mascherine
Sui tram di Seattle, nello stato di Washington, si poteva salire solo con la mascherina, in teoria, ottobre 1918 ( © JT Vintage/Glasshouse via ZUMA Wire /ANSA)

Si litigava per le mascherine anche durante l’influenza spagnola

Erano raccomandate e in alcuni casi obbligatorie, ma spesso osteggiate: a San Francisco nacque la Lega anti-mascherine

Le mascherine sono diventate uno dei simboli dell’epidemia da coronavirus: indossarle è un gesto condiviso da milioni di persone in tutto il mondo, è uno dei modi più facili ed efficaci che abbiamo per prevenire la malattia ma è diventato, in alcuni paesi, l’occasione di un forte scontro politico. In Italia c’era stata una iniziale confusione, creata dalla comunità scientifica e dalle autorità che le avevano definite inefficaci o addirittura dannose, ma da quando la loro utilità è stata dimostrata non sono mai state più messe in dubbio dalla classe politica (anche se il leader della Lega Matteo Salvini è stato rimproverato più volte per non averle usate correttamente) e sono diventate obbligatorie in alcuni casi da inizio aprile.

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In altri paesi però incontrano un certo rifiuto: vale per i paesi del Nord Europa, dove il minor numero di morti non ha comunicato un senso di emergenza, e soprattutto negli Stati Uniti, dove indossarle è diventato un gesto di appartenenza politica: il presidente Donald Trump ne ha lungamente svilito l’uso e si è presentato raramente in pubblico portandone una mentre i Democratici si sono raccolti attorno allo slogan “wear a mask”, diventato un messaggio di responsabilità civile contro l’egoismo e l’incompetenza del presidente e dei Repubblicani. A livello locale sono in corso scontri tra politici Democratici che vorrebbero imporle, e altri Repubblicani che si oppongono.

Non è la prima volta che le mascherine diventano il simbolo della lotta a un’epidemia e il terreno di scontro, anche violento, tra chi è favorevole a indossarle e chi no, per ragioni diverse: era già successo ai tempi dell’influenza spagnola, che si diffuse in tutto il mondo dal gennaio del 1918 al dicembre del 1920, causando tra 50 e 100 milioni di morti su una popolazione di 2 miliardi di persone.

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A leggere i giornali e i racconti dell’epoca, le misure per contenerla ricordano quelle prese per il coronavirus. In Italia, l’isolamento e la quarantena furono rispettati scrupolosamente solo dalle truppe dell’esercito (era infatti in corso la Prima guerra mondiale, terminata l’11 novembre del 1918). Nell’autunno del 1918 le autorità locali chiusero le scuole, i teatri e i cinema, ordinarono disinfezioni di strade, telefoni pubblici e stazioni ferroviarie; erano sconsigliati abbracci, baci e strette di mano e c’erano campagne che invitavano a non sputare in strada ma a usare fazzoletti di carta o stoffa. Misure simili, tra cui i divieti di adunanze e manifestazioni, vennero prese in molti altri paesi e si diffusero anche le mascherine, come testimoniano molte fotografie del tempo. Erano molto diverse da quelle di oggi ed erano fatte sostanzialmente di strati di garza e cotone.

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Gli Stati Uniti, dove la spagnola venne osservata per la prima volta nel gennaio del 1918 in Kansas, furono il paese in cui si registrò, il 4 marzo, il primo morto accertato: il cuoco Albert Gitchell, che si era ammalato a Fort Riley, un centro di addestramento dell’esercito, sempre in Kansas. In mancanza di vaccini e medicine, i singoli stati approvarono misure per rallentare la diffusione dell’epidemia: chiusero le scuole e i negozi, vietarono gli assembramenti pubblici, si cercò di isolare i malati e metterli in quarantena; alcune città raccomandavano ai cittadini di indossare una maschera in pubblico.

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