Il Tar della Lombardia ha accolto un ricorso contro l’ordinanza regionale che stabiliva la didattica a distanza per le superiori fino al 24 gennaio

Proteste contro la didattica a distanza davanti al liceo Manzoni di Milano, dove alcuni studenti hanno occupato per un giorno l'istituto (LaPresse/Claudio Furlan)
Proteste contro la didattica a distanza davanti al liceo Manzoni di Milano, dove alcuni studenti hanno occupato per un giorno l'istituto (LaPresse/Claudio Furlan)

Mercoledì 13 gennaio il Tar (tribunale amministrativo regionale) della Lombardia ha accolto un ricorso contro l’ordinanza della regione che stabiliva la didattica a distanza al 100 per cento, fino al 24 gennaio, per le scuole superiori. Il ricorso era stato presentato due giorni prima dal comitato “A Scuola!”.

Il tribunale regionale ha sospeso l’ordinanza della Lombardia perché ha ritenuto irragionevoli le motivazioni per cui era stata decisa la didattica a distanza: cioè il rischio di assembramenti fuori dalle scuole. La sentenza dice che l’ordinanza del presidente Attilio Fontana, nell’ipotizzare il rischio di assembramenti fuori dalle scuole, «anziché intervenire su siffatto ipotizzato fenomeno, vieta radicalmente la didattica in presenza per le scuole di secondo grado».

La Lombardia, come molte altre regioni, aveva deciso di introdurre per le scuole misure più restrittive rispetto al decreto legge del 5 gennaio, che stabiliva la ripresa delle attività in presenza al 50 per cento negli istituti superiori e nei licei a partire dall’11 gennaio.

Le scuole superiori in Lombardia potrebbero quindi teoricamente riaprire, ma visto l’andamento epidemiologico la regione già da sabato 16 gennaio potrebbe essere reinserita in zona rossa, costringendo le scuole superiori a chiudere di nuovo. La regione intanto ha fatto sapere che si riserva di appellare la sentenza.