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  • Sabato 1 agosto 2020

A Hong Kong sta succedendo quello che si temeva sarebbe successo

Il governo cinese sta applicando ferocemente la nuova contestata legge sulla sicurezza, reprimendo con violenza l'opposizione

(AP Photo/Kin Cheung)
(AP Photo/Kin Cheung)

Nelle ultime settimane il governo cinese ha rafforzato il suo controllo su Hong Kong, regione autonoma della Cina con una storia recente di proteste antigovernative molto importante.

Il governo cinese, guidato dal potentissimo presidente Xi Jinping, ha applicato alla lettera la nuova e contestata legge sulla sicurezza nazionale, approvata a fine giugno dalla Cina senza alcuna discussione pubblica, con l’obiettivo ufficiale di arrestare chiunque fosse accusato di compiere «attività terroristiche» e atti di «sedizione, sovversione e secessione». Con una serie di mosse – tra cui l’arresto di dissidenti, l’approvazione di mandati di cattura contro attivisti in esilio, e il rinvio delle prossime elezioni legislative locali – il governo cinese ha mostrato di voler fare quello che molti temevano sarebbe stato il principale obiettivo della legge: reprimere l’opposizione e farlo ferocemente.

Dopo l’approvazione della legge, l’agenzia predisposta a far rispettare le nuove regole, l’Ufficio per la salvaguardia della sicurezza nazionale, si era insediata all’hotel Metropark, piuttosto conosciuto a Hong Kong, proteggendosi all’esterno con barricate, «una manifestazione fisica della crescente impronta autoritaria di Pechino in città», ha scritto il New York Times. Alla guida dell’agenzia era stato messo Zheng Yanxiong, funzionario del Partito comunista proveniente dalla vicina provincia del Guangdong e noto per la sua opposizione a una breve esperienza di governo democratico realizzata a Wukan, città del Guangdong, nove anni fa. Subito dopo, l’agenzia aveva cominciato la repressione dei dissidenti.

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Il 10 luglio, per esempio, la polizia di Hong Kong aveva compiuto un’operazione contro un istituto indipendente che si occupa di sondaggi e i cui computer erano stati usati dai sostenitori della democrazia per svolgere primarie non ufficiali e capire chi candidare alle prossime elezioni legislative (poi rimandate). Cinque giorni dopo le forze di sicurezza avevano arrestato cinque attivisti, tra cui il vicepresidente del Partito democratico di Hong Kong, accusato di essere coinvolto nelle proteste e negli scontri dello scorso novembre. Altri quattro attivisti, tutti tra i 16 e i 21 anni, erano stati arrestati perché tutti ex membri di Studentlocalism, un gruppo a favore della democrazia guidato da studenti della scuola secondaria, che aveva chiuso poco prima dell’approvazione della nuova legge sulla sicurezza.

Oltre agli arresti, le autorità hanno adottato altre misure repressive.

Solo nell’ultima settimana, hanno cacciato un docente di legge dall’università di Hong Kong, perché si era dimostrato una figura chiave per il movimento locale a favore della democrazia; hanno vietato a una decina di candidati di presentarsi alle prossime elezioni parlamentari, che poi comunque sono state rimandate, ufficialmente a causa dei timori per il coronavirus (gli attivisti ritengono invece che il governo avesse paura che il voto fosse vinto dai gruppi a favore della democrazia); inoltre la polizia di Hong Kong ha emesso mandati di arresto per sei attivisti in esilio, tra cui persone che hanno cittadinanze straniere da molti anni.

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L’applicazione della legge sulla sicurezza approvata dalla Cina è stata più dura di quanto speravano alcuni attivisti di Hong Kong, e non solo per il numero delle persone arrestate. Victoria Tin-bor Hiu, scienziata politica di Hong Kong all’università di Notre Dame, ha detto: «La crudeltà della legge non può essere misurata solo dal numero degli arresti, ma anche guardando gli effetti deterrenti provocati dal fatto di silenziare chiunque osi esprimere dissenso». Il timore dei gruppi di opposizione, inoltre, è che la situazione possa ancora peggiorare: il rinvio di un anno delle elezioni darà infatti il tempo al governo di estromettere dalle liste elettorali altri politici a favore della democrazia.