L’enorme raduno islamico che ha diffuso il contagio in Pakistan

Si è tenuto a metà marzo nella regione del Punjab, ha provocato un duro scontro tra autorità politiche e religiose e potrebbe aver contribuito a portare il coronavirus anche in altri paesi

di Andrea Di Fabio

(YouTube/Al Hayat Voice)
(YouTube/Al Hayat Voice)

In Pakistan il governo ha confermato i primi due casi di contagio da coronavirus il 26 febbraio. Il primo morto è stato ufficializzato il 18 marzo. In mezzo a queste due date c’è stato il Raiwind Markaz Ijtema, un affollato evento religioso che ha contribuito alla rapida diffusione del virus in Pakistan: secondo alcune ricostruzioni, l’evento sarebbe responsabile persino di un quinto di tutti i positivi accertati nel paese. Il raduno si era svolto dal 10 al 12 marzo a Raiwind nella regione del Punjab, organizzato dal gruppo islamico Tablighi Jamaat, letteralmente “società per la diffusione della fede”. All’evento avevano partecipato decine di migliaia di musulmani sunniti, di cui almeno 3mila stranieri. A causa del ruolo svolto nello sviluppo del contagio, il Raiwind Markaz Ijtema è stato al centro di un duro scontro tra autorità politiche e religiose pakistane.

L’evento viene organizzato ogni anno: la Tablighi Jamaat svolge un’incessante attività di proselitismo tra i musulmani sunniti e ha 80 milioni di seguaci, anche chiamati tablighi, in 150 paesi del mondo.

La struttura in cui si tiene il Raiwind Markaz Ijtema fu progettata per accogliere grandi folle: si estende su una superficie di 30mila metri quadrati e ospita ampie sale di preghiera con lunghe vasche per i riti di abluzione. Prima del ritrovo, i volontari disegnano mappe, piantano tende e allestiscono alloggi temporanei per gli ospiti in arrivo. L’agenzia AFP sostiene che all’edizione di marzo abbiano partecipato circa 100mila persone; Reuters ipotizza siano state 250mila. Tre giorni a stretto contatto con persone provenienti da diversi paesi del mondo – dalla Cina alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Malesia – sono però una pericolosa occasione per la diffusione del virus. Per questo motivo a inizio marzo le autorità del governo regionale del Punjab avevano convocato gli organizzatori tablighi cercando di convincerli a rinviare l’evento. I tentativi però erano falliti: il Raiwind Markaz Ijtema si era svolto regolarmente anche se in versione ridotta, ufficialmente per il forte maltempo che in quei giorni aveva colpito il Punjab.

Il 10 marzo, primo giorno del raduno, i casi positivi accertati in Pakistan erano una ventina: il governo non aveva ancora imposto restrizioni ufficiali e il contagio era agli inizi. Sulla pagina Facebook della Tablighi Jamaat di Raiwind avevano cominciato a circolare le prime immagini dell’evento: si vedevano i partecipanti condividere le tende, non curarsi del distanziamento fisico e pregare senza indossare le mascherine.

Le conseguenze, sul piano del contagio, sono arrivate qualche settimana più tardi. A fine marzo, 154 tablighi sono risultati positivi alla COVID-19, e due di loro sono morti nel giro di qualche giorno. Le autorità hanno deciso di chiudere le moschee e gli altri luoghi di culto frequentati dai fedeli e hanno imposto il lockdown a Raiwind e dintorni. A inizio aprile si è riusciti a risalire all’identità di alcuni partecipanti che nel frattempo erano tornati nelle loro città d’origine, ed è stata ordinata la quarantena a circa 20mila persone, tra cui 1.500 stranieri. Ma le misure, adottate a quasi un mese di distanza dalla chiusura del Raiwind Markaz Ijtema, si sono rivelate tardive e non sono riuscite a impedire la diffusione del contagio in altre zone del paese. Oggi, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), i casi positivi in Pakistan sono oltre 240mila e i morti circa 5mila. I numeri reali, però, sono sicuramente molto più alti.

Il Raiwind Markaz Ijtema ha provocato numerose polemiche e ha intensificato lo scontro già in atto tra leader religiosi e autorità politiche pakistane. Una parte dell’opinione pubblica ha criticato aspramente il movimento tablighi per non aver accettato l’iniziale invito delle autorità a cancellare l’evento. Il ministro della Scienza e della Tecnologia, Fawad Chaudhry, si è detto frustrato dal comportamento degli organizzatori: «Siamo molto preoccupati del fatto che Tablighi Jamaat abbia rifiutato di annullare il ritrovo: si sono comportati in modo irresponsabile. Le posizioni retrograde dei religiosi hanno causato una catastrofe». Anche secondo Danish Afzal, vice commissario delle forze di sicurezza di Lahore, le preoccupazioni espresse dal governo prima dell’evento erano fondate: i tablighi risultati positivi ai test avrebbero provocato la diffusione del virus in tutto il paese.

