Il presidente della Toscana Enrico Rossi è indagato in un’inchiesta sull’assegnazione di un bando per il trasporto pubblico regionale

(ANSA/FABIO FRUSTACI)
(ANSA/FABIO FRUSTACI)

Il presidente della Toscana Enrico Rossi è indagato a Firenze nell’ambito di un’inchiesta sull’assegnazione di un bando da 4 miliardi di euro per gestire il trasporto pubblico regionale su gomma per 11 anni, fino al maggio 2031. L’appalto era stato assegnato nel 2015 alla società Autolinee Toscane (del gruppo francese Ratp). La procura sta però cercando di capire se il percorso che ha portato all’aggiudicazione del bando sia avvenuto secondo i criteri di legge e se sia stato orientato a favore di Autolinee Toscane, a discapito del concorrente Mobit Scarl, il consorzio che ha presentato l’esposto in procura.

Contro l’assegnazione del bando, Mobit si era rivolto al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensione cautelare dell’affidamento del servizio di trasporto a Autolinee Toscane a causa di presunte irregolarità nella gara. Il Consiglio di Stato aveva respinto l’istanza, rimandando la trattazione dell’appello a un’udienza pubblica che si terrà  il prossimo 8 ottobre. Mobit aveva però presentato anche un esposto alla procura di Firenze che aveva avviato un’inchiesta, in cui sono indagati, oltre a Rossi, due funzionari della regione e 4 membri della commissione che si è occupata dell’assegnazione del bando. I reati denunciati da Mobit sono falso in atto pubblico, abuso di ufficio, turbativa d’asta in concorso, induzione a promettere o dare utilità.

Rossi ha commentato la notizia della sua inclusione tra gli indagati su Facebook: «Le accuse sono infamanti e ridicole. Aspetto il momento giusto per procedere a querelare i calunniatori a cui consiglio di prepararsi a pagare per le loro diffamazioni. Per quanto mi riguarda l’accusa è di avere rilasciato, il 13 novembre 2015, dichiarazioni sull’esito provvisorio della gara, prima della sua conclusione formale. In realtà, coloro che hanno presentato l’esposto nascondono il fatto che la notizia già da un mese era di pubblico dominio e che la stampa e le agenzie nazionali l’avevano ampiamente riportata, poiché la seduta della commissione per l’apertura delle buste era stata pubblica, come prevede la legge, e quindi tutti erano a conoscenza del risultato»