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  • Domenica 31 maggio 2020

Nelle istituzioni europee ci si capisce di meno

Il coronavirus ha ridotto molto le riunioni dal vivo, facendo perdere il lavoro a moltissimi interpreti

Interpreti durante la plenaria del Parlamento Europeo a Bruxelles (Parlamento Europeo / 2020)
Interpreti durante la plenaria del Parlamento Europeo a Bruxelles (Parlamento Europeo / 2020)

Uno dei lavori più preziosi e meno raccontati delle istituzioni europee è quello degli interpreti, le centinaia di persone che ogni giorno traducono i discorsi di parlamentari, funzionari e leader politici che provengono da 27 paesi diversi, e permettono a tutti di capirsi fra loro. Tenendo conto di tutte le sue istituzioni l’Unione Europea dà lavoro a circa 4.000 interpreti, 800 dei quali hanno contratti a tempo indeterminato e 3.200 sono freelance.

La netta riduzione delle riunioni e degli eventi a causa della pandemia da coronavirus ha causato problemi soprattutto alla seconda categoria, che si è ritrovata improvvisamente senza lavoro; ma anche gli interpreti regolarmente assunti sostengono di essere costretti a lavorare in condizioni difficili e potenzialmente pericolose per la salute. Il risultato è che secondo gli stessi interpreti le loro difficoltà si riflettono nel lavoro quotidiano delle persone di cui traducono annunci, discorsi e repliche: ci si capisce di meno, insomma.

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Una delegazione di interpreti freelance ha incontrato le istituzioni europee alla fine di aprile, e un altro incontro si è tenuto il 26 maggio: una soluzione non è ancora stata trovata.

Le istituzioni europee garantiscono la traduzione simultanea della maggior parte dei lavori nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione. Nelle aule più grandi gli interpreti lavorano in apposite stanze sopraelevate, protette da pareti di vetro scuro. È un lavoro così impegnativo che ci si dà il cambio ogni mezz’ora, considerato il termine massimo anche per un interprete esperto: oltre quel limite, la lucidità cala ed è difficile tradurre bene. La mole di riunioni, assemblee e dibattiti che ogni giorno si tenevano nelle istituzioni rendeva necessario il lavoro di centinaia di interpreti per volta.

Il lavoro in cabina è solo la punta dell’iceberg delle loro mansioni. Per essere in grado di tradurre in tempo reale il discorso di un allevatore francese che parla dell’ibridazione delle razze, o di un parlamentare che commenta le beghe interne di un partito finlandese, bisogna studiare molto ed essere pronti a improvvisare. Qualcuno lo ha paragonato al lavoro del cronista, che ogni giorno deve occuparsi di qualcosa di nuovo.

La netta riduzione delle riunioni per la pandemia da coronavirus ha causato molti problemi difficilmente risolvibili. Il primo riguarda la quantità di lavoro disponibile. Un portavoce della Commissione ha detto a Politico che prima della pandemia ogni giorno si tenevano 40-50 eventi che necessitavano della traduzione simultanea. Alla fine di aprile si erano ridotti a cinque. Ad oggi il dato è rimasto più o meno stabile, e tiene conto sia delle riunioni dal vivo sia di quelle che si tengono online.

Meno eventi significano meno interpreti necessari. Questa settimana alle istituzioni europee – fra Parlamento, Commissione, Consiglio, Comitato economico e sociale europeo e Comitato delle regioni – sono soltanto 5-6 al giorno gli interpreti che si occupano di tradurre in italiano i lavori in corso. Prima dell’emergenza sanitaria spesso erano dieci volte tanto.

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Prevedendo che la situazione non cambierà a breve le istituzioni europee hanno anche cancellato i brevi contratti che offrono agli interpreti freelance in vista di alcuni eventi particolarmente affollati, lasciandoli di fatto senza alcuna tutela e prospettiva.

Secondo una delegazione che rappresenta gli interpreti freelance la particolare formula contrattuale con cui sono impiegati dalle istituzioni impedisce loro di chiedere un sussidio di emergenza sia in Belgio sia nei paesi di origine: e dato che una volta accreditati venivano chiamati costantemente, pur non avendo un contratto stabile, alcuni di loro hanno perso il 100 per cento delle loro entrate mensili.