I leader religiosi si sono difesi dagli attacchi sostenendo di aver accorciato il raduno proprio per motivi di sanità pubblica, oltre che per il maltempo. Alcuni hanno accusato le autorità politiche di avere dei pregiudizi nei loro confronti. Hanno inoltre spiegato come l’evento si fosse svolto nella fase iniziale del contagio, prima che il governo imponesse ufficialmente le prime restrizioni.

Dietro l’insofferenza nei confronti delle richieste avanzate dal governo ci sono anche le posizioni controverse di un movimento integralista. In un’intervista televisiva di fine marzo, Tariq Jamil, uno dei leader tablighi più influenti, ha detto: «È Dio a scegliere chi sarà positivo al virus e chi no. Solo lui ci potrà salvare». Arsalan Khan, docente di antropologia allo Union College di New York, ha detto al sito Middle East Eye che è difficile convincere i tablighi che un’azione da loro considerata virtuosa come partecipare al Raiwind Markaz Ijtema possa trasformarsi in vettore per la diffusione di malattie e morte.

Ma in Pakistan non esiste una divisione netta tra politici e religiosi. A partire dagli anni Ottanta, i religiosi hanno esercitato un’influenza via via maggiore sulla società e sulla politica pakistana, soprattutto grazie all’appoggio dell’esercito e alla mediazione dei partiti islamisti. Durante la guerra tra Afghanistan e Unione Sovietica (1979-1989), i militari pakistani sostennero l’indottrinamento di combattenti nelle moschee pakistane da inviare a sostegno dei talebani afgani, con l’obiettivo di costringere il governo sovietico a ritirare i propri soldati dall’area. Terminata la guerra, l’esercito pakistano continuò a usare i religiosi per i propri obiettivi di politica interna ed estera. Con l’appoggio dei militari, le guide spirituali riuscirono a ritagliarsi spazi di autonomia orientando l’azione dei partiti politici islamisti, che si installarono permanentemente nelle istituzioni. I risultati elettorali di queste forze sono sempre stati modesti, ma anche grazie a loro i leader religiosi hanno continuato a esercitare una forte influenza sulla società.

Tablighi Jamaat può quindi contare sull’appoggio di una parte della leadership politica pakistana e riscuote ampi consensi tra la popolazione. Tra i seguaci del movimento ci sono politici illustri come gli ex presidenti Farooq Legari e Mohammed Rafiq Tarara, e la famiglia dell’ex primo ministro Nawaz Sharif. Secondo alcuni, quindi, i leader politici non hanno annullato il Raiwind Markaz Ijtema per evitare di scontrarsi apertamente con i leader religiosi.

Secondo altri, come la giornalista del sito Middle East Eye Suddaf Chaudry, il governo avrebbe sfruttato a proprio vantaggio le polemiche provocate dal Raiwind Markaz Ijtema per colpire l’immagine di Tablighi Jamaat e ridimensionarne l’influenza. Indicare il movimento come principale responsabile del contagio avrebbe permesso al governo di nascondere i propri ritardi e le proprie colpe. Questa interpretazione è stata condivisa anche da Ahsan Iqbal, ex ministro dell’Interno e segretario generale di uno dei principali partiti di opposizione, la Lega musulmana del Pakistan: «Non è giusto incolpare un solo gruppo e trasformarlo in un capro espiatorio. Fin dall’inizio del contagio il governo non ha intrapreso azioni efficaci volte a contenerlo».

Il mancato accordo tra autorità politiche e religiose per la cancellazione dell’evento potrebbe avere avuto gravi ripercussioni anche su altri paesi del Medio Oriente. Secondo il quotidiano Haartez, la massiccia presenza di stranieri al Raiwind Markaz Ijtema ha contribuito alla diffusione del virus in altre regioni, tra cui la Striscia di Gaza e il Kirghizistan.

Nella Striscia di Gaza le prime due persone positive al coronavirus erano appena rientrate dal Pakistan attraverso l’Egitto dopo aver partecipato all’evento di Raiwind. Le due positività sono state accertate il 22 marzo, una decina di giorni dopo la chiusura del ritrovo. Secondo alcuni giornali, tra cui Al Jazeera e il New York Times, eventi simili al Raiwind Markaz Ijtema sono stati organizzati dalla Tablighi Jamaat tra marzo e aprile in India e Malesia, e potrebbero avere avuto lo stesso effetto di diffusione del contagio anche in alcuni paesi del sudest asiatico.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.