C’è chi a scacchi imbroglia ma ora viene beccato

Le piattaforme per giocare online sono ormai diventate popolarissime e c'è un serio problema di bari: adesso si sta cercando di risolverlo

(Scott Olson/Getty Images)
(Scott Olson/Getty Images)

Nel corso del 2020, in gran parte a causa della pandemia, giocare a scacchi online è diventato eccezionalmente popolare. C’erano già avvisaglie di questo fenomeno, come la grande attenzione nei confronti dei Mondiali di scacchi di due anni fa e la trasformazione degli scacchi in un e-sport piuttosto seguito su piattaforme online come Twitch. Ma le grandi piattaforme di scacchi online hanno visto un aumento enorme degli iscritti soprattutto a partire da questa primavera, quando la gente, costretta a casa, ha cominciato a cercare nuovi hobby. Chess.com, che assieme a Lichess è la piattaforma più famosa e usata, ha avuto tra marzo e novembre circa 12 milioni di nuovi iscritti, contro i sei milioni e mezzo dello stesso periodo dell’anno scorso. E questo senza nemmeno citare la serie tv La regina degli scacchi, distribuita da Netflix a partire dalla fine di ottobre e diventata enormemente popolare.

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Ma, come ha scritto il Wall Street Journal qualche giorno fa, mentre aumentava notevolmente il numero di persone che giocano a scacchi online un altro fenomeno cresceva ancora di più: quelli che barano. Secondo i dati di Chess.com, la quantità di partite in cui si sono verificate negli ultimi mesi «violazioni del fair play», l’eufemismo con cui si indica il barare, è aumentata a ritmo più spedito della quantità totale delle partite. Anche i numeri assoluti sono notevoli: nel novembre del 2019 Chess.com aveva chiuso circa 6.000 account per violazioni del fair play; a novembre di quest’anno ne ha chiusi più di 18 mila.

Il fenomeno è così grave che un po’ tutti quelli che si occupano di scacchi, dalle piattaforme online alle federazioni professionistiche, sono al tempo stesso preoccupati e molto impegnati a trovare una soluzione: gli imbrogli negli scacchi esistono da sempre, ma da quando il gioco si è spostato online sono diventati più facili e diffusi. Soprattutto, gli imbrogli sono diventati un problema gravissimo da quando è diventato impossibile, a causa della pandemia, tenere i tornei di persona.

Fino a qualche decennio fa, barare a scacchi era possibile ma tendenzialmente difficile. C’era quasi sempre bisogno di uno o più complici che aiutassero il giocatore, indicandogli di nascosto quali mosse fare, con vari espedienti (uno dei più creativi: spostarsi da una sedia all’altra nel pubblico per mostrare come muoversi). Questo presupponeva, tra l’altro, che il complice fosse un giocatore più esperto. L’avvento della tecnologia ha reso le cose più semplici: innumerevoli giocatori sono stati sorpresi con addosso un auricolare per i suggerimenti, o in bagno a consultare il telefono cellulare.

Le cose sono cambiate drasticamente, però, dopo che circa trent’anni fa i computer sono diventati più bravi degli esseri umani a giocare a scacchi. Questo è un concetto fondamentale: ormai da decenni nessun essere umano è in grado di battere un motore scacchistico (così si chiamano le intelligenze artificiali che giocano a scacchi, dall’inglese chess engine) di alto livello, e dal 1997, quando Deep Blue di IBM sconfisse il campione del mondo Garry Kasparov, le cose si sono evolute a tal punto che ormai il divario è enorme. Un bambino con un motore scacchistico può battere facilmente il campione del mondo, e non si tratta di programmi complessi: basta uno smartphone.

Finché i tornei si svolgevano ancora di persona, per gli arbitri e gli organizzatori si trattava di controllare che i giocatori non avessero dispositivi connessi con sé o sistemati da qualche parte, magari in bagno. Da quando però i tornei si svolgono online, i controlli sono diventati enormemente difficili, e ci sono stati molti scandali anche ad alto livello. L’ultimo è avvenuto a ottobre, durante un torneo che si chiama Pro Chess League e che si svolge a squadre: durante la finale Tigran Petrosian, il numero 260 nella classifica mondiale, ha battuto Fabiano Caruana, il numero 2, con una serie di mosse troppo perfette. La partita era trasmessa in diretta e spesso Petrosian distoglieva lo sguardo dallo schermo, probabilmente per guardare un altro dispositivo su cui girava un motore scacchistico. Dopo un’indagine, Petrosian è stato squalificato e bandito dalla piattaforma online. Lui l’ha presa male. A un membro della squadra avversaria che lo accusava ha scritto, in un inglese un po’ sgrammaticato: «Tu facevi la PIPÌ nei tuoi pampers quando io già battevo giocatori molto più forti di te».

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C’è anche un secondo ordine di problemi, non meno importante: sono tantissimi i bari anche tra gli scacchisti amatoriali, che giocano sulle piattaforme online per divertirsi e svagarsi: basta fare un giro sui forum delle piattaforme per leggere moltissime lamentele a riguardo. A maggio Arkady Dvorkovich, il presidente della FIDE, la Federazione internazionale degli scacchi, ha scritto che «gli imbrogli informatici sono la vera piaga degli scacchi al giorno d’oggi».

Il Wall Street Journal racconta che proprio per questo da qualche tempo i team che si occupano di scovare gli imbroglioni sono diventati importantissimi e hanno sviluppato metodi d’indagine sempre più sofisticati: a Chess.com, ci sono più di 20 persone che se ne occupano. Nei tornei professionistici online ormai è necessario che durante le partite i partecipanti si lascino riprendere da ben due telecamere, una davanti che inquadri il volto e una dietro che inquadri le spalle. Devono inoltre condividere lo schermo del loro computer con gli arbitri, per garantire che non abbiano altri programmi aperti.

Il lavoro di indagine più importante, però, lo fanno degli algoritmi creati per riconoscere quando la partita di un giocatore umano assomiglia troppo da vicino a quella che giocherebbe un motore scacchistico. Funziona così: per ogni singola fase di gioco, il motore scacchistico è in grado di individuare sempre la mossa migliore da fare. Quando le mosse di un giocatore assomigliano troppo a quelle consigliate da un motore scacchistico (ce ne sono molti, con alcune variazioni di approccio), l’algoritmo avvisa i gestori della piattaforma. L’algoritmo è piuttosto astuto, non basta cambiare qualche mossa per sfuggirgli. Chess.com sostiene di avere anche un sistema più sofisticato che studia il modo di gioco di ciascun giocatore e calcola la probabilità che una determinata partita si discosti molto dal suo stile abituale, sintomo di un imbroglio.

Un mese e mezzo fa un articolo sul Guardian a proposito dello scandalo Petrosian citava un esperto di imbrogli negli scacchi secondo cui «la paranoia è diventata la cultura» nel mondo degli scacchi online, e la visione tradizionale e romantica del gioco è ormai erosa. I professionisti barano per soldi, per conquistare i premi dei tornei. I dilettanti invece barano per aumentare il proprio ranking (le piattaforme ne danno uno a ciascun utente, per comprendere con quali altri giocatori può confrontarsi nelle partite), ma così rovinano il divertimento a tutti gli altri. Per questo, anche le penalità sono molto dure: chi viene colto a barare può avere la carriera rovinata, se è un professionista, o può essere allontanato dalla piattaforma, se è un dilettante.