Cosa sappiamo dei carabinieri arrestati a Piacenza

I giornali di oggi sono ricchi di racconti, intercettazioni e dettagli sull'inchiesta che ha portato al sequestro di un'intera caserma

Foto dal profilo social dell’appuntato Giuseppe Montella dove compare con altri tre indagati (EPA/GUARDIA DI FINANZA)
Foto dal profilo social dell’appuntato Giuseppe Montella dove compare con altri tre indagati (EPA/GUARDIA DI FINANZA)

Mercoledì 22 luglio per la prima volta in Italia un’intera caserma dei carabinieri è stata messa sotto sequestro, e diversi militari sono stati arrestati con le accuse di traffico e spaccio di stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falso ideologico. I reati sarebbero stati commessi a partire dal 2017. La caserma sequestrata si chiama “Levante” e si trova in centro a Piacenza. I carabinieri arrestati sono sei, mentre altri quattro sono stati sottoposti a misure cautelari di altro genere. A loro si aggiungono altre 12 persone coinvolte nell’inchiesta: 7 sono state arrestate, 4 sono ai domiciliari e una è libera.

Le indagini sulla caserma “Levante” sono durate sei mesi e sono state condotte dalla Guardia di Finanza. Tutto è partito da un carabiniere che, durante una testimonianza alla polizia locale per un’altra inchiesta, aveva fatto riferimento a dei fatti accaduti alla “Levante” e che gli erano stati raccontati da un uomo picchiato dai carabinieri. Uno di loro era stato riconosciuto e, scrive Repubblica, «individuato nel corso di un’altra indagine per droga, a bordo di un’auto con alcuni spacciatori al casello di Milano sud in piena chiusura da Coronavirus. A quel punto erano scattate le intercettazioni telefoniche che avevano rivelato una realtà raccapricciante».

Ieri, durante una conferenza stampa, la procuratrice capo di Piacenza Grazia Pradella ha detto che «non c’è stato nulla in quella caserma di lecito» e ha parlato di reati «impressionanti». Il sistema ruotava intorno allo spaccio di droga sequestrata agli spacciatori “concorrenti” o direttamente acquistata e rivenduta attraverso una rete di intermediari alle dipendenze dei carabinieri stessi. Negli atti dell’ordinanza d’arresto vengono riportate alcune frasi estratte dalle intercettazioni fra gli indagati. In una di queste un militare diceva: «Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi (…) in poche parole abbiamo fatto una piramide (…) noi siamo irraggiungibili». Aggiungeva poi: «Abbiamo trovato un’altra persona che sta sotto di noi. Questa persona qua va tutti da questi gli spacciatori e gli dice: “Guarda, da oggi in poi, se vuoi vendere la roba vendi questa qua, altrimenti non lavori!” e la roba gliela diamo noi!».

In una delle intercettazioni riportate oggi dai giornali l’appuntato Giuseppe Montella, 37 anni, considerato il capo del gruppo, parla con uno dei suoi intermediari, Daniele Giardino:

M: «A me interessa l’erba, l’importante è che ho l’erba, mi interessa averla sempre».
G: «Direi che di fumo (hashish, ndr) ne abbiamo un bel po’»
M: «No fumo, che cazzo te ne frega a noi l’importante è l’erba, io dell’erba non posso fare a meno (…) in settimana così faccio il viaggio, mi faccio un unico perché così se riescono vengono a prendersi sia l’erba che la coca».
G: «Io prendo botte da 45.000 euro di droga alla volta».
M: «E su 40.000 quanto riesci a guadagnare quanto riesci a portare a casa di tuo puliti?».
G: «10 (mila euro, ndr)».

Durante il periodo di lockdown c’erano difficoltà di approvvigionamento e i carabinieri coinvolti si mettevano d’accordo con intermediari e spacciatori per accompagnarli ed evitare i controlli, servizio per il quale si facevano pagare. Il Corriere della Sera scrive anche che i carabinieri rilasciavano «autocertificazioni con il timbro della stazione» per consentire che gli intermediari «superassero indenni eventuali controlli» ed evitare che il traffico di droga potesse interrompersi.

