuni governi locali hanno cominciato a muoversi in autonomia: la Serbia ha chiesto aiuto a Russia e Cina e altri paesi hanno iniziato a seguirne l’esempio. La questione è molto importante e dibattuta perché non è nuova: da tempo l’influenza russa nei Balcani minaccia i progetti dell’Unione Europea di mantenere la regione legata all’orbita europea, ma una soluzione non sembra semplice, anche perché il processo di adesione va avanti estremamente a rilento e più volte ha frustrato le ambizioni dei governi balcanici.

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Da quando si è iniziato a parlare di campagna vaccinale, l’Unione Europea ha più volte parlato di meccanismi di solidarietà verso i paesi più in difficoltà, tra cui quelli che formano la regione dei Balcani occidentali. Essendo territori confinanti con diversi paesi dell’Unione Europea, è nell’interesse di tutta l’Europa che i contagi da coronavirus calino.

A gennaio la Commissione Europea aveva detto che avrebbe condiviso con «i paesi alleati» una parte delle dosi comprese nella “strategia per i vaccini” dell’Unione Europea, citando espressamente i Balcani occidentali. Aveva aggiunto che avrebbe continuato a sostenere COVAX, un meccanismo che coinvolge l’Organizzazione mondiale della sanità e diverse associazioni e fondazioni, studiato per facilitare una distribuzione equa dei vaccini: l’obiettivo di COVAX è quello di garantire che i vaccini arrivino anche ai paesi più poveri. L’Unione Europea ha già versato 853 milioni di euro a COVAX e ne è uno dei principali finanziatori.

I paesi dei Balcani occidentali avevano firmato ufficialmente l’adesione a questi due meccanismi, per ottenere i vaccini nel modo più sicuro e anche più economico, grazie ai prezzi stipulati a livello sovranazionale con le aziende farmaceutiche per l’acquisto di molte dosi. Adi Ćerimagić, analista del think tank European Stability Initiative, ha detto ad Al Jazeera che era chiaro fin dall’inizio che la consegna ai Balcani occidentali dei tre vaccini approvati dall’Unione Europea (quelli prodotti da Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca) non sarebbe stata rapida quanto quella diretta verso i paesi membri. Ćerimagić, comunque, ha criticato molto il fatto che non fossero arrivate nemmeno le dosi per cominciare a vaccinare le fasce più a rischio della popolazione.

A fine gennaio, Ćerimagić aveva fatto notare che per vaccinare tutti gli operatori sanitari in Montenegro, Kosovo, Macedonia del Nord e Bosnia ed Erzegovina sarebbero bastate tra le 50mila e le 100mila dosi, «il numero di vaccini somministrati in Germania in un giorno». Una settimana fa il direttore della divisione europea dell’OMS, Hans Kluge, aveva detto che i paesi più ricchi dovrebbero condividere le proprie dosi subito, una volta vaccinate le fasce più a rischio. «Sappiamo che Unione Europea, Canada, Regno Unito, Stati Uniti hanno ordinato e preso accordi per nove volte le dosi di cui avevano bisogno», ha detto ad AFP.

Anche il presidente della Serbia si era lamentato di chi acquista più vaccini del necessario, e su Instagram aveva paragonato la corsa ai vaccini al Titanic: «I ricchi cercano di assicurarsi scialuppe solo per se stessi». Per questo la Serbia, nonostante avesse versato quasi 5 milioni di euro nel fondo COVAX, ha cominciato a fare accordi con Russia e Cina.

La Serbia ha 7 milioni di abitanti e ha ricevuto 1,1 milioni di dosi del vaccino cinese dell’azienda Sinopharm (ne riceverà un altro milione entro marzo) e sta negoziando con la Russia la possibilità di produrre sul proprio territorio il vaccino russo Sputnik V entro la fine dell’anno. In breve tempo il paese è diventato il primo dell’Europa continentale per la percentuale di vaccinazioni sul totale degli abitanti: all’inizio di febbraio aveva già vaccinato il 7 per cento della sua popolazione, il doppio della media dei paesi dell’Unione Europea.

Non è ancora possibile stabilire se la scelta della Serbia si rivelerà vincente, ma affidarsi a questi vaccini comporta in ogni caso dei rischi: nessuno dei due ha ricevuto un parere positivo dai due enti regolatori di Europa e Stati Uniti – l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e la Food and Drug Administration (FDA).

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Oggi, comunque, la Serbia è vista come un modello dagli altri stati dei Balcani occidentali che vorrebbero iniziare a vaccinare la loro popolazione quanto prima.

La Macedonia del Nord, per esempio, ha iniziato a negoziare con la Cina e sta cercando di ottenere direttamente da Pfizer 800mila dosi già entro questo mese. Il ministro della Salute macedone, Venko Filipče, ha però precisato che secondo lui il meccanismo di solidarietà europeo «non ha fallito», è solo in ritardo, e ha detto che in questa scelta della Macedonia del Nord non bisogna cercare interessi politici: «È una questione di Salute pubblica», ha detto a Politico (la Macedonia del Nord cerca da tempo di entrare nell’Unione Europea, e per riuscirci ha cambiato anche il proprio nome).

L’altro paese dei Balcani occidentali che ha già iniziato le vaccinazioni, ma solo perché ha ricevuto 975 dosi simboliche da uno stato dell’Unione Europea, è l’Albania. Il presidente albanese Edi Rama aveva detto di non essere autorizzato a dire di quale stato si trattasse. Il modo in cui si sta muovendo l’Albania sembra comunque il più oculato e prudente fra quelli appartenenti alla regione dei Balcani occidentali: l’Albania ha anche trattato direttamente con Pfizer e riceverà in totale 500mila dosi, delle quali 1.170 sono già state inviate e altre 40mila sono attese entro febbraio.

Nonostante l’Albania abbia meno di 3 milioni di abitanti, quelle in arrivo sono ancora troppe poche dosi per organizzare un programma vaccinale di massa. L’epidemiologo albanese Ilir Alimehmeti ha detto che per il momento l’Albania, anche se non vorrebbe, sta facendo affidamento sull’immunità di gregge.

Montenegro, Kosovo e Bosnia ed Erzegovina dovrebbero invece ricevere le prime dosi da COVAX in primavera, ma intanto hanno iniziato anche loro a prendere accordi con Russia, Cina e con Pfizer senza l’intermediazione europea. Quello messo meglio dei tre è il Montenegro, che ha già stipulato un contratto per 150mila dosi da Sinopharm e sta per assicurarsene altre 50mila dalla Russia.