Durante la pandemia la Cambogia ha cambiato idea sui turisti

Il primo ministro Hun Sen aveva promesso cure gratuite per gli stranieri ma ora chi entra nel paese deve pagare una cauzione

di Davide Cristaldi

(Kounosu/Wikimedia Commons)
(Kounosu/Wikimedia Commons)

Dall’11 giugno la Cambogia ha chiesto ai turisti in arrivo nel paese un deposito di 3.000 dollari (circa 2.600 euro), per fare il tampone per il coronavirus e coprire le spese sanitarie in caso dovessero risultare positivi. È richiesta anche un’assicurazione sanitaria che copra spese per almeno 50.000 dollari (circa 44.000 euro) e un certificato medico non più vecchio di tre giorni che provi la negatività al coronavirus. I soldi non utilizzati verranno restituiti all’uscita dal paese. La decisione ha ribaltato l’iniziale atteggiamento del primo ministro cambogiano Hun Sen, che a marzo aveva cercato di incoraggiare il turismo promettendo cure gratuite a tutti gli stranieri che fossero risultati positivi al coronavirus nel paese.

La misura potrebbe creare ulteriori problemi al turismo, già pesantemente colpito dalla pandemia: nei primi tre mesi dell’anno il numero di visitatori internazionali era diminuito del 38,5 per cento. L’industria del turismo in Cambogia è particolarmente importante perché, secondo i dati OCSE, dà lavoro a più del 30 per cento della popolazione, il tasso più alto fra tutti i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN).

La cauzione deve essere pagata in contanti o con carta di credito direttamente alla stazione o all’aeroporto di arrivo presso una delle tre banche incaricate dal governo. Da lì i visitatori vengono subito portati a fare un tampone nel centro più vicino, dove devono rimanere fino all’esito del test. Il ministero degli Esteri cambogiano ha spiegato nel dettaglio come funzionino le spese: 135 dollari per il trasporto al centro d’attesa e per il tampone, più 60 dollari per ogni giorno di soggiorno fino all’esito del test. Se un passeggero risulta positivo al coronavirus vengono messi in quarantena per 14 giorni anche tutti gli altri che si trovavano sullo stesso volo. La quarantena in un hotel o in una struttura designata costa a ciascun passeggero risultato negativo 1200 dollari, mentre per la persona risultata positiva il ricovero presso l’ospedale della capitale Phnom Penh costa 225 dollari al giorno, più 100 dollari per ogni tampone che gli venga fatto. Il governo fa sapere anche che in caso di morte verrebbero detratti altri 1500 dollari per il funerale.

A febbraio, quando c’era ancora un solo caso nel paese, Hun Sen – che è primo ministro ininterrottamente dal 1985 e l’anno scorso ha sciolto il principale partito d’opposizione – aveva cercato invece di attirare le attenzioni internazionali facendo sbarcare in Cambogia i passeggeri della Westerdam, una nave da crociera americana respinta da molti altri paesi asiatici. A marzo aveva poi assicurato che la Cambogia avrebbe curato gratuitamente ogni straniero trovato positivo al coronavirus. In quell’occasione, Hun Sen aveva detto che «siamo poveri ma il nostro cuore è grande». Nel frattempo è salito il numero di casi positivi accertati e le compagnie assicurative hanno detto che non avrebbero pagato le spese sanitarie per gli stranieri: la Cambogia non ha i soldi per gestire un’eventuale espansione dei contagi e Hun Sen ha dovuto cambiare strategia.

Nel 2019 la Cambogia era stata visitata da 6,6 milioni di turisti, la maggior parte attratti dalla capitale Phnom Penh e da Angkor, uno dei parchi archeologici più importanti al mondo. Patrimonio Unesco dal 1992, Angkor era l’antica capitale dell’Impero Khmer, abbandonata a partire da una guerra con la Thailandia nel 1400, dimenticata e coperta dalla giungla fino a quando fu ritrovata nel 1860 dal naturalista francese Henri Mohut.

La costruzione dell’antica capitale dell’Impero Khmer risale al IX secolo. Dopo l’abbandono la giungla è cresciuta sopra i resti della città. Si sono conservati parzialmente integri soprattutto gli edifici religiosi, costruiti con materiali più resistenti degli edifici civili e della residenza reale, dei quali rimangono le fondamenta (Gerd Eichmann/Wikimedia Commons)

Prima del coronavirus l’industria del turismo in Cambogia valeva circa 5 miliardi di dollari l’anno, il 32% del PIL, il tasso più alto fra tutti i paesi dell’ASEAN, ma dopo il pesante calo dei visitatori a inizio anno il ministero del Turismo ha stimato per il 2020 una perdita di 3 miliardi di dollari (circa 2,6 miliardi di euro). La nuova misura del governo è stata criticata da molti che lavorano nel settore e che temono possa essere un ulteriore disincentivo per i turisti stranieri. Chhay Sivlin, la presidente dell’Associazione nazionale del turismo, ha chiesto al governo di eliminare la misura, sostenendo che sia sufficiente la richiesta dell’assicurazione sanitaria.

In Cambogia non sono stati registrati morti per coronavirus. I casi accertati sono stati solo 141, di cui 10 attualmente ricoverati, su un totale di 16 milioni di abitanti. Secondo Kimking Heng, ricercatore dell’Istituto cambogiano per la Cooperazione e la Pace, e Courtland Robinson, professore della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health nel Maryland, il merito è stato soprattutto di condizioni socioeconomiche favorevoli: circa l’80 per cento della popolazione cambogiana vive in zone rurali a bassa densità demografica, e nelle città era già diffuso l’uso delle mascherine per proteggersi dai gas di scarico. Inoltre i paesi confinanti hanno chiuso le frontiere verso la Cambogia molto presto, evitando l’arrivo di contagi dall’estero. Infine in Cambogia già prima della pandemia non si usava stringersi la mano.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.