• Mondo
  • Martedì 18 agosto 2020

Il Giappone sta pensando di diventare meno pacifico

Dotandosi della capacità di colpire un territorio nemico, cosa che potrebbe essere una violazione della Costituzione

Il primo ministro giapponese Shinzo Abe (AP Photo/Eugene Hoshiko)
Il primo ministro giapponese Shinzo Abe (AP Photo/Eugene Hoshiko)

Nel corso dell’ultimo mese il partito del primo ministro giapponese Shinzo Abe ha parlato pubblicamente della possibilità per il Giappone di dotarsi di missili a lungo raggio, con l’obiettivo di rafforzare le difese nazionali e prevenire attacchi missilistici dalla Cina e dalla Corea del Nord. Il dibattito in corso è particolarmente importante perché la Costituzione giapponese, scritta dalle forze occupanti americane sbarcate in Giappone dopo la fine della Seconda guerra mondiale, proibisce al paese di avere un esercito e di dotarsi di «altro potenziale militare». Non è la prima volta che il Giappone affronta il tema del rafforzamento delle difese nazionali, e degli eventuali rischi di violare la propria Costituzione, ma l’impressione è che negli ultimi mesi le spinte verso l’acquisizione di missili a lungo raggio siano aumentate, anche per ragioni che riguardano più in generale il modo in cui sta cambiando il mondo.

A confermare l’esistenza del dibattito all’interno del governo giapponese è stato il ministro della Difesa, Taro Kono, che in una recente intervista ha specificato che qualsiasi acquisizioni di missili a lungo raggio includerebbe anche l’acquisto di sistemi di sorveglianza e radar complessi, e l’addestramento di personale militare. Kono ha comunque specificato che per ora non è stato deciso niente.

Il governo guidato da Shinzo Abe, che appartiene al Partito Liberal Democratico, di orientamento conservatore e nazionalista, aveva già provato diverse volte in passato a dotare il Giappone di capacità militari non solo prettamente difensive. Nel 2015, per esempio, il parlamento aveva approvato una legge che per la prima volta dal 1947 autorizzava le “forze di autodifesa” – il nome con cui è conosciuto l’esercito giapponese – ad essere impiegate in missioni armate al di fuori dei confini nazionali: la legge era stata molto criticata dalle opposizioni, che avevano parlato di una violazione della Costituzione e avevano espresso il timore che il Giappone potesse finire a compiere operazioni militari insieme agli Stati Uniti, suoi alleati.

In particolare la discussione sull’eventuale acquisto di missili a lungo raggio risale al 1956, quando l’allora governo giapponese sostenne di avere il diritto legale di lanciare missili contro territori nemici per rispondere a un attacco contro il proprio territorio. Negli anni successivi il dibattito divenne più esteso e articolato, arrivando a includere il concetto di “attacco preventivo”: cioè attaccare l’avversario prima che lui attacchi te. Nel 2003, per esempio, l’allora ministro della Difesa, Shigeru Ishiba, chiarì quali erano le condizioni secondo le quali il Giappone avrebbe lanciato missili contro un paese nemico, come la Corea del Nord: per esempio nel caso in cui un missile nordcoreano fosse stato pronto per essere lanciato e se le intenzioni bellicose della Corea del Nord fossero state chiare.

– Leggi anche: La resa del Giappone, 75 anni fa

Nonostante il tema sia dibattuto da decenni, ancora oggi non c’è accordo tra le forze politiche giapponesi e la discussione sull’acquisire missili a lungo raggio sta incontrando resistenze simili a quelle degli anni scorsi. Oggi a opporsi all’operazione c’è tra gli altri Komeito, partito che fa parte della coalizione di governo insieme al Partito Liberal Democratico di Shinzo Abe.

Secondo alcuni analisti esperti di sicurezza citati dal New York Times, comunque, il rafforzamento delle capacità militari del Giappone potrebbe essere visto come una mossa naturale, soprattutto considerato l’attuale momento storico, che in quel pezzo di mondo si può riassumere in tre tendenze: la sempre maggiore aggressività della Cina, l’espansione del programma militare nucleare della Corea del Nord, e la volontà degli Stati Uniti del presidente Donald Trump di impegnare sempre meno risorse per la sicurezza dei propri alleati. Il Giappone si trova quindi in mezzo a una situazione sempre più minacciosa, dove due dei suoi avversari – Cina e Corea del Nord – si stanno rafforzando o stanno mostrando intenzioni sempre più bellicose, mentre il suo più prezioso alleato – gli Stati Uniti – sembra poco disposto a garantirgli la sicurezza.

– Leggi anche: Non ci sono più gli Stati Uniti di una volta

Il dibattito attorno alla possibilità di acquisire missili a lungo raggio si è intensificato a partire dallo scorso giugno, quando il governo giapponese ha deciso di cancellare un’ambizioso piano per l’acquisto di un sistema di difesa missilistico americano, conosciuto come Aegis Ashore, che sarebbe dovuto essere installato nel nord e nell’ovest del Giappone. Il piano è stato cancellato a causa di problemi legati ai costi, che erano saliti enormemente nel corso degli anni.

Per molto tempo l’alleanza tra Stati Uniti e Giappone si era basata sull’idea che il Giappone si sarebbe occupato solo di attività difensive, come prevede la Costituzione, mentre gli Stati Uniti avrebbero garantito capacità offensive. Secondo Euan Graham, esperto di sicurezza nell’area del Pacifico per l’International Institute for Strategic Studies a Singapore, questo meccanismo avrebbe smesso di funzionare anni fa, e avrebbe subìto un’accelerazione durante gli anni di Trump, presidente che tra le altre cose ha sostenuto più volte che i suoi alleati avrebbero dovuto iniziare a farsi carico delle spese per la loro sicurezza.

Anche per questo il Giappone potrebbe decidere nel prossimo futuro di fare il passo definitivo verso l’acquisizione di missili a lungo raggio, diventando meno pacifico di quanto non sia stato negli ultimi 75 anni.