“Psyco” ha 60 anni

Un film che dimostrò, disse Hitchcock, come «la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico possano far urlare il pubblico»

Sessant’anni fa in pochi cinema americani uscì Psycho di Alfred Hitchcock, un film in bianco e nero (quando già c’era il colore) girato da una troupe televisiva e con un budget relativamente piccolo. Un film che Hitchcock, già sessantenne e stimatissimo, dovette finanziare in parte di tasca sua, perché la casa di produzione non voleva saperne. Nei primi giorni Psycho non piacque a molti critici, che non ne gradirono la violenza e la scarsa profondità dei personaggi. Ma con il tempo Psycho – che in Italia arrivò diversi mesi dopo, con il titolo che divenne Psyco, senza “h” – si ritagliò un considerevole posto nella storia del cinema: per l’impatto che ebbe sia sugli horror che sui thriller, per la colonna sonora, per la protagonista (o colei che sembra esserlo) che muore dopo nemmeno metà film, per Norman Bates e, più di ogni altra cosa, per la scena della doccia.

Prima di diventare tutte queste cose, Psycho era un romanzo horror (molto più horror del film) scritto nel 1959 da Robert Bloch, che nella sua prima versione italiana era stato tradotto come Il passato che urla. Hitchcock all’epoca era già famosissimo per aver diretto grandi film come Notorious, La finestra sul cortile, La donna che visse due volte e Intrigo internazionale, ma anche per aver fatto la televisione con successo, mettendoci letteralmente la faccia nella serie antologica Alfred Hitchcock Presenta, fatta di storie che introduceva lui stesso, tutte legate a qualche tipo di crimine e spesso con un umorismo macabro. Hitchcock era già un grandissimo regista, stimato dagli appassionati di cinema, ma piaceva molto anche a chi si accontentava della televisione. Hitchcock era una celebrità, quasi un “brand”.

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Dopo il successo di Intrigo internazionale – un film costoso e con un attore di prim’ordine come Cary Grant – Peggy Robertson, l’assistente personale di Hitchcock, gli fece leggere il libro di Bloch; a Hitchcock piacque molto e propose alla Paramount Pictures, con la quale era sotto contratto per fare ancora un altro film, di comprare i diritti cinematografici. Gli dissero di no e allora se li comprò lui (pare per circa 10mila dollari). Si racconta che Hitchcock disse a Robertson di comprare tutte le copie possibili del libro, per evitare che troppi lettori sapessero come andava a finire.

La Paramount continuava a non credere nel progetto, ritenendo la storia troppo violenta, addirittura “ripugnante”, e credendo che il film non avrebbe avuto successo. Per convincere la casa di produzione a farglielo fare, Hitchcock disse che l’avrebbe girato in bianco e nero (costava molto meno), senza spendere troppo con gli attori e con la troupe televisiva con la quale aveva lavorato ad Alfred Hitchcock Presenta. Dopo un nuovo rifiuto, aggiunse che se lo sarebbe in gran parte finanziato di tasca sua e che avrebbe rinunciato al suo solito compenso, accontentandosi di una consistente percentuale sugli eventuali profitti. A quelle condizioni la Paramount non poteva che accettare, e infatti accettò.

Con un budget di circa 800mila dollari – pari a circa 8 milioni di oggi – Hitchcock iniziò quindi a girare il film, dopo averne affidato la sceneggiatura a Joseph Stefano, un assistente sconosciuto che fino a quel momento si era perlopiù occupato di televisione. Per interpretare i due ruoli principali furono scelti Janet Leigh e Anthony Perkins: entrambi accettarono un compenso notevolmente più basso del solito. Le riprese iniziarono nel novembre 1959 e finirono nel febbraio 1960; per i due luoghi più importanti del film – il Bates Motel e la vicina casa – si scelsero due edifici già presenti e usati anni prima per le riprese del Fantasma dell’Opera.

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Una volta finito il film, bisognava in qualche modo promuoverlo. E visto che la Paramount continuava a non crederci granché, lasciò mano libera a Hitchcock, che quindi oltre al trailer realizzò una sorta di anteprima di oltre sei minuti in cui era lui, in prima persona, a condurre gli spettatori in una visita guidata sul set del film. Nel video Hitchcock parla del motel, dice che è diventato la scena di un crimine, e che lì vicino c’è una vecchia casa “dall’aspetto sinistro”. Ci entra, parla degli omicidi di cui è stata teatro e poi torna al motel, parlando del povero Norman Bates e della sua passione per la tassidermia, disseminando indizi di altro tipo. Nel video Hitchcock entra anche nella stanza numero uno e nel suo bagno, tirando infine la tenda della doccia.

