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  • Mercoledì 2 settembre 2020

Lo Zimbabwe restituirà le terre confiscate ai bianchi

La confisca decisa vent'anni fa dall'ex presidente Robert Mugabe ha avuto pessime conseguenze economiche

(AP Photo/ Tsvangirayi Mukwazhi)
(AP Photo/ Tsvangirayi Mukwazhi)

Il governo dello Zimbabwe ha annunciato che gli agricoltori bianchi stranieri a cui furono espropriate le terre sotto il regime del presidente Robert Mugabe potranno fare domanda per ottenerle nuovamente.

Secondo quanto ha ricostruito BBC, vent’anni fa il 70 per cento delle migliori terre coltivabili in Zimbabwe – a lungo una colonia del Regno Unito – era di proprietà di circa 4mila agricoltori bianchi eredi dei coloni britannici, alcuni con cittadinanza zimbabwiana e altri stranieri. A poco a poco Mugabe era riuscito ad abbattere le discriminazioni messe in piedi dal precedente governo coloniale ma allo stesso tempo aveva instaurato un duro regime dittatoriale, e nel 2000 avviò un controverso programma di confisca delle terre di proprietà dei bianchi stranieri per ridistribuirle ai cittadini neri dello Zimbabwe: alcuni bianchi vennero cacciati, altri vennero arrestati o scapparono all’estero.

Oltre a essere una delle scelte più controverse e divisive del regime di Mugabe, la mossa fu disastrosa anche per l’economia del paese. Il nuovo governo, guidato dal presidente democratico Emmerson Mnangagwa, ha detto che le terre verranno restituite agli antichi proprietari, e se non sarà possibile farlo ne saranno offerte delle altre. Il ministro dell’Economia Mthuli Ncube e il ministro dell’Agricoltura Anxious Masuka hanno spiegato che gli agricoltori bianchi stranieri che avevano continuato a vivere nelle terre precedentemente espropriate potranno regolarizzare la propria posizione e averle in concessione per 99 anni.

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Inoltre il governo ha comunicato che pagherà 3,5 miliardi di dollari statunitensi (poco meno di 3 miliardi di euro) agli agricoltori bianchi cittadini dello Zimbabwe a titolo di compensazione per l’esproprio delle terre. Il presidente dello Zimbabwe ha aggiunto che pagare gli agricoltori come compensazione delle confische subite è un gesto «cruciale per riparare i legami con l’Occidente».

Lo Zimbabwe è un paese dell’Africa meridionale che ha circa 14 milioni di abitanti, ex colonia dell’Impero britannico e indipendente dal 1980. Per 37 anni è stato governato in termini autoritari da Robert Mugabe, primo ministro dal 1980 e presidente dal 1987. Nel 2017 Mugabe è stato costretto a dimettersi dopo l’intervento dell’esercito, ed è morto nel 2019 a 95 anni.

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I problemi economici dello Zimbabwe cominciarono a peggiorare proprio quando Mugabe diede l’ordine di confiscare le aziende agricole di proprietà dei cittadini bianchi. La maggior parte delle terre venne assegnata a persone vicine a Mugabe, o a zimbabwiani che spesso non avevano capacità né esperienza in fatto di agricoltura. Molte fattorie e coltivazioni andarono in rovina. L’economia iniziò a deteriorarsi e una inflazione molto elevata rese il valore della moneta quasi nullo. Nel 2002 il giornalista Philip Gourevitch scrisse un lungo e famoso articolo sul New Yorker chiamato “Wasteland” (riprendendo la celebre opera del poeta inglese T.S. Eliot The Waste Land, La Terra Desolata): malgrado la crisi fosse iniziata da poco, lo Zimbabwe si trovò presto in bancarotta.

Il 60 per cento dei cittadini dello Zimbabwe è disoccupato e quelli che hanno un lavoro guadagnano in media meno di quanto si guadagnava al momento dell’indipendenza del paese. Il resto della popolazione arranca con meno di un dollaro al giorno, che potrebbe essere anche sufficiente a comprare qualcosa se l’effetto rovinoso degli espropri delle aziende agricole – aggravato quest’anno dalla siccità regionale – non avesse creato gravi carenze produttive, facendo emergere la prospettiva di una carestia imminente in tutta la nazione.

Nick Mangwana, alto funzionario del ministero delle Comunicazioni che spesso agisce come portavoce del governo, ha detto che la decisione è un «capitolo storico nella risoluzione delle questioni della terra» e che il presidente Mnangagwa sta mantenendo «la promessa di costruire un nuovo Zimbabwe, fondato sui principi di apertura, dialogo e progresso». Il programma però sta dividendo l’opinione pubblica. Secondo l’associazione degli agricoltori – che è a maggioranza bianca – il piano potrebbe aiutare l’economia del paese a risollevarsi; secondo gli oppositori, invece, il programma è iniquo e gli zimbabwiani che sono già in difficoltà continueranno a esserlo.