• Libri
  • Martedì 23 giugno 2020

Il futuro delle televendite

Raccontato dall'esperto di marketing Gianluca Diegoli in "Svuota il carrello", un nuovo libro che spiega il marketing sia a chi vuole vendere sia a chi non vuole farsi ingannare dalla pubblicità

Una televendita di QVC
Una televendita di QVC

Di libri sul marketing ce ne sono tantissimi e solitamente sono rivolti a chi vorrebbe padroneggiare le tecniche per riuscire a vendere prodotti e servizi al maggior numero di persone possibili. Nelle librerie fisiche si trovano in angoli polverosi, poco in evidenza perché solitamente non hanno copertine attraenti: contrariamente a quello che ci si aspetterebbe da un libro che vuole insegnare come vendere le cose, non si vendono facilmente a chi passa di lì per caso. Svuota il carrello di Gianluca Diegoli – pubblicato da Utet e in libreria da oggi – è un libro sul marketing diverso: ha una copertina molto colorata, che ricorda vecchi fustini di detersivo e si fa notare, e si rivolge non solo a chi vorrebbe capire il marketing per farne, ma anche a chi vuole sfuggire ai suoi trucchi.

La colorata copertina di “Svuota il carrello” di Gianluca Diegoli, disegnata da Xxy studio (Utet)

Diegoli insegna “digital marketing e multicanalità” all’Università IULM di Milano e cura una interessante newsletter sul marketing che arriva una volta alla settimana. Sia la newsletter che Svuota il carrello spiegano – bene, o addirittura «benissimo», come dice il sottotitolo del saggio, usando una formula molto cara al Post – i meccanismi e le espressioni usate da chi si occupa di marketing, evidenziandone anche i limiti, dato che quella di vendere le cose non è una scienza esatta. Il libro parte da tecniche tradizionali, come quelle usate dai bar per venderci gomme da masticare e caramelle insieme ai caffè, per arrivare a spiegare il fenomeno dei micro e dei nanoinfluencer e il marketing sui social network. In mezzo spiega cosa significano inbound marketing, gamification, domination, cross-selling, upselling e tante altre espressioni usate ogni giorno in tanti uffici di Milano.

Pubblichiamo un estratto dal dodicesimo capitolo, che spiega come mai nonostante l’odio diffuso per il telemarketing (cioè per le telefonate dei call center che cercano di venderti qualcosa) le aziende continuino a usarlo come strategia. Il capitolo parla anche della storia delle televendite e di quale potrebbe essere il loro futuro su internet e non solo.

***

Da piccolo avevo sviluppato una dipendenza per le televendite, forse perché sono stato bambino in anni in cui la tv aveva orari di trasmissione molto limitati. Non avevo avuto tempo di assorbire gli anticorpi, probabilmente. Così sono cresciuto sciroppandomi le tecniche persuasive di Vanna Marchi, l’esplosione degli strumenti per fare ginnastica a casa, le scarpiere a 19 000 lire.

Mi hanno talmente formato che sono rimasto molto male quando nel mio percorso di laurea alla Bocconi, con tanto di specializzazione in marketing, nessuno si è mai degnato di nominarle, nemmeno una volta. In fondo, le televendite, nonostante siano considerate generalmente una pratica poco prestigiosa, sono in realtà marketing allo stato puro: riuscire a vendere a distanza scarpiere, tagliacapelli, poltrone massaggianti, pentole, coltelli, attrezzi per pulire i pavimenti, attrezzi ginnici, fasce massaggianti, compressori per il fai-da-te, creme scioglipancia, pantaloncini dimagranti, accessori per auto, tappeti, quadri, gioielli – e chissà cos’altro dimentico – significa utilizzare ogni possibile tattica psicologica di vendita.

Ma come mai si erano diffuse così? Se ci pensate non è scontato, ed è una sempreverde lezione di marketing.

