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  • Domenica 28 giugno 2020

Siamo pronti per la prossima catastrofe?

Un editoriale dell’Economist sull’importanza di prepararsi per eventi molto pericolosi, anche se magari molto rari

(Chris J Ratcliffe/Getty Images)
(Chris J Ratcliffe/Getty Images)

Per il suo nuovo numero il settimanale britannico Economist ha pubblicato un editoriale che, partendo da quanto successo negli ultimi mesi con la pandemia da coronavirus, parla della necessità di pensare di più e meglio a eventuali – seppur in certi casi remote – catastrofi che potrebbero colpire il mondo.

L’editoriale inizia parlando di quella che sembra essere una «testarda ignoranza» dell’umanità nei confronti di eventi poco probabili che però potrebbero avere un grandissimo impatto sulle vite di tantissime persone, anche quando le possibili attività di prevenzione e preparazione non sono eccessivamente costose. Secondo l’Economist, è una colpevole «rinuncia di possibilità, oltre che un tradimento nei confronti del futuro».

In questi termini, la pandemia da coronavirus può essere vista come un ottimo, anche se tragico, esempio: perché «virologi, epidemiologi e ambientalisti parlavano da decenni delle possibilità che qualcosa di simile succedesse»; ma nonostante questo «troppi pochi paesi si sono fatti trovare pronti con le due cose necessarie: dei piani d’azione e mezzi per implementarli».

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L’editoriale, però, non parla di pandemie (qualcosa su cui i governi hanno comunque una certa esperienza) ma di «minacce davvero nuove». Per esempio delle possibili conseguenze che una grande espulsione di massa coronale del Sole potrebbe avere sull’uso che, dalla Terra, facciamo dell’elettricità. Se una di queste grandi espulsioni di massa coronale dovesse colpire la Terra sarebbero a rischio, scrive l’Economist, «tutti i sistemi satellitari e di comunicazione, compresi quelli che avvertono dell’arrivo di attacchi missilistici» e, nella peggiore delle ipotesi, «vaste aree del pianeta potrebbero dover affrontare mesi senza un’affidabile rete elettrica».

Un altro esempio dell’Economist, più semplice da immaginare, riguarda l’impatto che grandi eruzioni vulcaniche – sui livelli di quella nel 1815 del vulcano Tambora, in Indonesia – potrebbero avere sul clima, e quindi sui raccolti, in certe aree del mondo.

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A prescindere da quale possa essere la prossima catastrofe, l’Economist scrive che «tenere d’occhio il futuro è parte di quello per cui esistono i governi» e che visto che non si possono evitare cose come un’eruzione o un evento solare, bisogna quantomeno prepararsi all’eventualità e provare, nei limiti del possibile, i segnali grazie alla scienza.

Secondo l’Economist, c’è quindi molto lavoro da fare sia nello studio di quello che andrebbe fatto per superare qualche catastrofe, sia nell’elaborazione di modi rapidi ed efficaci per avvisare le persone di quello che potrebbe succedere. L’editoriale cita per esempio il fatto che solo dopo lo tsunami del dicembre 2004 nell’oceano indiano sono stati elaborati numerosi ed efficaci sistemi per avvisare le popolazioni.

L’editoriale dell’Economist – accompagnato da un articolo che entra ancora più nel dettaglio sul perché il mondo dovrebbe prepararsi meglio per ogni possibile catastrofe – finisce ricordando che potrebbe sembrare esagerato insistere su eventi relativamente rari quando già ci sono problemi ben più pressanti, a cominciare dal cambiamento climatico. Ma osserva che pensare a una cosa non vuol dire escludere l’altra, perché si tratta di questioni di ordine diverso, che richiedono azioni tra loro diverse, anche se in certi casi possibilmente complementari.