Anche i pochi che sono rimasti a lavorare, nella stragrande maggioranza assunti con contratto a tempo indeterminato, lo stanno facendo in condizioni problematiche. Il  Parlamento Europeo è l’istituzione che più di ogni altra sta continuando a tenere eventi di persona. A causa del distanziamento fisico è diventato difficile darsi il cambio, perciò lavorano spesso da soli in cabina. I pochi che rimangono sono sommersi di lavoro, e i problemi tecnici sono all’ordine del giorno. Il problema principale, comunque, riguarda la loro salute.

Le istituzioni si sono attrezzate per utilizzare piattaforme che consentano la cosiddetta Remote Simultaneous Interpretation (RSI), cioè l’interpretazione da remoto. Sono programmi che permettono all’interprete di lavorare con partecipanti che si collegano in videoconferenza. Prima dell’emergenza sanitaria venivano utilizzate perlopiù per incontri non istituzionali. Se utilizzate per brevi riunioni possono consentire all’interprete di lavorare come se fosse nella propria postazione, ma a casa propria.

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Il guaio è che la compressione dell’audio realizzata dai principali programmi per videoconferenze, anche quelli sviluppati apposta per gli interpreti, produce un suono a bassa qualità che gli addetti ai lavori ritengono «tossico», molto fastidioso per l’ascolto prolungato. Soprattutto se chi parla lo fa molto velocemente, tramite un dispositivo non professionale e da un posto che ha problemi di connessione.

«Mentre una telefonata con un amico rimane gestibile, per capire uno sloveno che parla molto rapidamente su un argomento tecnico dobbiamo avere a disposizione un audio ottimo: altrimenti il cervello va in pappa», riferisce una fonte interna agli interpreti.

Gli interpreti alle istituzioni europee non sono stati i soli a segnalare il problema. Di recente un sindacato che rappresenta la maggior parte degli interpreti che lavorano al Parlamento del Canada ha segnalato che dopo ore di lavoro a tradurre incontri in videoconferenza alcuni interpreti hanno manifestato acufene, affaticamento uditivo, mal di testa, nausea, insonnia, scarsa lucidità e capacità di concentrazione.

Il presidente del sindacato che rappresenta i funzionari pubblici e gli interpreti canadesi ha detto a CTV News che nell’aprile del 2020 gli interpreti del parlamento locale hanno segnalato più infortuni sul lavoro che nell’intero 2019. Dati provenienti dal gruppo degli interpreti al Parlamento canadese indicano che in un recente periodo di sei settimane sono stati aperti 46 fascicoli medici su un totale di 70 interpreti.

L’affaticamento uditivo può produrre danni gravi ed esiste una letteratura scientifica a riguardo, anche se le sue conseguenze non sono ancora così note. Uno stress psicofisico si sta percependo anche fra gli interpreti che stanno lavorando in queste settimane alle istituzioni europee.

Spostare tutto online, con i problemi di connessione all’ordine del giorno e l’audio compresso che viene trasmesso in cuffia, provoca anche parecchi problemi di comprensione. L’interruzione o la distorsione dell’audio anche solo per una frazione di secondo può far sfuggire una particella di negazione, o il nome di una persona, un luogo o un’azienda. Buona parte dei politici che lavorano al Parlamento, inoltre, parla un inglese assai rudimentale e non è in grado di usarlo per riunioni dai contenuti assai tecnici.

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Alcuni funzionari europei hanno fatto capire che la RSI sarà sempre più utilizzata anche in futuro, a causa delle nuove abitudini di lavoro nelle istituzioni (che da settimane incoraggiano lo smart working e il lavoro a distanza). Le delegazioni negoziali stanno cercando di trattare tutele per i propri membri e di mettere sul tavolo i problemi di salute sperimentati dagli interpreti costretti a lavorare a distanza, ma il margine per ottenere qualcosa sembra molto stretto.

Secondo una delegazione degli interpreti freelance, le istituzioni europee hanno offerto di fissare e pagare in anticipo tre o quattro giornate di lavoro da qui alla fine del 2020: la delegazione considera l’offerta irricevibile, perché si tratterebbe soltanto di un prestito.