L’importanza del sonno nella pandemia

Può aiutare a contrastare gli effetti del coronavirus, ma molti convalescenti da COVID-19 segnalano di non riuscire a dormire

(Fox Photos/Getty Images)
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In questi mesi, molti convalescenti dalla COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, hanno segnalato difficoltà a dormire, nei casi più gravi con protratti periodi di insonnia che hanno reso più difficile e lento il loro recupero. Medici e ricercatori sono al lavoro per comprendere meglio questo aspetto della malattia, meno urgente ed evidente rispetto ad altri, ma altrettanto importante per favorire un completo recupero.

I disturbi del sonno sono stati rilevati in diversi ospedali in giro per il mondo. All’inizio i medici avevano ipotizzato che le cause fossero per lo più gli stati d’ansia, legati alle preoccupazioni per la malattia e più in generale per la pandemia e il cambiamento delle proprie abitudini di vita. Una ricerca pubblicata nel Regno Unito, per esempio, aveva rilevato che circa tre quarti della popolazione avesse cambiato le proprie abitudini legate al sonno, riducendo il numero di ore dormite.

Un’analisi più attenta del fenomeno ha però portato alcuni medici a valutare se la causa fosse direttamente la COVID-19. Rachel Salas, neurologa presso la Johns Hopkins University (Stati Uniti), si è dedicata in particolare allo studio dei convalescenti, rilevando come molti di loro segnalino insonnia, oltre agli altri effetti a lungo termine della malattia come mal di testa, debolezza e difficoltà a concentrarsi. I dati che ha raccolto, forniti anche da altri medici, non indicano particolari stati d’ansia dei pazienti, e che potrebbero quindi spiegare la mancanza di sonno. L’ipotesi è che l’insonnia possa quindi essere uno dei disturbi che accompagnano per mesi alcuni convalescenti.

Nella fase acuta della malattia, quando il sistema immunitario prova a impedire al coronavirus di replicarsi creando forti infiammazioni (che talvolta vanno fuori controllo), ci si può aspettare che un paziente fatichi ad addormentarsi e a riposare, nonostante la spossatezza. In questa fase può accadere che la reazione immunitaria poco mirata danneggi anche il sistema nervoso, che impiega poi settimane per ripristinare le proprie normali funzioni. Sono processi ormai noti, e che si verificano anche nel caso di altre malattie causate da virus o batteri.

I problemi che riscontrano i convalescenti dalla COVID-19 sono invece più difficili da inquadrare, e non sempre possono essere ricondotti ai danni collaterali causati dalla risposta immunitaria. Un’ulteriore complicazione è data dal fatto che questi sintomi secondari si ritrovano anche in convalescenti da forme lievi della malattia, che non erano stati ricoverati e che sembravano essersi ristabiliti completamente dopo la malattia.

È probabile che nel periodo della convalescenza questi disturbi siano comunque legati alla risposta immunitaria, alla difficoltà del nostro organismo di ritrovare un equilibrio e di ripristinare le sue normali funzioni, a cominciare da quelle del sistema nervoso. In questo processo di guarigione, dormire bene può rivelarsi essenziale.

Mentre sappiamo da molto tempo che il sonno è importante per la salute fisica, solo negli ultimi decenni neurologi e ricercatori ne hanno compreso meglio i meccanismi. Quando dormiamo, si attivano processi per eliminare particolari sostanze che si accumulano nel cervello e nel resto del sistema nervoso centrale nelle ore di veglia. Una carenza di sonno fa sì che quelle sostanze non vengano smaltite correttamente, rendendo meno efficiente la comunicazione tra i neuroni.

Il consiglio di rimanere a riposo e provare a dormire di più quando si è malati può sembrare una banalità, ma non deve essere sottovalutato. Per questo alcuni ricercatori hanno iniziato a valutare non solo il ciclo sonno/veglia dei convalescenti da COVID-19, ma anche la possibilità di intervenire con integratori o altre pratiche per favorire il sonno in chi sta subendo gli strascichi della malattia.

Per un lungo articolo dedicato al tema, l’Atlantic si è messo in contatto con Feixiong Cheng, un ricercatore della Cleveland Clinic (Stati Uniti) che già lo scorso gennaio aveva iniziato a raccogliere informazioni sui sintomi causati dalla COVID-19 (all’epoca la malattia causata dal coronavirus non aveva ancora un nome). Cheng, che si occupa di analisi dei dati, aveva messo insieme ai suoi colleghi un algoritmo per studiare il coronavirus, scoprendo tra le altre cose che la melatonina potesse avere un ruolo nel ridurre i suoi effetti.

La melatonina è un ormone prodotto naturalmente dalla ghiandola pineale, che si trova alla base del cervello. Ha la funzione di regolare il ciclo sonno-veglia, agendo sull’ipotalamo, un’importante struttura del sistema nervoso centrale. I risultati dello studio di Cheng erano preliminari e ancora molto grezzi, ma era curioso che tra le tante sostanze possibili fosse indicato proprio quell’ormone.

Cheng e colleghi pubblicarono la loro ricerca, per quanto limitata, in un momento in cui le conoscenze sulla COVID-19 erano ancora scarse e ogni indizio era ritenuto prezioso. Diversi medici si misero in contatto segnalando il ruolo della melatonina sul sistema immunitario, e incoraggiando il suo gruppo di lavoro a proseguire le ricerche.

La raccolta di ulteriori dati e informazioni su migliaia di pazienti avrebbe poi portato Cheng e colleghi a pubblicare una nuova ricerca, nella quale si segnala (con le necessarie cautele) il ruolo della melatonina. Dai dati sembra che gli individui che l’assumono abitualmente siano meno a rischio di sviluppare la COVID-19 e di soffrire di sintomi gravi. Altre ricerche hanno rilevato condizioni simili, sempre da verificare e approfondire. Uno studio ha per esempio segnalato come alcuni pazienti intubati, a causa dei loro sintomi gravi da COVID-19, avessero un tasso di sopravvivenza più alto se trattati con la melatonina.

In diverse parti del mondo, a oggi sono in corso 8 test clinici per verificare la presunta correlazione tra melatonina e minori rischi legati al coronavirus. Nel caso di una conferma, la melatonina potrebbe essere aggiunta come integratore nelle terapie per chi ha la COVID-19 o ne è convalescente. È però ancora molto presto per dire se l’assunzione di questo ormone, che si trova in numerose preparazioni da banco in farmacia per chi ha disturbi del sonno, possa effettivamente portare a qualche beneficio in più.

Il sospetto è che non sia tanto la melatonina di per sé ad avere un impatto diretto, ma le funzioni sonno-veglia che contribuisce a regolare. Dormire è importante, ma lo diventa ancora di più nel mezzo di una pandemia, dicono i medici. Una giusta quantità di ore di sonno (almeno 7-8 ore, in media) può contribuire a rimanere in salute e, salvo altri problemi, non richiede il ricorso a integratori o a farmaci veri e propri. Il consiglio è di dormire in un ambiente silenzioso e confortevole, e di evitare stimoli eccessivi (come usare lo smartphone) nella mezz’ora prima di mettersi a letto.