E se al posto dei termoscanner annusassimo foglietti?

Secondo diversi ricercatori un test dell'olfatto è più affidabile per scoprire chi potrebbe avere il coronavirus, ai controlli prima di entrare nei locali e negli uffici

(Dan Kitwood/Getty Images)
(Dan Kitwood/Getty Images)

Nelle ultime settimane ci siamo abituati a farci puntare alla fronte le “pistole” (termoscanner) per misurare la temperatura, prima di entrare nei locali, nei negozi e negli uffici. L’impiego di questi termometri a infrarossi dovrebbe consentire di identificare chi ha più di 37,5 °C e potrebbe quindi essere positivo al coronavirus, anche se non avverte altri particolari sintomi. I termoscanner sono però piuttosto imprecisi e non sempre chi ha la COVID-19 in forme leggere ha la febbre alta, per questo c’è chi suggerisce di utilizzare un sistema diverso per identificare i potenziali infetti prima del loro ingresso negli ambienti chiusi: fargli annusare un foglietto profumato.

In sei mesi di studi, ricerche ed esperienze cliniche è emerso che la COVID-19 può presentarsi con una grande varietà di sintomi compresa la temporanea perdita del gusto e dell’olfatto (“anosmia”). Le analisi condotte finora hanno evidenziato come l’anosmia si presenti precocemente tra chi è infetto da coronavirus, costituendo quindi un valido segnale per sospettare che un individuo possa essere positivo, circostanza che può poi essere verificata tramite un test eseguito con un tampone.

Le cause della perdita dell’olfatto negli individui con COVID-19 non sono ancora completamente chiare, ma i ricercatori hanno notato che il coronavirus causa qualche problema all’epitelio olfattivo, il tessuto cellulare che si trova nella parte posteriore della cavità nasale e le cui ghiandole captano i segnali chimici delle sostanze nell’aria, stimolando poi una risposta nervosa che ci consente di percepire gli odori.

Le membrane delle cellule dell’epitelio olfattivo sono ricche dei recettori che il coronavirus (SARS-CoV-2) sfrutta per eludere le loro difese, ottenendo quindi la possibilità di iniettare il suo materiale genetico e di sfruttare poi i meccanismi cellulari per replicarsi. L’infezione di queste cellule compromette il sistema che ci fa normalmente percepire gli odori, interrompendo il segnale che normalmente arriva al nostro cervello per gestire il senso dell’olfatto. Questo è inoltre strettamente legato al senso del gusto, e di conseguenza diversi positivi al coronavirus per un po’ di tempo non riescono a percepire i sapori come fanno di solito.

Un’analisi comparativa su 24 ricerche condotte sul tema, e che hanno previsto l’intervista di quasi 8.500 individui risultati positivi, ha rilevato che il 41 per cento dei pazienti riferiva di avere perso completamente o parzialmente il senso dell’olfatto. Altri studi, svolti invece con test per rilevare direttamente questa condizione (quindi non basandosi solamente su quanto riferito dagli interessati), hanno rilevato un’incidenza molto più significativa dei casi di anosmia.

Mettendo insieme gli esiti di 47 ricerche di questo tipo, si è stimato che la perdita di olfatto e gusto interessi circa l’80 per cento dei pazienti con COVID-19. Solo la metà degli individui compresi negli studi presi in esame aveva però segnalato di avere perso la capacità di distinguere gli odori. Questo significa che molte persone positive al coronavirus non si accorgono di avere una capacità ridotta o assente nel percepire gli odori. Il motivo può essere legato al fatto che non tutti fanno caso a questa circostanza, o che sono già malati e tendono a preoccuparsi di altri sintomi più facili da riconoscere e che ritengono più importanti, come le difficoltà respiratorie.

