È stato anche l’anno del “doomscrolling”

Che è quello che facciamo quando leggiamo brutte notizie online una dietro l'altra, deprimendoci, e nel 2020 ha riguardato un po' tutti

Un uomo legge dal proprio smartphone nei primi giorni del lockdown a Milano, l'11 marzo 2020. (Emanuele Cremaschi/Getty Images)
Un uomo legge dal proprio smartphone nei primi giorni del lockdown a Milano, l'11 marzo 2020. (Emanuele Cremaschi/Getty Images)

È probabile che, almeno per certi momenti, nel 2020 abbiate fatto doomscrolling: è il nome con cui da alcuni mesi sui social network e sui giornali americani viene identificato lo scorrere e consumare una dietro l’altra notizie online drammatiche, deprimenti e tristi, sullo smartphone o sul computer. Una pratica che esiste ovviamente da tempo – e che ormai caratterizza certe professioni, come quella dei giornalisti – ma che nel 2020 è diventata molto più comune e diffusa: perché la pandemia da coronavirus ha fatto traboccare brutte notizie da tutte le parti e ha ridotto drasticamente le attività che prima funzionavano da distrazioni, dallo sport alle uscite in compagnia, rendendoci tendenzialmente più incollati agli schermi. È un fenomeno ancora relativamente nuovo, ma vari esperti hanno già segnalato come – prevedibilmente – il doomscrolling sia deleterio per il benessere mentale.

In inglese, doom significa qualcosa come “condanna” e “sventura”, mentre lo scrolling è il verbo – ormai usato anche in Italia – con cui si indica lo scorrere verso il basso la bacheca di un social network, o un articolo online, usando il pollice sullo smartphone. Talvolta, al posto di doomscrolling si usa doomsurfing. Il dizionario Merriam Webster l’ha inserita tra le parole che sta «tenendo d’occhio», ma che non raggiungono ancora i criteri per essere inseriti come vocaboli veri e propri.

A contribuire alla fama del termine negli Stati Uniti è stata principalmente Karen Ho, una giornalista di Quartz che per tutta la pandemia ha pubblicato su Twitter dei promemoria periodici sull’importanza di fare altro rispetto a leggere notizie sui casi di contagio in crescita, sulle restrizioni, sul tracollo dell’economia, sui posti di lavoro persi. Ho dice che la prima occorrenza che ha trovato online della parola doomscrolling risale all’ottobre del 2018, quindi molto prima della pandemia. Lo scorso ottobre, l’illustratore Christoph Niemann ha rappresentato in modo particolarmente efficace il doomscrolling in un disegno animato per il New Yorker.

La giornalista del Wall Street Journal Nicole Nguyen ha messo in fila un po’ di pareri di esperti sulle cause di questo fenomeno. La docente di psicologia clinica Mary McNaughton-Cassill lo ha collegato al bisogno innato dell’uomo di «cercare le minacce», che si tratti di bacche velenose o di tribù rivali. Secondo McNaughton-Cassill, siamo predisposti a dare più attenzione alle notizie cattive rispetto a quelle buone, e quando siamo nervosi e stressati scateniamo una risposta naturale che alza la pressione e il battito cardiaco. Normalmente, serve a prepararci al pericolo, «ma può capitare anche quando non è utile, come quando il nostro capo è maleducato, o quando vediamo qualcosa in tv».

Le cause del doomscrolling non sono soltanto da cercare negli esseri umani, ma anche nella tecnologia: gli algoritmi che fanno funzionare i social network sono pensati per tenere le persone incollate agli schermi, e «amplificano qualsiasi emozione ci faccia continuare a guardare, specialmente quelle negative» ha spiegato David Jay del Center for Humane Technology. Non finisce qui: Twitter, Facebook, Instagram e gli altri social network sono disegnati come infinite bacheche, in cui potenzialmente si può scorrere e scorrere verso il basso senza mai arrivare a una fine. «Questo fa sì che le persone non si sentano mai completamente aggiornate. Non arrivano mai alla soddisfazione di dire “Ah, ora ho capito il problema”» ha spiegato al Wall Street Journal Coye Cheshire, docente di sociologia a Berkeley.

Parlando con NPR, la psicologa clinica Amelia Aldao ha spiegato che il doomscrolling costringe le persone in un «circolo vizioso di negatività» che alimenta l’ansia, dovuto alla scoperta continua di nuove minacce da cui sentiamo istintivamente la necessità di proteggerci. Tra i consigli per contenere questo comportamento negativo, Aldao consiglia di mettere dei timer per limitare il tempo passato online, di chiedersi spesso se quello che leggiamo online sia davvero quello che stavamo cercando e volevamo sapere, e cercare di alternare questi momenti ad altri soltanto positivi, meglio se offline. Twitter e Facebook hanno risposto al Wall Street Journal elencando gli strumenti adottati per esigenze simili, come la possibilità di bloccare o silenziare certi account, o di nascondere certi tipi di post.