I migranti guatemaltechi positivi al coronavirus espulsi dagli Stati Uniti

E rimandati in Guatemala, tra le molte preoccupazioni del governo locale

di Alessandra De Poli

(Christ Chavez/Getty Images)
(Christ Chavez/Getty Images)

Con la pandemia da coronavirus, i flussi migratori dall’America Centrale verso gli Stati Uniti si sono ridotti, ma i respingimenti e le espulsioni attuate dal governo statunitense sono continuate. Tra i paesi coinvolti in questo processo c’è il Guatemala, che nelle ultime settimane ha protestato pubblicamente contro il governo statunitense accusandolo di avere rimandato indietro migranti guatemaltechi risultati poi positivi al test per il coronavirus, nonostante i due paesi avessero firmato in precedenza un’intesa per evitare questa eventualità. Funzionari del governo guatemalteco hanno detto al Wall Street Journal che le espulsioni di migranti dagli Stati Uniti sono viste come una delle potenziali fonti principali di contagio nel paese.

Ad oggi in Guatemala sono stati confermati più di 38 mila casi positivi di coronavirus, e 1.449 morti; e come in diversi altri paesi dell’America Latina, i numeri suggeriscono che il picco dell’epidemia non sia ancora stato raggiunto.

Per un breve periodo gli Stati Uniti avevano effettivamente sospeso le espulsioni su richiesta delle autorità del Guatemala. Ad aprile, 76 guatemaltechi erano stati rimpatriati e 71 erano poi risultati positivi al coronavirus. Per evitare il ripetersi di questa situazione, gli Stati Uniti avevano cambiato il protocollo sanitario relativo a situazioni simili. Prima di salire sull’aereo di ritorno, i migranti avevano iniziato ad essere testati: chi risultava positivo, non veniva espulso ma riportato nei centri di detenzione americani.

Il problema, ha scritto il Wall Street Journal, è emerso con i primi “falsi negativi”, cioè persone risultate positive dopo un primo test il cui esito era stato negativo. A inizio maggio il governo guatemalteco aveva comunicato che un migrante, certificato come negativo dalle autorità statunitensi, era risultato positivo in un successivo esame effettuato in Guatemala. Episodi simili si erano ripetuti successivamente, e tra marzo e metà giugno erano stati testati 900 migranti, di cui 186 risultati positivi.

L’intera situazione ha creato parecchie tensioni tra i governi dei due paesi. Per esprimere il suo malcontento, il presidente del Guatemala, Alejandro Giammattei, ha detto: «Il Guatemala è un alleato degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non sono un alleato del Guatemala».

Il governo guatemalteco sostiene che il ritorno di migranti affetti da coronavirus potrebbe aggravare le condizioni di un sistema sanitario già fragile ed estremamente sotto pressione. L’epidemia nel continente americano è ancora fuori controllo, e in molti paesi la curva dei nuovi casi giornalieri sta continuando a crescere. Per esempio in Honduras, che confina con il Guatemala, il numero di nuovi casi è iniziato ad aumentare in maniera significativa a partire da giugno, e tra le persone ricoverate in ospedale a causa della COVID-19 c’è anche il presidente honduregno, Juan Orlando Hernández.

Secondo il Guatemala, l’invio di alcuni migranti risultati positivi potrebbe essere conseguenza del tipo di test utilizzato dagli Stati Uniti, quello dell’azienda farmaceutica Abbott Laboratories. Nonostante la Abbott dica che il tasso di accuratezza dei propri test diagnostici sia del 95 per cento, il governo guatemalteco ha detto di essere convinto della loro poca affidabilità. I test diagnostici degli Abbott Laboratories sono piccoli e portatili e permettono di essere eseguiti ovunque, senza necessità di passare per un laboratorio. Al momento questi test sono venduti e utilizzati solo negli Stati Uniti.

Le organizzazioni che difendono dei diritti dei migranti hanno espresso la loro preoccupazione sulle espulsioni di migranti decise dagli Stati Uniti, che potrebbero contribuire a diffondere il virus in tutto il continente. Maureen Meyer, direttrice della sezione Messico e diritti dei migranti per l’organizzazione no profit Washington Office for Latin America, ha detto: «La risposta più responsabile e umana da parte dell’amministrazione Trump dovrebbe essere quella di fermare tutti i voli per espellere i migranti durante la pandemia».

Non è chiaro se altri paesi dell’America Centrale abbiano riaccolto persone positive al coronavirus precedentemente espulse dagli Stati Uniti. Il Wall Street Journal dice di aver provato a contattare le agenzie che si occupano di migrazione in Honduras e in El Salvador e di non aver ricevuto risposta.