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  • Domenica 10 maggio 2020

La storia dei “percorsi vita” nei parchi

Il loro nome non ha niente a che fare con la vita, bensì con una società assicurativa: e ora potrebbero ritagliarsi qualche nuovo spazio

(Immagine da Flickr, utente ponte1112)
(Immagine da Flickr, utente ponte1112)

I “percorsi vita” sono circuiti di allenamento all’aperto. Hanno lunghezza, difficoltà e numero di esercizi variabili, ma sono tutti accomunati dall’idea che anche con pochi attrezzi – molti dei quali in legno – si possa fare stretching e migliorare forza, resistenza, agilità e mobilità. Magari non tutti hanno provato a farne uno, ma è davvero difficile non averne mai visto qualche stazione in qualche parco, quasi sempre con le relative istruzioni su tempi e modi per svolgere gli esercizi. È probabile però che pochi conoscano la storia di questi percorsi, che tra l’altro si chiamano “vita” non perché possano migliorare la vita di chi li fa ma perché la loro esistenza è strettamente legata a Vita, una compagnia assicurativa svizzera.

Come ha raccontato il New York Times, il primo percorso vita (c’è anche chi scrive percorsovita tutto attaccato) fu ideato in Svizzera nel 1968, quando un gruppo sportivo di Zurigo realizzò un circuito di allenamento nel bosco, usando tronchi e rami per costruire le diverse stazioni di allenamento, e approcciò la società assicurativa Vita in cerca di uno sponsor che ne contribuisse al mantenimento. Vita accettò e ancora oggi a occuparsi dei percorsi vita svizzeri è Zurich, la compagnia assicurativa a cui fa capo Vita.

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A quel primo percorso ne seguirono diversi altri. In quegli anni sempre più persone stavano passando da attività lavorative fisiche o comunque manuali a impieghi più sedentari; allo stesso tempo stava aumentando il tempo libero, soprattutto grazie all’abolizione della settimana lavorativa di sei giorni. Molti svizzeri avevano quindi voglia e necessità di muoversi e stare all’aria aperta, e pure un po’ più di tempo libero per poterlo fare.

I percorsi vita offrivano inoltre la possibilità di allenamento a chiunque: alle persone più atletiche e in forma, ma anche a chi in forma non era affatto e voleva una serie di esercizi semplici e adattabili alle proprie condizioni fisiche, senza dover per forza iniziare a praticare uno sport. I percorsi vita erano inoltre gratuiti, e per essere usati non richiedevano particolari attrezzature o competenze: tutto quello che c’era da sapere era spiegato dagli appositi cartelli.

Martin Lengwiler, professore di storia all’università di Basilea, ha spiegato al New York Times che i percorsi vita trovarono terreno fertile in Svizzera anche perché proprio lì, e proprio tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, ci fu una forte presa di coscienza a favore di un migliore stile di vita, con più esercizio fisico e meno cibi grassi, meno bevande alcoliche e sigarette.

Dalla Svizzera i percorsi vita arrivarono anche nella Germania Ovest, dove iniziarono a essere chiamati Trimm-dich-Pfade, “sentieri per mettersi in forma”. Michael Schirp, portavoce della Federazione olimpica tedesca, ha detto: «Prima dei Trimm-dich-Pfade, se non eri membro di un club sportivo, non facevi nessuno sport; nessuno che non fosse un calciatore o un atleta di atletica leggera andava a correre solo per il gusto di farlo».

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Non ci sono dati ufficiali, ma Schirp ha dato al New York Times alcune stime in base alle quali tra gli anni Settanta e gli Ottanta – gli anni di loro massima popolarità – i percorsi vita nella Germania Ovest erano tra i 5mila e i 10mila. E altre migliaia si diffusero in quello stesso periodo nel resto d’Europa e del mondo: un articolo del New York Times del 1978 ne parlò come di una «combinazione tra il jogging e la ginnastica callistenica, pensata per rendere entrambi più interessanti, alternandoli», e già nel 1975 il Corriere della Sera aveva raccontato la moda svizzera della «Ginnastica “guidata” nella natura».

Nella maggior parte del mondo i percorsi vita persero poi utilizzatori per via del progressivo successo del jogging (in quanto attività autonoma, slegata da altri sport), del fitness (spesso di gruppo) e delle palestre. La Svizzera, comunque, continua a essere un paese particolarmente attento ai suoi percorsi vita, grazie anche all’interessamento di Zurich, che continua a occuparsene.

L’articolo del New York Times ha raccontato anche un paio di casi di persone che, non potendo fare altre attività sportive per via delle limitazioni conseguenti al coronavirus, hanno scelto di dedicarsi ai percorsi vita, preferendoli agli esercizi fatti in casa. Barbara Baumann, che si occupa dei percorsi vita svizzeri di Zurich, ha detto di aver notato un incremento di persone lungo i percorsi, e che le sono anche arrivate diverse richieste per l’apertura di nuovi percorsi.

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