Gli sviluppi dell’inchiesta sulla Fondazione Open

Matteo Renzi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi sono indagati e hanno ricevuto un invito a comparire in procura per il prossimo 24 novembre: come si è arrivati fino a qui

Matteo Renzi quando era presidente del Consiglio con l'allora ministra per le Riforme e Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi, Roma, 31 marzo 2014 (ANSA/ETTORE FERRARI)
Matteo Renzi quando era presidente del Consiglio con l'allora ministra per le Riforme e Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi, Roma, 31 marzo 2014 (ANSA/ETTORE FERRARI)

Da qualche giorno i giornali sono tornati a parlare dell’inchiesta sulla Fondazione Open, creata per finanziare l’attività politica di Matteo Renzi e nota per aver organizzato i raduni della Leopolda, gli appuntamenti annuali della sua corrente quando faceva parte del PD. Sabato è stata data la notizia che la procura di Firenze sta indagando anche Matteo Renzi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi: tutti e tre sono stati invitati a comparire negli uffici della procura il 24 novembre per l’interrogatorio. L’ipotesi è che siano stati i beneficiari di un sistema di finanziamento illecito, insieme all’ex presidente della Fondazione Alberto Bianchi e all’imprenditore Marco Carrai (componente del consiglio direttivo), entrambi già indagati.

Fino a qui
L’indagine della Procura di Firenze sulla Fondazione era iniziata nel 2019 e coinvolgeva, tra gli altri, l’avvocato Alberto Bianchi, finanziatore di Matteo Renzi, presidente di Open e indagato per traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti, e Marco Carrai, amico di Renzi, indagato per finanziamento illecito ai partiti. La notizia dell’indagine era arrivata sulle prime pagine dei giornali a fine novembre, dopo che la procura di Firenze aveva ordinato perquisizioni in undici città negli uffici di una dozzina di società che avevano finanziato Open tra il 2012 e il 2018 (anno in cui era stata chiusa la Fondazione).

Le perquisizioni avevano coinvolto anche persone non indagate, che avrebbero però finanziato la fondazione. C’erano per esempio il gruppo autostradale Gavio, la società farmaceutica Menarini, la compagnia di navigazione Moby e il finanziere Davide Serra. Carrai (indagato) e Serra (non indagato), tra gli altri, avevano presentato contro i sequestri un ricorso che lo scorso gennaio non era stato però accolto dal tribunale del Riesame di Firenze.

Secondo i magistrati, l’avvocato Bianchi avrebbe avuto rapporti sospetti con diverse società per finanziare la fondazione. Alcuni donatori della fondazione renziana avrebbero poi finanziato le società di Carrai, solo per veicolare altri soldi a Open. Pertanto, concludeva il Tribunale del Riesame che il 19 dicembre 2019 aveva confermato le perquisizioni, perquisizione e sequestri erano legittimi in quanto necessari per «ricostruire i rapporti degli indagati Carrai e Bianchi coi finanziatori di Open».

Un altro aspetto dell’indagine riguardava cosa avrebbe fatto la fondazione Open con quel denaro. Per il tribunale del Riesame, la Fondazione Open aveva «agito, a prescindere dal suo scopo istituzionale, quale articolazione di partito» (o almeno di una sua parte), per esempio pagando le spese di alcuni parlamentari e prestando loro carte di credito e bancomat. Utilizzare una fondazione per raccogliere finanziamenti da usare nell’attività politica, invece che finanziare direttamente un partito (che è spesso più complesso e permette di esercitare minor controllo sui soldi), è una tecnica legale utilizzata da quasi tutti i partiti e da gran parte dei principali attori politici, ma i cui confini, cioè cosa possa fare la fondazione con quel denaro, rimangono abbastanza incerti.

A metà settembre, la Cassazione aveva accolto i ricorsi di Marco Carrai e Davide Serra presentati contro il sequestro, e il provvedimento di conferma delle perquisizioni emesso dal tribunale del Riesame di Firenze era stato annullato: con rinvio per nuovo esame, per Carrai, e senza rinvio per Serra.

Renzi, Boschi e Lotti
Sabato, ANSA ha confermato che Matteo Renzi, senatore e leader di Italia Viva, Maria Elena Boschi, ex ministra del PD ora deputata di Italia Viva, e Luca Lotti, attuale deputato del PD, sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Firenze. ANSA scrive che nell’invito a comparire, «Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi, componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open, riferibile a Matteo Renzi (e da lui diretta), articolazione politico organizzativa del Partito democratico (corrente renziana)», avrebbero ricevuto contributi per 7,2 milioni di euro «in violazione della normativa» sul finanziamento ai partiti, «somme dirette a sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana». Inoltre Renzi, Lotti e Boschi avrebbero ricevuto «dalla fondazione Open contributi in forma diretta e indiretta, in violazione della normativa» relativa al finanziamento ai partiti. I tre dovranno presentarsi in procura il prossimo 24 novembre «per rispondere ad interrogatorio con l’assistenza del difensore di fiducia già nominato».

Dopo la notizia, Matteo Renzi, in apertura della terza assemblea nazionale di Italia Viva, ha reagito dicendo che i 7,2 milioni versati a Open sono soldi tracciati attraverso bonifici e in tutta «trasparenza». Ha parlato degli inviti a comparire come di un «assurdo giuridico», e ha attaccato i magistrati dell’inchiesta «a cui la ribalta mediatica piace più del giudizio di merito»: «Seguono la viralità dei social più che le sentenze della Cassazione». Da loro, ha aggiunto, dopo la sentenza della Cassazione («e spero che le motivazioni della Cassazione» le abbiano lette «o che almeno» le abbiano «capite»), si sarebbe aspettato «una lettera di scuse: invece è arrivato un avviso di garanzia che riguarda tutto il consiglio di amministrazione di Open e riguarda anche il sottoscritto». Renzi ha infine detto che il suo nuovo partito è stato danneggiato da questa inchiesta: «I sondaggi hanno smesso di crescere, i soldi hanno smesso di arrivare» e il danno «alla nostra attrattiva è stato enorme».

Nelle motivazioni della sentenza della Cassazione sui ricorsi di Carrai e Serra, si dice che il Tribunale del Riesame di Firenze ha dato per scontata l’equiparazione della Fondazione Open a un’articolazione di partito, equiparazione che deve essere invece dimostrata con una «rigorosa verifica» per stabilirne la sostanziale mancanza di funzione autonoma. Per poter fare l’equiparazione con un’articolazione di partito, non è insomma sufficiente che una fondazione contribuisca alle spese di alcuni parlamentari: «È necessario non solo dar conto di erogazioni o contribuzioni in favore del partito rivenienti dall’ente formalmente esterno al partito, ma anche del fatto che la reale funzione di esso, al di là di quanto in apparenza desumibile dalla cornice statutaria, possa dirsi corrispondente a quella di uno strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti, in assenza di una sua effettiva diversa operatività». Il Tribunale del Riesame si è dunque limitato a prendere atto della tesi accusatoria per procedere con le attività investigative. Da qui la decisione di accogliere i ricorsi, con rinvio, per quanto riguarda Carrai, al tribunale del Riesame per una nuova sentenza.

Non è chiaro perché ora Renzi, Boschi e Lotti siano stati iscritti nel registro degli indagati. L’ipotesi, dice il Fatto Quotidiano, è che tra la sentenza della Cassazione e il 2 novembre (quando i tre avrebbero ricevuto l’avviso di garanzia), i magistrati «abbiano acquisito nuovi elementi su Fondazione Open».