È successo perché la televisione in Italia ha avuto storicamente sempre più spazio disponibile di quanto ne potesse riempire con veri e propri programmi. E la cosa non è cambiata con il tempo, anzi: migliaia di piccole emittenti hanno visto moltiplicarsi gli spazi con le frequenze del digitale terrestre, e questo ha reso molto economico lo spazio di trasmissione in tv, soprattutto al di fuori dal prime time. Quindi comprare uno spazio su di un canale per trasmettere una televendita costava (e costa) poco, e produrla ancora meno: uno studio improvvisato, telecamera e alcune luci. Questo anche perché la durata della televendita tradizionale è limitata: il cosiddetto “blocco di vendita” dura dai cinque ai dieci minuti, in modo da poter essere ripetuto all’infinito tutta la notte, cioè lo slot più economico. La ripetizione ossessiva e veloce ha uno scopo preciso: nello zapping notturno ogni momento di possibile contatto del target deve poter essere ricondotto all’argomento di vendita entro un tempo relativamente breve. Si deve arrivare al punto prima che il telecomando entri in azione di nuovo.

Ma perché proprio certi prodotti sono venduti nelle televendite? Il fil rouge che unisce l’eterogenea offerta non è la categoria merceologica, ma il target. Le televendite sulle tv locali sono un caso di marketing focalizzato sul loro cliente ideale: anziano, con qualche normale acciacco, che non compra su internet, con la televisione sempre accesa e che si fida ancora perché «Lo dice la tv». Pensate che negli Stati Uniti, il logo ovoidale rosso As Seen on TV è ancora utilizzato con successo per instillare fiducia.

È lo storytelling, al solito, il cuore della televendita: soprattutto in quelle meno importanti, l’uso di scenette mal recitate è la norma. Lo sporco resistente, brutto a vedersi e insidioso nelle fessure, è davvero complicato da gestire e – dramma! – la protagonista sta per perdere la battaglia: «Chissà cosa dirà mio marito/moglie/figlio!». Ma ecco che arriva il prodotto, il turbo lavatutto ad alta pressione, l’oggetto magico della fiaba che aiuta l’eroina a vaporizzare tutto lo sporco. Il focus non è sulle caratteristiche tecniche, o la potenza in chilowatt, ma sulle esperienze «di chi l’ha usato». «Guardate-il-risultato!» E chi lo dice? Ci sono il signor “Mario” (dal labiale fuori sincrono – le televendite più low cost riciclano video americani importati come i prodotti che vendono), e la signora “Marina”, tutti concordi nel dire che con il lavatutto la loro vita non è più la stessa.

Nonostante sia al livello di una battuta tra noi marketer, ancora oggi il prodotto in regalo alle prime telefonate (prime a partire da quando?) è un degno coprotagonista. È di solito un accessorio di poco valore ma esaltato allo sfinimento dal presentatore, su cui a volte addirittura litiga con un secondo presentatore che non vorrebbe dare gratis quel prezioso gadget – «Ma andiamo sotto costo!», «Ma che sei impazzito?» eccetera, finché alla fine si mettono d’accordo: «Ok, ma solo per oggi!». Quale oggi? Quello di ieri o quello di domani? Non importa, in realtà.

