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  • Mercoledì 22 luglio 2020

Cosa sta succedendo a Portland

Trump ha mandato squadre di agenti speciali che da settimane reprimono violentemente le proteste con metodi al limite della legalità, provocando un caso

(Nathan Howard/Getty Images)
(Nathan Howard/Getty Images)

Da un paio di settimane a Portland, nell’Oregon, squadre di agenti speciali che rispondono al governo federale statunitense stanno reprimendo le proteste e fermando arbitrariamente i manifestanti con modalità violente e spregiudicate, che secondo molti sono al limite della legalità e che stanno facendo aumentare le tensioni in città. Non sono solo attivisti e movimenti anti-razzisti a protestare contro la presenza degli agenti: non li vogliono nemmeno le autorità locali, ma sembra che il presidente Donald Trump sia deciso a lasciare che queste controverse operazioni continuino.

Gli agenti, armati con grossi fucili automatici, appartengono al Border Patrol, le pattuglie che sorvegliano i confini statunitensi, e ad altre agenzie federali, ma si muovono spesso in furgoni senza scritte e in tute mimetiche non immediatamente riconoscibili, simili peraltro a quelli delle milizie di destra presenti in alcune città americane. Nelle ultime settimane sono circolati diversi video delle loro operazioni, i più discussi dei quali mostrano quelli che sembrano all’apparenza dei rapimenti. In diversi casi, infatti, gli agenti hanno fermato dei manifestanti – anche quando non stavano infrangendo apparentemente nessuna legge – e li hanno caricati violentemente sui furgoni, portandoli in alcuni edifici governativi per poi rilasciarli dopo alcune ore, senza registrare l’arresto e senza accuse precise.

Le grandi proteste contro il razzismo e la brutalità della polizia organizzate a partire da fine maggio, dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, sono state largamente pacifiche. Ma ci sono stati anche violenti scontri con la polizia, oltre ad episodi di saccheggio. In altri casi, i manifestanti hanno abbattuto le statue di figure storiche più o meno direttamente collegate agli anni della schiavitù. Portland è stata una delle città con le proteste più dure, e dove peraltro sono state abbattute diverse statue, tra gli altri degli ex presidenti George Washington e Thomas Jefferson. In diverse occasioni la polizia ha represso le proteste con molta violenza, infilandosi peraltro in una battaglia legale per poter continuare a usare i gas lacrimogeni.

Gli agenti che si sono visti in questi giorni sono stati inviati a Portland dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale dopo che lo scorso 26 giugno Trump aveva firmato un ordine esecutivo per formare squadre speciali che difendessero statue, monumenti e altre proprietà governative. Queste squadre sono state dispiegate dopo pochi giorni a Seattle, Washington D.C. e Portland, ma secondo un documento ufficiale pubblicato dal New York Times non c’è stato tempo per formarle appositamente, e non erano preparate a gestire manifestazioni di massa.

A partire dai primi giorni di luglio, quindi, per le strade di Portland sono comparsi gli agenti speciali, che come prime operazioni hanno disperso alcune proteste. Fin dall’inizio, il sindaco della città, il Democratico Ted Wheeler, si è detto preoccupato di come stavano operando, ma le cose sono davvero precipitate una decina di giorni dopo, quando gli agenti speciali hanno sparato un proiettile di gomma in faccia a un manifestante che, molto distante, stava tenendo in mano sopra di sé una cassa per la musica. Il manifestante ha riportato varie fratture al volto ed è stato operato.

Nei giorni seguenti, poi, ci sono state diverse denunce di manifestanti violentemente bloccati dagli agenti, caricati su furgoni senza segni distintivi e detenuti per alcune ore, senza che venissero formulate nei loro confronti accuse specifiche. A quel punto hanno cominciato a protestare un po’ tutti i più importanti politici locali, dalla governatrice dell’Oregon Kate Brown ai due senatori dello stato, Ron Wyden e Jeff Merkley, entrambi Democratici, che se la sono presa con Trump accusandolo di aver provocato una pericolosa e inutile escalation. Chad Wolf, segretario per la Sicurezza nazionale, ha risposto di non aver bisogno dell’invito del sindaco o del governatore.

Da quando ci sono gli agenti federali, infatti, le proteste sono tornate ad aumentare, e sono ricominciati gli scontri con la polizia. Domenica i manifestanti sono entrati negli uffici della Portland Police Association, dandogli fuoco. In un video molto circolato sui social, girato nel weekend, si vedono gli agenti federali disperdere con dei gas lacrimogeni un gruppo chiamato “Mamme contro la violenza della polizia”.

Perfino il dipartimento di polizia di Portland ha preso le distanze dagli agenti federali, spiegando di non avere a che fare con le sue operazioni. La procuratrice generale dell’Oregon, intanto, ha fatto causa al dipartimento di Sicurezza Nazionale e alle altre agenzie coinvolte nell’intervento federale a Portland, accusandole di abuso di potere e cercando di bloccarne immediatamente le operazioni.

Da giorni esperti di legge discutono sulle modalità con cui sono stati dispiegati gli agenti e sulle loro operazioni, e in tanti credono che sia solo questione di tempo prima che un tribunali le giudichi illegali innescando un contenzioso legale con l’amministrazione Trump. Michael Dorf, costituzionalista della Cornell University, ha detto ad Associated Press che «l’idea che ci sia una minaccia a un tribunale federale e che le autorità federali arrivino per fare quello che vogliono senza coordinarsi e collaborare con le autorità statali e locali è fuori dall’ordinario, a meno di un contesto di guerra civile».

Il governo americano ha risposto alle critiche sostenendo che «la città di Portland è sotto assedio» da parte di «anarchici» e della «folla violenta», e che le autorità locali «si rifiutano di ristabilire l’ordine». Wolf ha giustificato il comportamento degli agenti dicendo che stanno facendo «arresti preventivi», negando che le loro tute siano difficili da riconoscere e ribadendo che non verranno ritirati.