Hitchcock non organizzò anteprime stampa del film e impedì a Leigh e Perkins di partecipare a ogni attività promozionale. Impose anche che nessuno potesse entrare in una sala per vedere Psyco dopo che il film era iniziato, cosa che contribuì a trasformare il film in un evento. Invitò anche chi lo avrebbe visto a non rivelare agli amici i «piccoli e terrificanti segreti di Psyco».

Dopo meno di un’ora dall’inizio di Psyco c’è la scena più famosa, una delle più famose di tutto il cinema. Marion Crane, la segretaria di Phoenix fuggita con 40 mila dollari e finita nel Bates Motel, decide – dopo aver cenato un po’ con il gestore del motel, Norman Bates – di andare a farsi una doccia, durante la quale viene uccisa a coltellate da una figura femminile non riconoscibile dallo spettatore.

Come racconta 78/52, un documentario interamente dedicato a quella singola scena, ci vollero quasi sette giorni per girarla: furono usate 78 diverse posizioni di camera e nella versione finale ci sono 52 tagli di montaggio.

Leigh passò ore e ore sotto la doccia – che Hitchcock si assicurò fosse sempre calda – e raccontò in seguito che per molto tempo ebbe qualche problema a farsele, le docce. La scena è potentissima per tutto quello che fa intuire senza mostrare, e un ruolo importante ce l’ha anche la colonna sonora (zan zan zan zan) da Bernard Herrmann, che per la canzone “The Murder” usò in particolare viole, violini e violoncelli. Sembra che all’inizio Hitchcock volesse usare solo le urla di Leigh, ma che poi si convinse a cambiare idea.

La stessa scena, scomposta:

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Dopo l’omicidio, uno sconvolto Norman Bates arriva a ripulire il sangue (che a quanto pare era cioccolato fuso) e far sparire il cadavere. Ma a cercare Marion arrivano Lila Crane, sua sorella, e Sam, l’amante con cui si era incontrata a inizio film. Succedono molte cose – è il momento di smettere di leggere, per chi non ha mai visto Psyco – e, alla fine, si scopre la verità su Norman Bates e su sua madre. Si scopre che Norman aveva ucciso la madre e aveva poi scisso la sua stessa personalità: a volte era Norman, a volte era sua madre, nel senso che ne usava i vestiti, ne simulava la voce e ne ricreava i punti di vista.

Diventando sua madre, Norman aveva ucciso per gelosia Marion, e prima di lei altre donne. Il film finisce così:

Per il suo libro Bloch si era vagamente ispirato agli omicidi commessi da Ed Gein, che aveva sviluppato una morbosa dedizione per la madre defunta e che era solito indossarne i vestiti. Il film di Hitchcock però aveva cambiato molti dettagli rispetto al libro, motivo per cui è sbagliato parlare di Bates come di un personaggio particolarmente ispirato a Gein.

Psyco ebbe eccellenti incassi negli Stati Uniti e nel mondo. Fu candidato a quattro Oscar (regia, attrice non protagonista, fotografia e scenografia in bianco e nero) e non ne vinse nemmeno uno, ma con il passare degli anni si impose – oltre che come un successo commerciale – come un film storicamente rilevantissimo e a suo modo rivoluzionario, ripetutamente citato e in qualche modo preso come forma di ispirazione e punto di riferimento. Dopo la morte di Hitchcock, nel 1980, ci furono diversi tentativi di riallacciarsi a quella storia, sia al cinema che in tv, e nel 1998 il regista Gus Van Sant fece addirittura un remake scena-per-scena di Psyco. Niente di quel che è stato fatto si è però mai anche solo vagamente avvicinato a quello che è stato ed è Psyco.

Parlando di Psyco con François Truffaut, Hitchcock disse:

«La mia più grande soddisfazione è che il film abbia avuto un successo sul pubblico, ed era la cosa a cui tenevo di più. In Psyco del soggetto mi importa poco, dei personaggi anche: quello che mi importa è che il montaggio dei pezzi del film, la fotografia, la colonna sonora e tutto ciò che è puramente tecnico possano far urlare il pubblico. Credo sia una grande soddisfazione per noi utilizzare l’arte cinematografica per creare una emozione di massa. E con Psyco ci siamo riusciti. Non è un messaggio che ha incuriosito il pubblico. Non è una grande interpretazione che lo ha sconvolto. Non è un romanzo che ha molto apprezzato che l’ha avvinto. Quello che ha commosso il pubblico è stato il film puro».