Chi invece continuava a spacciare al di fuori del loro controllo veniva arrestato, picchiato e torturato. Nel tardo pomeriggio di ieri i giornali hanno pubblicato un audio diffuso dalla procura che guida le indagini in cui si sentono alcuni degli indagati insultare e picchiare un uomo. Dai telefoni intercettati sono state estratte anche delle fotografie contenenti dei selfie con le persone maltrattate. In una intercettazione, si sente un carabiniere dare ordine agli altri di ripulire dopo un pestaggio:

M: «Ragazzi prendete lo Scottex che abbiamo nella palestra così si pulisce!». E ancora, riferendosi alla vittima: «Sì prendilo e portalo qua … perché si deve almeno pulire». Lo straniero pestato a sangue ha le manette e Montella ordina: «Pure qua …no, qua! Togliamoci le manette».

Dalle indagini sono emersi anche altre episodi non legati allo spaccio. Montella e una delle persone alle sue dipendenze hanno picchiato il titolare di un concessionario per farsi vendere un’auto a un prezzo molto più basso di quello richiesto («Figa, sono entrato attrezzato, uno si è pisciato addosso, nel senso proprio pisciato addosso» (…) «L’altro mi ha risposto e l’ho fracassato»). È emerso poi che durante il periodo di lockdown Montella aveva organizzato una festa a casa sua. Una vicina ha chiamato i carabinieri che, una volta arrivati, non solo non sono intervenuti e si sono scusati con il collega, ma gli hanno fatto sentire la registrazione della telefonata, poi cancellata, per permettergli di individuare chi aveva segnalato la festa.

Oltre a Montella (del quale i giornali raccontano una vita tra case e auto di lusso, molto al di sopra delle sue possibilità) sono stati arrestati gli appuntati Salvatore Cappellano, Angelo Esposito, Giacomo Falanga e Daniele Spagnolo. Il comandante di stazione Marco Orlando è ai domiciliari e il maggiore Stefano Bezzeccheri risulta indagato. Il Comando provinciale dei carabinieri da cui la “Levante” dipende dista solo due chilometri e dalle intercettazioni risulta che i superiori dei carabinieri coinvolti fossero in qualche modo a conoscenza dei fatti. Scrive Repubblica:

«Ne era a conoscenza il superiore diretto, il maggiore Stefano Bezzecchieri, comandante della Compagnia Piacenza. È l’ufficiale che scavalca il maresciallo alla guida della Levante e impone all’appuntato Montella di fare più arresti. “Vediamoci quanto prima a quattr’occhi, in borghese, al di fuori del servizio… “, lo avverte al cellulare. L’ordine è chiaro, va eseguito a ogni costo e con ogni mezzo. Pure se questo comporta, per usare le parole del giudice Milani, “la totale illiceità e disprezzo dei valori incarnati dalla divisa”. Con l’unica garanzia dell’impunità, perché, si legge nell’ordinanza, “in presenza di risultati in termini di arresti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai loro sottoposti”.
L’ultimo arrivato, un giovane maresciallo assegnato di recente alla Levante, è impressionato dalle azioni dei suoi nuovi colleghi. E al telefono si sfoga con suo padre: “Se lo possono permettere perché portano i risultati, portano un sacco di arresti l’anno. Ma perché? Perché hanno i ganci…”».

E ancora:

«Dello scellerato modus operandi del gruppo di Montella, delle sue uscite in servizio anche in stato di ebbrezza, pare sapere qualcosa anche il comandante della stazione di Campo Dell’Olio. Parlando col maggiore Bezzecchieri, il maresciallo Pietro Semeraro il 22 febbraio scorso si lascia scappare questa considerazione: “Vabbè, comunque i ragazzi della Levante, più che gestiti devono essere ridimensionati, perché, forse, si sono allargati un po’ troppo”».