Le televendite possono sembrare un modo di fare marketing al tramonto, rivolto a un pubblico della terza età. Non è detto che finisca così. Se nel 2020 c’è spazio per i venditori Folletto e la mia cara amica del call center che mi ha gentilmente costretto a tenermi l’abbonamento di Sky, perché non possono trovare nuova linfa anche le mie amatissime televendite? Il settore sta flirtando con il web per prepararsi a venderci qualsiasi cosa. Non a caso anche Amazon, nel suo attacco continuo a ogni modalità di vendita esistente, sta provando a lanciare un canale in diretta sul sito che assomiglia molto alla televendita. Amazon Live, questo il suo nome, prende il meglio dei due mondi: in questo momento una ragazza sta promuovendo dei fazzolettini per pulire gli occhi dei cani, mentre tiene in braccio un grazioso piccolo labrador. Niente numero telefonico in sovrimpressione, ma chat per interagire con il brand in studio. Il modello televisivizzato per vendere online sta prendendo piede velocemente. Del resto, se ci fate caso, oggi molte dirette su Facebook e Instagram assomigliano a loro volta alle televendite. Nell’epoca del digitale, i confini tra strumenti di marketing svaniscono velocemente. Anche in Italia la televendita oggi non usa solo spazi su televisioni locali: due canali internazionali come QVC e HSE24 hanno creato un modello differente, molto più strutturato, che occupa canali presenti anche sulla pay tv. Marchi conosciuti e prestigiosi vendono su questi canali con slot di un’ora proposti in diretta, con tanto di dimostrazione, ospiti, testimonial e ambientazioni ad hoc, una per ogni tipologia di prodotto.

Così le pentole di gamma alta verranno presentate in una simil-cucina di lusso in cui saranno utilizzate per cucinare veramente (un mix tra la vecchia televendita e trasmissioni televisive di massa come La prova del cuoco), le creme di bellezza in un simil-laboratorio estetico e applicate live a modelle, elementi di design come stilose lampade verranno riambientate in sofisticati arredi di interni. Mostrare direttamente il prodotto con il suo utilizzo e nell’ambiente di destinazione finale funziona molto bene – ce lo insegna il rappresentante Folletto che vi pulisce il salotto al grido di «Signora, guardi com’è facile!». Mostrarlo attraverso la tv o il web o entrambi aumenta il numero di persone che puoi raggiungere, magari meno efficacemente che dal vivo, ma con un’audience ben più numerosa. Naturalmente raccontano di aver usato di persona il prodotto (del resto io ho comprato un divano così).

Con un altro cortocircuito tra nuovo e vecchio mondo, per spingere gli spettatori all’acquisto i conduttori dello show oggi spesso leggono le recensioni dei clienti in diretta («Sono i clienti a parlare!»). E quando compare la scritta «C’è coda al call center» in sovrimpressione, i clienti sono invitati a fotografare il QR code sullo schermo per procedere all’acquisto online. Insomma, sono televendite 2.0: l’efficienza dell’online ma con l’empatia e i tempi della televisione; un sistema che ricalca i modelli ecommerce delle vendite temporanee come Saldi Privati e Privalia. I numeri danno ragione a questi ibridi: QVC, che ha un fatturato globale di 8,8 miliardi di dollari, ne fa la metà attraverso la combinazione ecommerce più televendita. Ma non è l’unico caso. In Cina è diffuso il cosiddetto live-commerce: negozi online che vendono con la telecamera live puntata addosso, dodici ore al giorno. Su Taobao, una piattaforma di proprietà di Alibaba, i presentatori di live-commerce generano circa 150000 ore al giorno di dirette. Durante gli streaming i fan/spettatori possono acquistare immediatamente gli oggetti dalla app, circa 600000 diversi ogni giorno.

Non si chiameranno più televendite, ma shoppertainment: la strada futura sarà fondere lo shopping con esperienze di intrattenimento e interazioni sui social media e online. I consumatori guardano, interagiscono e soprattutto rimangono sintonizzati. Chissà se da anziano mi ritroverò a comprare qualcosa in negozio convinto da un bollino che testimonia As Seen on the internet. Sempre se esisteranno ancora i negozi.
E in effetti un’altra cosa che hanno in comune vendita porta a porta, telemarketing e televendita è l’inversione di rotta: non sei tu a recarti nel negozio, ma è il negozio che viene a casa tua (anche quando non vuoi). Vi ricorda qualcosa? Esiste insomma una lenta mutazione che dal venditore della Folletto arriva fino ad Amazon, anche se non ci pensiamo mai.

2020, Dea Planeta Libri S.r.L.