Cos’è questa storia del “coronavirus nell’aria”

È stata segnalata da diversi ricercatori e ripresa molto dai giornali, ma l'OMS dice che non ci sono ancora prove scientifiche abbastanza solide

(Cliff Hawkins/Getty Images)
(Cliff Hawkins/Getty Images)

Oggi diversi giornali hanno ripreso – con qualche titolo allarmistico – la notizia secondo cui il coronavirus “circola anche nell’aria” e si possa quindi rimanere infettati respirandola. In realtà, le cose sono un po’ più complicate: a oggi non ci sono elementi scientifici sufficienti per confermare o smentire completamente la circostanza. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha spiegato in più occasioni che per ora non sono emerse prove rilevanti che suggeriscano la capacità del SARS-CoV-2 di viaggiare e trasmettersi tramite l’aria, salvo casi molti rari come durante l’intubazione di un paziente in ospedale. Il tema è comunque molto dibattuto.

Goccioline vs aerosol
I virus sono agenti infettivi minuscoli, cento volte più piccoli della maggior parte dei batteri e con un diametro compreso tra i 20 e i 300 nanometri (milionesimi di millimetro) a seconda delle specie. Quelli che interessano l’apparato respiratorio, come l’attuale coronavirus, si diffondono nell’ambiente circostante per lo più attraverso la saliva e il muco di una persona infetta.

Queste secrezioni sono di solito sotto forma di goccioline (“droplet”), visibili a occhio nudo, emesse per esempio con un colpo di tosse o uno starnuto: si depositano direttamente sulle superfici circostanti, o indirettamente se l’infetto si ripara la bocca e il naso con le mani e poi tocca qualcosa. Il coronavirus rimane attivo sulle superfici per diverse ore (non sappiamo ancora di preciso per quanto) e se una persona sana tocca superfici contaminate e poi si porta le mani al viso rischia di venire infettata.

Le goccioline di muco e di saliva sono relativamente pesanti, quindi è raro che cadano a una distanza superiore a un metro da chi le ha emesse (potrebbe accadere con uno starnuto piuttosto intenso), e da questo deriva il consiglio di mantenere una certa distanza dal prossimo durante un’epidemia. Il loro mezzo di diffusione è tecnicamente l’aria – il misto di fluidi che abbiamo intorno (ossigeno, azoto e altre sostanze) – che viene però attraversata nel processo di caduta, come fa una mela quando cade dall’albero.

A differenza delle goccioline, gli aerosol sono sostanze in sospensione nell’aria di dimensioni estremamente più piccole e invisibili a occhio nudo. Tra gli esempi classici di aerosol ci sono le nuvole, addensamenti di molecole d’acqua. Gli aerosol possono rimanere nell’aria per diverso tempo e, in presenza di moti turbolenti, possono coprire notevoli distanze.

Produciamo di continuo aerosol, per esempio quando espiriamo l’aria dai polmoni, o quando parliamo. A differenza dei colpi di tosse e degli starnuti – per i quali prendiamo alcune precauzioni come usare un fazzoletto, la piega del gomito o per lo meno spostarci in direzione opposta a quella in cui si trova il prossimo – non abbiamo modo di tenere efficacemente sotto controllo gli aerosol che emettiamo, e alcuni scienziati non escludono che questo possa essere un problema in presenza di particolari malattie infettive.

Coronavirus e aerosol
Da tempo si sa che alcuni virus sono presenti nell’aria sotto forma di aerosol, ma i ricercatori non hanno ancora elementi a sufficienza per stabilire quanto siano rischiosi per la salute. Una ricerca condotta nel 2018 su un tipo di virus che causa l’influenza stagionale, per esempio, ha rilevato che il 39 per cento delle persone esaminate produceva aerosol infetti tramite la respirazione.

Negli ultimi mesi alcune ricerche hanno provato a rilevare l’eventuale presenza del coronavirus negli aerosol. Un gruppo di ricercatori in Cina, per esempio, ha rilevato la presenza del materiale genetico (RNA) del coronavirus in diversi ambienti, compresi alcuni supermercati. Secondo gli autori dello studio preliminare, queste rilevazioni dimostrano che il SARS-CoV-2 potrebbe trasmettersi da persona a persona tramite l’aria anche a distanza. Le tracce genetiche trovate non erano però sufficienti per stabilire se il virus fosse ancora attivo, e quindi in grado di avviare l’infezione in un’altra persona. Fuori dall’organismo, infatti, le particelle virali (virioni) degradano con il passare del tempo, perdendo la capsula protettiva che racchiude l’RNA.

Una ricerca condotta a Singapore non ha invece portato alla rilevazione del coronavirus nei campioni di aria raccolti in stanze di isolamento, dedicate ai pazienti con COVID-19 in una struttura sanitaria. I ricercatori hanno spiegato di avere trovato solo alcune tracce in prossimità di una presa di ventilazione, ma non si può escludere che fosse stata contaminata direttamente da un paziente attraverso colpi di tosse o starnuti, data la sua posizione.

