• Mondo
  • Lunedì 24 agosto 2020

I Repubblicani che stanno con Biden

Non sono moltissimi ma sono ben attrezzati, e alle elezioni di novembre potrebbero avere un certo peso

Nella convention del Partito Democratico statunitense che si è appena conclusa, in cui Joe Biden è stato ufficialmente scelto per rappresentare il partito alle elezioni presidenziali di novembre, fra i segmenti più commentati dagli analisti ci sono stati i discorsi di alcuni Repubblicani che hanno annunciato la loro intenzione di votare per Biden, contrariamente alle indicazioni del proprio partito. Durante la convention hanno parlato fra gli altri l’ex segretario di Stato nell’amministrazione di George W. Bush, Colin Powell – che però vota per i Democratici ormai da una decina d’anni – e gli ex governatori di Ohio e New Jersey, John Kasich e Christine Todd Whitman .

Kasich, in particolare, ha pronunciato un appassionato discorso in cui ha accusato Trump di essere un irresponsabile che ha fomentato le divisioni fra gli americani per il proprio tornaconto politico. Kasich ha detto che le prossime elezioni saranno come un bivio fra la strada sbagliata, rappresentata da Trump, e quella giusta, cioè Biden. «In un momento normale non sarei qui, ma questo non è un momento normale». In pochi si sarebbero immaginati un discorso del genere soltanto quattro anni fa, quando Kasich rimase l’ultimo candidato a ritirarsi dalle primarie dei Repubblicani per la presidenza, vinte da Trump.

Nonostante Trump sia stato un presidente particolarmente divisivo, non è la prima volta che a poche settimane delle elezioni un candidato raccoglie adesioni e sostegno da funzionari e leader del partito avversario: è un modo come un altro per cercare di allargare il proprio elettorato e parlare a persone che di norma votano per gli altri.

Negli anni di Reagan c’erano molti “Reagan Democrats” e già nel 2008 l’allora candidato Democratico Barack Obama ricevette il sostegno di Powell, come dicevamo, mentre quattro anni fa i funzionari e consulenti Repubblicani che annunciarono pubblicamente il loro voto per Hillary Clinton furono diverse decine. Succede anche l’opposto: nella scaletta della convention Repubblicana che inizia stasera è stato riservato un posto ai Democratici per Trump, anche se non è ancora chiaro chi possa prendere la parola a parte un semi-sconosciuto politico locale della Georgia.

– Leggi anche: «Non lasciate che ci tolgano la democrazia»: il discorso di Obama alla convention dei Democratici

Nessuno si aspetta nomi particolarmente roboanti, comunque. Non è un caso che nessuno dei Repubblicani per Biden o dei Democratici per Trump occupi importanti ruoli pubblici, per cui l’appoggio del proprio partito è essenziale per raccogliere sostegno politico, finanziamenti, volontari, e così via. Negli Stati Uniti il presidente in carica è anche di fatto capo del partito, e con Trump questa sovrapposizione ha persino raggiunto un nuovo significato: ieri il Partito Repubblicano ha annunciato che in vista delle elezioni presidenziali non proporrà alcuna agenda politica – una decisione che ha pochissimi precedenti – limitandosi a sostenere «in maniera entusiasta» quella di Trump.

«Io, Kasich e Todd Whitman siamo degli ex. Non abbiamo più incarichi, quindi non abbiamo nulla da perdere», ha raccontato al Guardian Chuck Hagel, ex senatore Repubblicano del Nebraska che si avvicinò a Obama e fu il suo segretario alla Difesa fra il 2013 e il 2015.

Il fatto che fra i Repubblicani per Biden non ci sia nessuno di particolarmente famoso non significa che i loro sforzi siano inefficaci. Ad aprile alcuni consulenti, funzionari e analisti vicini all’ala più moderata del Partito Repubblicano – fra cui George Conway, avvocato molto noto fra i Repubblicani e marito dell’ex consigliera di Trump Kellyanne Conway – hanno fondato il Lincoln Project, un comitato politico che ha l’obiettivo di «sconfiggere Trump e il trumpismo» attraverso spot elettorali pensati per fare arrabbiare Trump e sensibilizzare l’elettorato moderato.

I video pubblicati dal Lincoln Project fanno milioni di visualizzazioni. Già a giugno avevano raccolto circa 20 milioni di dollari in donazioni private – soprattutto da ricchi finanziatori legati all’ala moderata del partito – e la settimana scorsa hanno annunciato una nuova campagna in alcuni stati in bilico fra Democratici e Repubblicani come Florida e Arizona.

Il bacino elettorale fra cui i Democratici sperano di pescare non è amplissimo, a causa della notevole polarizzazione dell’elettorato americano, ma potrebbe pesare soprattutto in alcuni stati in bilico. Trump ha un consenso altissimo fra gli elettori del suo partito, abbondantemente sopra l’ottanta per cento: significa che solo una piccola percentuale di elettori conservatori non è convinta del suo operato. Qualcuno di loro magari si convincerà prima del voto, altri sceglieranno di non andare a votare, altri ancora potrebbero decidere di votare per Biden.

È anche su queste persone che si stanno concentrando gli sforzi dei Democratici: «nessuno di quelli che pensano che Trump stia facendo un ottimo lavoro voterà per Biden», ha spiegato lo stratega Democratico Eric Goldman al Guardian: «Esistono alcuni però che hanno votato per Trump ma che in passato votarono per Obama».

Un recente sondaggio del New York Times indica che gli elettori di Trump pentiti di averlo votato nel 2016 compongono circa il 2 per cento dell’elettorato in sei stati in bilico che potrebbero decidere le elezioni (la percentuale sale al 6 per cento a livello nazionale). Alcuni di loro votarono effettivamente per Obama, come sostiene Goldman. John Chavez, un venditore di auto che vive a Queen Creek, Arizona, ha raccontato al New York Times che nel 2016 votò per Trump soprattutto perché non voleva che Hillary Clinton diventasse presidente. «Pensavo che Trump doveva per forza migliorare, che sarebbe diventato più presidenziale: ho sbagliato, non lo è diventato e anzi è peggiorato».

A livello nazionale, la maggior parte degli elettori pentiti di Trump ritiene che il presidente in carica abbia gestito male le tensioni etniche degli ultimi mesi (87 per cento), che Biden sarebbe un presidente meno divisivo (l’86 per cento), e che l’esperienza di Biden possa aiutarlo a fare un lavoro migliore di Trump (84 per cento). La cosa sorprendente è che il profilo demografico degli elettori pentiti di aver votato Trump non si allontana di molto da quello dei suoi più convinti sostenitori: bianchi, non giovani e con un tasso di istruzione medio-basso.

Altri dati sembrano confermare che una piccola fetta dei Repubblicani insoddisfatti da Trump possa effettivamente votare per Biden. In un recente sondaggio della Monmouth University è stato stimato che circa il 21 per cento dell’intero elettorato non ha un’opinione favorevole né di Trump né di Biden: il 55 per cento di loro però in ultima analisi preferisce Biden a Trump, mentre nel 2016 secondo le analisi del flusso elettorale fra questi elettori Trump superò Clinton.