Polonia e Ungheria contro Facebook e Twitter

I due governi vogliono proteggere chi diffonde notizie false e contenuti discriminatori: un approccio opposto a quello dell'UE

(AP Photo/Czarek Sokolowski)
(AP Photo/Czarek Sokolowski)

Mentre i paesi dell’Europa occidentale stanno cercando di capire come limitare la diffusione sui social network delle notizie false e dove trovare un punto di equilibrio fra la libertà di espressione e il controllo sui contenuti razzisti e violenti, alcuni paesi dell’Europa orientale hanno scelto un approccio opposto: fare pressione affinché i social network permettano la condivisione dei contenuti in questione.

I passi più concreti sono stati presi in Polonia e Ungheria, due paesi guidati da governi semi-autoritari che hanno consolidato il proprio potere grazie al controllo dei media tradizionali e ai paletti, fino a poco tempo fa molto laschi, consentiti agli utenti dei principali social network come Facebook e Twitter.

In Polonia il primo ministro Mateusz Morawiecki, espresso dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia, ha criticato Facebook e Twitter per avere rimosso gli account di Trump dopo l’attacco al Congresso statunitense compiuto dai suoi sostenitori, spiegando che «né gli algoritmi né i proprietari delle multinazionali dovrebbero decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato». Pochi giorni dopo ha proposto una legge che istituisca un Consiglio della Libertà di Espressione a cui potranno rivolgersi gli utenti bloccati o che hanno subito restrizioni dell’account: se il Consiglio prenderà una decisione a favore degli utenti, i social network dovranno obbedire o in caso contrario pagare multe fino a 11 milioni di euro.

«Sappiamo che gli anonimi moderatori delle piattaforma censurano spesso opinioni che non violano la legge ma sono semplicemente critiche nei confronti del pensiero di sinistra. Questo crea rilevanti rischi per la liberà di espressione», ha detto al Financial Times il viceministro polacco della Giustizia, Sebastian Kaleta.

Il Guardian fa notare che negli ultimi anni Facebook ha bloccato spesso politici di estrema destra e i post da loro pubblicati: tre mesi fa aveva sospeso temporaneamente l’account di Janusz Korwin-Mikke, un deputato polacco ed ex parlamentare europeo noto per le sue posizioni omofobe e razziste. Pochi giorni fa Twitter ha sospeso un sito di news in francese, France Libre 24, legato proprio al partito politico fondato da Korwin-Mikke.

In Ungheria la settimana scorsa la ministra della Giustizia Judit Varga, considerata vicinissima al primo ministro Viktor Orbán, ha annunciato in un post su Facebook che intende proporre una misura per «regolamentare le operazioni nazionali delle piattaforme online». Varga ha aggiunto che a suo parere i social network «limitano la visibilità delle opinioni cristiane, conservatrici e di destra» e spiegato che nonostante il suo governo intenda cooperare con l’Unione Europea su questo punto, «i fatti recenti hanno dimostrato che dobbiamo muoverci più in fretta per proteggere le persone».

Varga si riferisce a una proposta di legge molto dettagliata per regolamentare il settore digitale avanzata di recente dalla Commissione Europea. Le misure che interessano i social network e la loro responsabilità sono contenute in particolare nel Digital Services Act (DSA), messo insieme dal commissario al Mercato Interno e ai Servizi Thierry Breton.

Il DSA è in linea con le richieste dei paesi occidentali e chiede maggiore rapidità nel rimuovere i contenuti chiaramente illegali come violazioni di copyright, materiale terroristico e pedopornografico, e prevede alcune limitazioni maggiori per quelli che definisce very large online platforms, “piattaforme digitali molto grandi”, un’espressione che nel DSA si ritrova ben 92 volte. A queste piattaforme chiede soprattutto maggiore trasparenza sulle inserzioni pubblicitarie di politici o aziende, un processo annuale di verifica di un organo indipendente sulle proprie attività, ma soprattutto un meccanismo di “analisi del rischio” che secondo alcuni potrebbe restringere la libertà di cui godono al momento i partiti e i leader politici di estrema destra che pubblicano spesso contenuti al limite oppure passibili di sanzioni.

– Leggi anche: La soluzione europea al governo dei social network

La collaborazione di Polonia e Ungheria su questi temi, insomma, sembra garantita solo a parole. Ma dato che difficilmente riusciranno a incastrare i principali social network muovendosi da soli – Facebook e Twitter hanno un potere contrattuale enorme e stuoli di avvocati ed esperti di libertà di espressione – si stanno muovendo anche in altre direzioni.

In entrambi i paesi sono stati aperti di recente dei social network paralleli che ricalcano Parler, che prima di essere rimosso dai principali app store era molto popolare nell’estrema destra statunitense per i suoi larghissimi criteri di moderazione. In Polonia la settimana scorsa è stato presentato Albicla, un social network che secondo Balkan Insight è stato creato da attivisti di destra legati a Diritto e Giustizia: il suo nome deriverebbe della parole latine albus aquila, “aquila bianca”, cioè uno dei simboli della Polonia, ed è stato presentato esplicitamente come un Facebook senza moderazione. Nei giorni scorsi però è già finito nei guai per la scarsissima protezione dei dati personali dei propri utenti.

In Ungheria invece da dicembre esiste Hundub, un social network dalle origini poco chiare che era passato praticamente inosservato prima di essere pubblicizzato dall’importante quotidiano filogovernativo Magyar Nemzet come una brillante alternativa a Facebook.

Non è chiaro se questi social network riusciranno a sostituirsi a Facebook, molto popolare sia in Polonia sia in Ungheria: se mai ci riusciranno, fra l’altro, dovrebbero comunque sottostare al Digital Service Act europeo. Secondo le attuali previsioni dovrebbe entrare in vigore nel giro di un paio d’anni.