Uno studio simile è stato condotto anche nel Nebraska (Stati Uniti) e ha portato al ritrovamento di RNA virale in due stanze di isolamento su tre analizzate in una sezione di un ospedale, per i pazienti in gravi condizioni a causa della COVID-19, e in un’altra struttura per la quarantena. I ricercatori hanno quindi provato a mettere i campioni a contatto con colture cellulari in laboratorio, rilevando che il coronavirus aveva perso la capacità di infettarle. Lo studio dice comunque che la produzione di aerosol infetti è possibile, e che può avvenire in assenza di colpi di tosse.

Sempre negli Stati Uniti, altri ricercatori hanno dimostrato che il coronavirus può rimanere attivo nell’aria fino ad almeno 3 ore. Questa condizione è stata però ottenuta in un ambiente controllato di laboratorio, in circostanze che sarebbero molto difficili da riprodurre nella normalità.

Ricerca di nuove prove
Come hanno spiegato diversi ricercatori al sito della rivista scientifica Nature, al momento non ci sono prove definitive per sostenere che il contagio da SARS-CoV-2 si diffonda respirando gli aerosol.

Non è inoltre chiaro se una persona con COVID-19 produca aerosol con una concentrazione tale di coronavirus da essere sufficiente per costituire un rischio per il prossimo, come ha spiegato l’esperto di malattie infettive Jamie Llloyd-Smith (Università della California, Los Angeles): “Se stai respirando aerosol col virus, non sappiamo quale sia la dose infettiva che dia una probabilità significativa di essere contagiati”. Si potrebbe svolgere un esperimento per scoprirlo, coinvolgendo persone sane da contagiare, ma sarebbe un approccio scientificamente poco etico, considerati i rischi che comporta la malattia.

I dubbi derivano anche da uno studio che, seppure con test limitati, non ha rilevato la presenza di RNA virale nei campioni d’aria raccolti ad appena una decina di centimetri da un malato di COVID-19, al quale è stato chiesto in vari momenti dell’esperimento di: respirare normalmente, parlare e tossire.

Inoltre, è improbabile che una persona contagiosa emetta con un solo respiro una quantità di coronavirus nell’aria tale da contagiare una persona. Le cose potrebbero cambiare nel caso della prolungata permanenza al chiuso con un infetto. In questa circostanza, però, potrebbero subentrare altre variabili legate per esempio alla produzione di droplet e al contagio indiretto tramite le superfici.

Precauzioni?
Alcuni esperti consigliano di assumere qualche precauzione in più, considerato che potrebbero essere necessari anni prima di comprendere l’effettiva capacità del coronavirus di diffondersi tramite gli aerosol. Il consiglio più ricorrente è areare spesso i locali condivisi con altre persone e potenziare i sistemi di ventilazione per il ricambio d’aria. In ambiente lavorativo, le riunioni di persona dovrebbero essere evitate, privilegiando quelle a distanza tramite computer e telefono.

Non è invece ancora completamente chiaro se l’impiego delle mascherine possa ridurre i rischi anche per gli aerosol. L’OMS dice che le persone sane devono usare le mascherine solo se stanno fornendo assistenza a persone certamente malate di COVID-19, o con sintomi che facciano sospettare la malattia. Viene inoltre consigliato di indossare una mascherina nel caso in cui si abbiano tosse e altri problemi alle vie aeree, che potrebbero indicare la COVID-19.

La maggior parte delle mascherine sono presìdi usa-e-getta, quindi devono essere sostituiti dopo ogni utilizzo e il loro stesso impiego non può superare qualche ora. Considerata la scarsità, molte persone le utilizzano per ore o giorni, senza procedere alla loro sostituzione. Devono essere indossate coprendo bene bocca e naso, applicate con le mani pulite e rimosse con le mani pulite, avendo cura di non mettere a contatto la loro parte esterna con occhi, naso e bocca.

Cosa dice l’OMS
Per ora l’OMS ha mantenuto un approccio molto cauto sugli aerosol, indicando che le uniche occorrenze note del fenomeno possono verificarsi in ambiente ospedaliero, per esempio quando si procede con l’intubazione o l’estubazione di un paziente. In un rapporto, l’Organizzazione ha inoltre citato un’analisi svolta su oltre 75mila casi di COVID-19 in Cina, dalla quale non sono emersi casi di contagio attraverso gli aerosol. L’approccio dell’OMS è naturalmente basato sulle attuali conoscenze scientifiche, e quindi potrebbe cambiare nel momento in cui venisse dimostrata una maggiore rilevanza del problema e dei rischi che comporta.