Uno studio condotto presso l’Università della California (San Diego) su circa 1.500 pazienti ha rilevato come gli individui con anosmia avessero una probabilità molto più alta (fino a 10 volte) di essere malati di COVID-19, rispetto ad altre malattie infettive respiratorie. Anche l’influenza e il comune raffreddore possono causare la perdita temporanea dell’olfatto, ma il fatto che siano meno diffusi nella stagione calda contribuisce a ricondurre più facilmente questa condizione al coronavirus.

Per questo motivo diversi ricercatori ritengono che l’anosmia possa essere un indicatore più affidabile della febbre che, oltre a essere difficile da rilevare con precisione con i termoscanner, può essere il sintomo di molte malattie e non necessariamente della COVID-19. Una ricerca condotta presso la Mayo Clinic negli Stati Uniti, diffusa nella sua forma preliminare (quindi da prendere con qualche cautela), ha evidenziato che i pazienti con COVID-19 avevano una probabilità molto più alta (27 volte) di avere l’anosmia rispetto ad altri pazienti, molto meno di quella di avere febbre e brividi (2,6 volte). In questo senso, hanno spiegato i ricercatori, la perdita di olfatto sembra quindi essere un indicatore più affidabile rispetto alla febbre.

Come spiega un articolo su STAT, a oggi non ci sono ricerche che abbiano fornito dati concreti a sufficienza per capire quanto sia utile il controllo della temperatura per rilevare i casi di COVID-19. Si possono però derivare alcune valutazioni da come andarono le cose nel 2003 con la SARS, un’altra malattia causata da un coronavirus con diverse cose in comune con l’attuale. In molti paesi asiatici furono utilizzati i termoscanner soprattutto negli aeroporti, rivelandosi però poco efficaci nell’identificare i casi sospetti.

La probabilità che qualcuno con la febbre fosse malato di SARS si rivelò essere tra il 4 e il 65 per cento, a seconda della circolazione della malattia nelle aree geografiche, delle condizioni degli individui e di altre circostanze. La probabilità che un individuo senza febbre non avesse la SARS si rivelò essere dell’86 per cento. Nel complesso, quindi, i controlli della temperatura consentirono di non perdere troppe persone malate, ma la SARS comportava tempi diversi nella comparsa dei sintomi rispetto alla COVID-19, il cui coronavirus rende spesso contagiosi ancora prima di sviluppare sintomi rilevanti.

Alle persone che vogliono entrare negli edifici dell’Università della California (San Diego) vengono già chieste da qualche tempo informazioni sulla loro capacità di percepire gli odori, contestualmente alla normale misurazione della temperatura tramite termoscanner. Il problema è che molte persone rispondono senza sapere quale sia effettivamente la risposta, perché non hanno fatto caso a eventuali cambiamenti dell’olfatto, oppure mentono per evitarsi problemi. Per questo motivo diversi esperti e ricercatori ritengono che test obiettivi, fatti tramite una piccola prova pratica, potrebbero rivelarsi più utili e affidabili.

Un test classico per la valutazione dell’anosmia consiste nell’odorare diversi foglietti, simili ai tester che si utilizzano in profumeria, e nell’indicare poi che profumo si è percepito scegliendo tra alcune risposte disponibili. Il test richiede però una decina di minuti per essere completato e non si adatterebbe molto ai controlli all’esterno di locali e uffici. Si potrebbe però sviluppare un test molto più semplice e rapido, considerato che la prova dovrebbe essere orientata a valutare se una persona abbia mantenuto o meno il senso dell’olfatto, senza la necessità di misurare la sua capacità di distinguere e riconoscere particolari odori.

Il test potrebbe consistere nell’annusare un solo foglietto profumato, indicando poi che odore si è percepito tra quattro risposte possibili. In questo modo si dovrebbe escludere il rischio che la persona interessata menta, affermando genericamente di essere in grado di percepire gli odori. Il test potrebbe anche essere suddiviso in più foglietti, con uno di controllo non profumato, per identificare in modo più facile chi mente.