Una canzone di Phil Collins

Il resto è tutto ossa rotte, che prima o poi ci siamo rotti tutti

(Photo by Ethan Miller/Getty Images)
(Photo by Ethan Miller/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
All’affezionato abbonato del Post che ieri sera mi ha ricordato che quel verso di Narcotic – la canzone di ieri – allora sembrava dicesse “Michael Caine” (è vero: in realtà è “my cocaine”), rammento a mia volta che esiste una amata canzone dei Madness, che si chiama Michael Caine.
Ah, Narcotic uscì nel 1998: ho scritto 1996 riferendomi a quando si racconta che sia stata composta, ma spiegandomi male.
Breve editoriale “politico”: è degno del paese scemo che stiamo diventando che si discuta di fare Sanremo con il pubblico in un teatro, ovvero la condizione che da un anno stiamo costringendo tutti ad evitare con ottime ragioni. E addurre argomenti di perdite economiche offende tutti quelli che da un anno stanno subendo perdite economiche obbedendo alle regole. E cercare escamotage (i figuranti!) per aggirare le regole mantenendo gli stessi pericoli è un esempio pessimo a cui non si dovrebbe nemmeno dare attenzione, dopo un anno passato a dire che ciò che contava non era la formalità delle regole ma la consapevolezza del rischio e il buon senso. Il bar sotto casa mia non può far sedere i clienti da settimane, Sanremo si fa senza pubblico.
In tutto questo, oggi iniziò il primo festival di Sanremo, 70 anni fa.
Domenica invece compie 60 anni Lloyd Cole, di cui dicemmo qui.

You know what I mean
Just as I thought I’d make it
You walk back into my life
Just like you never left

Tre anni e mezzo fa andai al concerto di Phil Collins alla Royal Albert Hall, quello del suo ritorno a cantare in pubblico dopo parecchie vicissitudini e acciacchi. Misi una foto su Instagram e ci scrissi “Omino”. Quello sembrava, un omino. Attraversò il palco camminando lentamente e con un bastone, raggiunse uno sgabello e cantò tutta la sera da lì: non fu inevitabilmente un gran concerto, pur con qualche momento più coinvolgente e col pubblico animato. Ma non era importante; scherzando, risposi a qualcuno che mi chiese se quindi mi avesse deluso: “ma no, ho fatto bene ad andare: mi è sembrato che a lui abbia fatto piacere”.

Ha avuto sempre una sua umiltà dimessa Phil Collins, pure quando divenne leader di una delle più grandi rock band della storia: sarà che gli mancava il fisico (piccoletto, calvo), sarà che gli era successo un po’ per accidente perché quello vero era andato via.
Provateci voi a essere Phil Collins.

(quel vecchio aneddoto formativo su io, il benzinaio e Phil Collins; qui invece è dove sciorino la mia collezione)

E anche quando si mise a fare dischi da solo che vendettero milioni di copie, la storia era quasi sempre che lei lo aveva mollato, oppure che tutto era molto tormentato e doloroso: sere a soffrire e cercare di dormire. Nel suo primo disco – Face value, 1981, quello di In the air tonight – c’era You know what I mean: canzone di affermazione di indipendenza da un abbandono, con lei che torna e lui che dice “vai via, lasciami stare”, ma in cui la forza di dire “vai via, lasciami stare” è proprio l’unica cosa che gli resta, il resto è tutto ossa rotte.

Oh, leave me alone with my heart
I’m putting the pieces back together again
Just leave, leave me alone with my dreams
I can do without you, know what I mean

Sono ossa che ci siamo rotti tutti. Lui però poi se le è rotte davvero, come avevo raccontato in quel pezzo. Domani compie 70 anni, scopro mentre ne scrivo, bella coincidenza. Il tour di reunion dei Genesis è stato rimandato già due volte (doveva iniziare ad autunno), loro stanno provando, lui sul palco deve sempre stare seduto. Ma io vado, 8 ottobre: secondo me gli fa piacere.

I wish I could write a love song
To show you the way I feel


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